sabato 30 aprile 2011

Pausa...

Dopo la giornata di ieri ho deciso che oggi mi prendo una pausa da ogni avventura, basta autobus, delfini, albe e avventure. Oggi ho voglia di una banale giornata per quanto possa essere tranquilla una giornata qui in Africa. Infatti decido al pomeriggio di andare a fare alcuni acquisti perche’ mi serve del materiale per la ricerca sul campo. Mi accompagna Tadji per il Wallo il supermega bazar  galattico della capitale; vi lascio immaginare che razza di bolgia ci puo’ essere li il sabato pomeriggio. Ho come un presentimento che la mia Baraka non fosse d’accordo sul trascorrere la giornata in tranquillita’ e dato che alla Baraka (e al cuor) non si comanda seguo impassibile lo sviluppo degli eventi.

L’oggetto dei miei desideri in questione e’ un puro e semplice piombo per pescare, necessario per mantenere perpendicolare alla barca uno strumento; se fossi in Italia andrei in un negozio di articoli sportivi e lo troverei senza problemi, ma qui in Africa che fare? L’unica soluzione e’ girare per tutti i negozi che qui vendono ogni cosa, dalle maniglie per le porte alla farina chiedendo un piombo da pesca. La cosa che mi diverte e’ la curiosita’ che i venditori dimostrano nei miei confronti. All’inizio non riesco a capire il senso di tale sentimento, ma poi Artadji mi illumina. Mi fa notare che per i Comoriani sono un Muzungu e quasi tutti i Muzungu sono francesi. Quindi loro vedono entrare nel loro negozio un francese che dalla Francia va alle Comore per pescare: praticamente un pazzo. Non ci perdiamo d’animo e dopo un po’ troviamo un’indicazione per un enorme negozio che vende tutto per la pesca, ma quando arriviamo lo troviamo chiuso. Alzo gli occhi al cielo chiedendomi se anche questo e’ un segno della mia Baraka, mi sto per rispondere quando il canto del Muezzin interrompe ogni cosa e accompagno Tadji alla moschea. Alcuni fedeli mi chiedono se voglio entrare, ma io declino con cortesia; non essendo credente la reputo un’offesa nei confronti dei veri fedeli. Mi siedo quindi su una panchina e attendo in silenzio.

Osservando il gran numero di fedeli che accorrono mi sovviene una riflessione sul valore sociale della preghiera al di la’ dell'adorazione del divino, che qui in Africa e’ particolarmente forte. Produrre un insieme di gesti, movimenti, canti e parole nello stesso modo e nello stesso tempo unifica un insieme di singoli individui. Una cosa che ho capito delle Comore (e credo dell’Africa intera) e’ che la collettivita’ e’ fondamentale per l’individuo. Il singolo qui non esiste, si e’ vivi se si e’ parte di un gruppo, allora si assume un’identita’ in funzione di esso, non il contrario. Esiste una sorta di paracadute sociale di aiuto continuo e vedendo tutte quelle persone ho riflettuto su quando li unisca anche la preghiera. Essa infatti oltre alla funzione di adorazione del divino ha una funzione di vero e proprio collante sociale che cementifica le relazioni interpersonali. Lo stesso Artadji mi ha poi confermato che quando uno di loro per un determinato motivo non viene alla preghiera alla moschea le persone si interrogano sulle possibili cause e se l’assenza e’ prolungata cominciano a preoccuparsi per lui e a cercarlo per vedere se ha bisogno di aiuto.

Postilla della sera. Ho deciso di provare a collegarmi utilizzando di straforo la wifi dell’albergo dove ho pernottato. Mi posiziono seduto sul marciapiede antistante all’albergo e apro il pc portatile. Quando aggancio la linea scrivo la password che mi sono procurato in modo un po’ rocambolesco. Dato che tutte le volte me la scrivevano loro e non me la lasciavano allora ho deciso di memorizzarne ogni volta qualche cifra finche’ l’ho imparata a memoria. Mentre inserisco il codice mi ronza in testa la sigla di mission impossible e guardo il cielo con un sorriso: adesso sono seduto su un marciapiede in Africa connesso al resto del mondo via Skype. Direi che la musica calza a pennello dato che trovare una connessione gratuita in Africa e’ di per se un po’ una missione impossibile…

venerdì 29 aprile 2011

Odissea...

