lunedì 16 maggio 2011

Sogni...

Oggi siamo andati ad Itsandra a cercare una barca e devo dire che la cosa e andata molto meglio. Stavolta sono rimasto leggermente defilato durante le discussioni e abbiamo raggiunto un accordo ragionevole. L’unico problema e’ che dobbiamo muoverci a piedi verso questo villaggio perche’ non credo che riusciremo a trovare un tasporto alle 5 di mattina. Quindi domani la sveglia suona alle 4:30 e poi via a piedi per circa 3 chilometri. Mia madre mi ha detto che ricordero’ questi momenti quando, magari tra 20 anni ci sara’ un Parco Marino, e si potranno prendere le barche comodamente da un molo vicino all’universita’, mentre adesso bisogna farsi un’ora a piedi con tutta l’attrezzatura per arrivare al villaggio. Evviva la ricerca sul campo…

Questa volta ci ha accompagnato un amico di Artadji che proviene proprio da Itsandra e dopo la discussione con i pescatori allunghiamo il nostro viaggio di ritorno perche’ ha deciso che devo conoscere la sua famiglia e non vuole sentire altre ragioni. Cedo senza troppe resistenze e arriviamo alla sua casa ed e’ un pugno in faccia che non dimentichero’ facilmente. Incastrata tra il palazzo del Presidente dell’Unione delle Comore e la villa di un Industriale c’e’ una piccola casa di lamiera, composta da tre locali divisi da tendaggi e logore pareti di compensato, e appena ci avviciniamo la prima cosa che sento e’ una voce di donna che pronuncia “Karibu” e io non posso fare a meno di rispondere “Sterele”. Esce dal tendaggio una donna minuta, asciutta, dai lineamenti segnati dal sole, che mi guarda con occhi profondi mentre io mi inchino a mani giunte chiedendo “Quesi”; lei sorride e prende le mie mani nelle sue e appoggiandole sulla mia fronte mi benedice (“Mbona”) con la sua baraka e mi fa entrare.

Pone di fronte a me un piatto di cassava con patate e del manzo. Ringrazio e ne prendo qualche boccone e mentre stiamo mangiando l’amico di Artadji mi parla di se, della sua vita, della sua famiglia. Suo padre lo ha abbandonato quando lui era piccolo e per un po’ sua madre gli ha detto che era morto, ma per lui la cosa non ha piu’ importanza; lui adesso ha un obiettivo, quello di cercare di crescere professionalmente e magari cercare un dottorato all’estero per poi tornare e aiutare il suo paese. Mentre mangiamo e’ un fiume in piena; parla con una tale energia dei suoi desideri, dei suoi sogni che sembrano che siano attorno a noi e lui li stia gia’ afferrando. Adesso mi rendo conto delle difficolta’ con cui vivono questi ragazzi, cresciuti spesso in fretta. Quasi tutti gli studenti che stanno facendo adesso il Master in Biodiversita’ (tra l’altro ho scoperto che e’ il primo master che ha fatto la neonata universita’ delle Comore) vengono da famiglie che in Italia definiremo problematiche e disagiate; pensate come si puo’ definire qualcuno di disagiato in Africa: io non ho trovato un termine, se voi ne avete uno ditemelo.

Ognuno di questi ragazzi ha passato l’universita’ studiando come un matto per avere la possibilita’ di accedere a delle borse di studio perche’ altrimenti non potevano ovviamente permettersi la retta e questi studenti sono stati selezionati tramite un concorso in tutta la facolta’: sono il meglio che l’universita’ puo’ offrire. Stanno cercando di fare il meglio che possono con dei mezzi di fortuna, affrontando mille difficolta’, con dalla loro una forza e una voglia di riuscire inesauribile; una frase che mi ripetono spesso e’: “Se qualcuno in qualche parte del mondo ci e’ riuscito, perche’ io non devo riuscirci?”. Gia’, “perché?” mi sono chiesto anche io.

Finiamo di mangiare e ringrazio calorosamente questa donna che ha cresciuto da sola suo figlio in Africa e che quando me ne parla sento, giustamente, tutto l’orgoglio di una madre; perché vede che suo figlio ce la puo’ fare. Quanta forza vedo in lei mentre mi guarda con dolcezza e quanta ne ho visto nelle donne, madri, mogli, nonne che ho osservato qui in Africa. Mentre torniamo mi fermo a guardare il mare e mentre sul mio viso si appoggia il sole del meriggio guardo a nord ovest verso casa mia. Rivedere da qui i propri desideri e i propri sogni, alla luce di quello che succede qui in Africa, ne fa sembrare alcuni cosi’ piccoli e miseri che alle volte vorresti non averli mai avuti. Si, credo che mi ricordero’ dell’Africa tra 20 anni, quando magari avranno fatto il Parco Marino e si potra’ prendere la barca comodamente da un molo davanti all’universita’…

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