Oggi si torna a casa, cioe’ alla mia stanza al centro ricerche (si Viviana, e’ la tua stessa che usavi tu). Sto gia’ assaporando l’idea di un letto dopo 4 giorni in cui ho dormito sul cemento( ho la schiena rotta in cosi’ tanti punti che si possono fare le tessere per giocare a domino) che non mi pongo nemmeno il problema del viaggio sono oramai abituato alle attese lunghe e quindi per cui mi dico “vai tranquillo Marco”. Dopo l’uscita del mattino attendo che Tadji vada a pregare e oggi sara’ una cosa lunga perche’ e’ venerdì, giorno sacro per gli islamici quindi dopo la preghiera c’e’ anche il sermone, quindi almeno un’ora. Finisco di mettere via le mie cose e appena arriva appallottoliamo la tenda e siamo pronti. All’esterno della casa ci sono proprio tutti a salutarci, una cosa meravigliosa. Ci sediamo all’ombra di un baobab e aspettiamo che passi un autobus che vada in capitale. Dopo circa un’ora arrivano una serie di pulmini pieni zeppi di persone; come e possibile mi chiedo. Ma non mi spavento e anzi scherzo con i miei amici al villaggio quando vedo passare una macchina con sopra un bianco lo indico e dico “Muzungu!”. Esplode una risata come un boato a cui fanno eco queste parole “Giusto Marco, adesso sei Comoriano, non sei piu’ un Muzungu”.

Dopo un’altra ora di attesa ed altri autobus persi cominciamo a pensare ad un piano alternativo e per certi versi folle. Ovvero quello di prendere l’autobus che va in senso contrario che e’ sempre passato vuoto, in modo tale di essere gia’ in carrozza quando si riempira’ per andare verso Moroni la nostra meta. Arriva poco dopo un bus vuoto ed io gia’ assaporo il nostro piano diabolico dato che dovremmo allungare solo di 20 minuti. Che stolto l’uomo che non fa i conti con il caso avverso…

Mentre stiamo andando chiediamo al guidatore che succede oggi e ci informa che a Singani (uno dei villaggi sulla strada) si sta svolgendo un funerale di una persona molto importante e quindi ecco il motivo di tutti i pulmini pieni. Ma qui poco dopo il nostro piano va in frantumi. Il nostro guidatore decide di allungare ancora il tragitto e di arrivare fino a Foumboni per riempire per bene il bus, significa re di allungare almeno di un’ora tra andata e ritorno. Maledico me stesso ma ormai non posso farci niente; mi consola solo l’idea di essere su un bus che prima o poi arrivera’ alla capitale, gia’… prima o poi…

Il nostro tour di andata e ritorno si conclude e dopo un’ora circa siamo al punto di partenza, ma su un autobus che va nella direzione corretta, solo che adesso e’ pieno in tutti i suoi 17 posti previsti dalla normativa dell’Aci Comoriana, io sono pigiato sul fondo con le ginocchia in bocca e ho il sedere appoggiato su un sedile sfondato grazie al quale assaporare con dolore ogni buca sulla strada; praticamente ho la stessa sensazione di quando a monopoli ti dicono di andare direttamente a Parco della Vittoria (ovviamente non tuo) con sopra 2 alberghi (non tuoi) senza passare dal via (per ritirare 20 euro o 20000 lire se giocate col vecchio conio). Mentre procediamo il nostro guidatore, che mi da l’idea di essere alquanto avido, decide di sfruttare al meglio lo spazio disponibile nell’abitacolo appena vede un gruppo di persone che chiede di salire. Con abile mossa di tetris incastra altre 4 persone all’interno a cui ne aggiunge 3 agganciate all’esterno. Ovviamente tutto questo rallenta il viaggio; non vi dico che succede quando qualcuno deve scendere. Ad un villaggio uno dei passeggeri ha optato per l’uscita dal finestrino per evitare di far alzare 5 persone che lo guardavano con ferocia e secondo me stavano pensando “Stai forse pensando di scendere?”. In quel momento ho guardato Artadji e assieme ci siamo lasciati andare ad un liberatorio “I love Africa”…

Quando tocchiamo le 3 ore di viaggio ho un miraggio. Credo di essere arrivato, ma il mio studente mi riporta alla triste realta’ dato che mancano ancora due villaggi prima della capitale e comincia pure a piovere. Cerco di capire cosa possa esserci di tanto allucinogeno da provocare delle visioni e lo identifico con il dolore. Vi giuro che non sapevo che potessero esistere tante forme diverse di sofferenza. Seduto per 3 ore su un sedile sfondato a cui hanno sostituito l’imbottitura con una panca di legno ha praticamente distrutto quello che restava di sano delle mie articolazioni inferiori e del bacino. Ad ogni buca (dopo la decima smetti di contarle) il dolore si sviluppa in un punto diverso finche’ quando ogni singola parte dei tuoi arti inferiori ha ricevuto la sua dose di sofferenza hai completato il tuo percorso di espiazione e si aprono per te vie mistiche portano a fantozziani miraggi di salvezza che durano finche’ un’altra buca ti riporta alla dolorosa realta’…

Tutto questo continua finche’, come tutti i fenomeni umani hanno un inizio ed una fine, anche il mio viaggio di ritorno termina e con una graditissima sorpresa. Tutta la mia stanza e’ stata pulita e i miei abiti puliti e stirati. Tutto merito dalla mia Mama comoriana che mi ha adottato. Si perche’ qui c’e’ una signora delle pulizie che adotta i ragazzi che vengono dai villaggi fuori dalla capitale, per cui “Respect the Mama!”. Tutta la mia gioia termina dopo cena quando arriva lei. La temevo piu’ di ogni altra cosa e sapevo che prima o poi avrebbe fatto la su comparsa, era solo questione di tempo e dopo 10 giorni di Africa e’ arrivata(rullo di tamburi e schiamazzi di trombe): la Diarrea! Evidentemente 4 giorni mangiando cibi locali con norme igieniche non sempre impeccabili hanno provato il mio intestino a cui devo aver chiesto evidentemente troppo…

giovedì 28 aprile 2011

Ghiaccio...

Ghiaccio...

Quando due mondi diversi si incontrano spesso tutto avviene per passi precisi; si comincia con una reciproca diffidenza, una freddezza naturale anche qui all’equatore. E’ come il ghiaccio che divide due liquidi caldi in uno stesso contenitore. I due liquidi si scrutano attraverso la trasparenza del ghiaccio che nel tempo si assottiglia. Si scambiano sguardi lontani, piccoli sorrisi, semplici gesti finche’ ecco che, quasi per caso, avviene una piccola crepa nella diga. Un’invito a prendere qualcosa da mangiare, una stretta di mano. Tutto procede con calma finche’ lo spessore del ghiaccio si assottiglia, diventa fino fino e si spezza. I due mondi si contaminano in modo indissolubile, non si puo’ piu’ tornare indietro. Oggi si e’ rotto il ghiaccio ed e’ stato magnifico…

Oggi sul villaggio si e’ abbattuta una calura fuori dall’ordinario, a detta degli stessi abitanti insopportabile. Io mi sono fatto due doccie (ovvero due secchiate d’acqua) e poi sono letteralmente svenuto all’ombra. Il caldo oggi era tale che addirittura i locali stavano all’ombra a sonnecchiare. Una cosa del genere non l’avevo mai provata. Facevo fatica a sollevare le braccia e l’aria calda certo non mi aiutava a respirare. Per questo vi dico che non ho dormito, ma penso proprio di essere svenuto tra le 11 e le 14. Quando mi sono alzato erano seduti all’ombra di un grande albero e mi hanno fatto cenno di sedermi vicino a loro. E’ stato un modo per rompere la barriera e ho accettato: ho annuito dicendo “Euva” che significa si in Comoriano e quando mi sono seduto mi hanno offerto una pagnotta di mais abbrustolita a cui ho risposto “Baraba Mengi” (grazie) e sono cominciati i primi sorrisi e hanno cominciato a parlarmi in lingua locale, cercando di insegnarmi le frasi e le parole e ad ogni mio tentativo di pronuncia ovviamente errato scoppiavano risate irrefrenabili La diga si e’ rotta, il ghiaccio infranto e appena ho chiesto se potevo fare delle foto hanno accettato entusiasti…

Mi hanno invitato a cenare con loro e ho mangiato Bava con Friapa, condito con il Putu, una salsa piccantissima. Appena ne mangiavo un boccone dicevo subito “Giba” (buono) e poi tossendo per il piccante urlavo “Uaua” (piccante!) e prendevo un sorso d’acqua a cui seguiva uno scroscio di risate. La cosa piu’ bella e’ stata la Mama, la nonna che non mi ha piu’ chimato Muzungu ma ha detto per la prima volta “Marco” ed e’ stato bellissimo. Mentre sto ridendo sento delle urla stridule provenire dal retro. Subito mi prendono e mi portano nel prato e resto affascinato dallo spettacolo della natura. Vedo una delle capre che da alla luce tre piccoli capretti, resto li’ a guardarli in silenzio mentre ancora bagnati cercano a fatica di alzarsi da soli…

mercoledì 27 aprile 2011

Inshallah...

Inshallah…

Paese che vai usanze che trovi recita il proverbio. Nella mia permanenza al villaggio ho avuto modo di vedere che succede durante la giornata; la fortuna (o sfortuna) di fare le uscite all’alba per vedere gli animali che passano mi ha dato questa opportunita’ e quindi perche’ lasciarsela sfuggire?

La vita al villaggio si svolge secondo ritmi ben definiti. Esistono due mondi contigui e separati, il mondo maschile e il mondo femminile con precisi compiti. La vita comincia un’ora prima dell’alba con il canto del Muezzin che richiama gli uomini alla moschea, perche’ alle donne questo luogo e’ interdetto, loro rimangono a pregare a casa; la moschea e’ anche il luogo per loro dove ritrovarsi e discutere di problemi del villaggio o di vari argomenti. Gli uomini poi escono con le loro barche e piroghe a escare mentre le donne escono nella foresta a cercare piante e quando fanno ritorno sono tutte assieme all’ombra di tettoie sgangherate o nella cucina comune a pestare cocco, bollire riso, patate o cassava, mentre  parlano tra loro ridendo ed urlando per tutto il tempo. Il mondo maschile e il mondo femminile non vengono mai a contatto tra di loro, se non dopo mezzogiorno. Gli uomini rientrano con le barche per la preghiera di mezzogiorno e poi il villaggio si spegne; tutti si rintanano all’ombra attendendo che finisca il caldo e arrivi il tramonto.

Non e’ poca voglia di fare o altro; dalle 12 alle 17 e’ letteralmente impossibile fare altro se non starsene fermi all’ombra il calore che c’e’ in giro toglie ogni forza e alle volte persino la voglia di parlare. Anche il piu’ piccolo movimento deve essere dosato con cura e lentezza altrimenti decreta un inevitabile bagno di sudore. Io stesso sto imparando adesso a camminare solo negli spazi stretti dove si annidano le correnti di aria fresca o solo all’ombra ma soprattutto piano e vi dico che e’ difficile anche per uno come me che quando cammina va lentissimo; qui sorpasso tutti e mi sembra quasi di correre: anche camminare all’ombra e’ un’arte che questi popoli padroneggiano con maestria. La monotonia del pomeriggio viene interrotta solo dal Muezzin per la preghiera del pomeriggio, circa alle 15:30 e dalle chiacchiere. Perche’ l’unica cosa che si riesce a fare ( ma alle volte fa cosi’ caldo che si sta zitti) e’ parlare. Qui uomini e donne si riuniscono: i due mondi si fanno vicini e si incontrano, poi al tramonto le donne vanno cucinare mentre gli uomini si accingono alla loro quarta preghiera della giornata.

Dopo la quinta preghiera e’ il momento del pasto. Il sole, elemento mortale in Africa, si e’ coricato da tempo e al suo posto c’e’ una piacevole frescura. Non sempre le luci funzionano e quindi in quel caso si accendono delle candele per illuminare la casa. Infatti e’ il momento del pasto, alle volte l’unico pasto di tutta la giornata, preparato dalle donne per gli uomini. Veniamo invitati a cena e vedo che ci sono solo uomini a tavola e chiedo se le donne sono andate a prendere le sedie e mi viene detto che se un uomo ha ospiti a casa allora e’ sconveniente che le donne siano a tavola. Se invece c’e’ solo il marito a casa allora possono sedersi a mangiare anche le donne e i bambini. Mi sento un po’ in colpa quando vedo che ci viene servito il pasto mentre le donne restano fuori della porta, ed entrano solo per sparecchiare.

Sembra di vedere la nostra societa’ ferma ai tempi della seconda guerra mondiale piu’ di 50 anni fa’. Uomini e donne erano divisi da un muro invisibile con compiti precisi e nessuna invasione di campo o discussioni. Ammetto che la situazione mi crea non poco imbarazzo ma cerco di dissimulare; non ha senso porre domande che magari possono sembrare irriverenti, io qui sono un ospite e devo dire che poche volte ho ricevuto tanto calore. Hanno condiviso con me, quel poco che avevano senza che io chiedessi nulla; hanno condiviso con me il loro cibo e hanno cercato di mettermi a mio agio sebbene non ci dessimo molta confidenza; loro sentono che appartengo ad un mondo diverso con logiche e dinamiche per loro non del tutto comprensibili, come del resto anche per me, ma sento che ci potrebbe essere qualche punto di contatto. Loro mi hanno accolto in famiglia solo per il fatto che ero da solo e non considerano una cosa giusta lasciare una persona da sola a se stessa senza aiuto: anche questo succedeva da noi oltre 50 anni fa…

Un fattore che detta fortemente i ritmi di questo luogo e’ la religione. Il mio non vuole essere un discorso di critica, ma solo una constatazione dei fatti. La religione Islamica e’ una religione totalizzante, nel senso che regola tutta la vita e la giornata si basa su ritmi scanditi dalla preghiera del Muezzin, dalla preparazione del cibo secondo certi dettami, ma soprattutto si vede nel modo di affrontare il mondo, gli avvenimenti che incorrono nella vita. Noi europei siamo abituati generalmente ad essere padroni del nostro destino, di poterlo plasmare a nostro piacimento. Qui c’e’ una parola che viene sempre ripetuta alla fine di ogni discorso che volge al futuro ed e’ Inshallah: letteralmente “se dio vuole”. Ma non assume il senso scaramantico con cui spesso viene detto (almeno qui in Italia) senza darci troppo peso. Qui assume un vero e proprio significato di attesa degli eventi perche’ come ha detto il mio studente ”Io non so che puo’ succedere domani, io sono nelle mani di Allah e se domani mi chiama a se questo e’ il suo volere e quindi va bene”. A queste parole sono rimasto di sasso, ma deriva a mio avviso dal modo in cui viene visto l’uomo nella religione Islamica. Islam significa “abbandono” e il muslim e’ sottomesso ad Allah. Si crea quindi la massima distanza tra dio e l’uomo senza possibilita’ di libero arbitrio; ma solo si attende che si compia il suo volere..

Ho provato molti piatti locali in questi giorni e devo dire che su alcuni ho alcune riserve, nel senso che non so quale sara’ l’effetto che potrebbero avere sul mio apparato digerente, perche’ so che prima o poi arrivera’ la diarrea, e’ solo una questione di tempo. Alla fine di un pasto particolarmente gustoso e devo dire abbastanza ricco ho chiesto scherzando ad Artadji, “sopravvivrò all’Africa?”. Lui ha fissato il cielo e la sua risposta e stata da manuale “Tu sopravvivrai Marco… Inshallah”. Ho guardato anche io il cielo e ho sussurrato “Inshallah”…

martedì 26 aprile 2011

La ricerca sul campo...

Oggi ricerca sul campo. Si comincia all'aba, ma non metto la sveglia; tanto alle 5:00 il muezzin mi svegliera' per la prima preghiera. Mi alzo come un automa e mi verso addosso un bel secchio di acqua piovana( altra non ne esiste) e mentre mi preparo Artadji va a pregare e poi ci incamminiamo alla barca mangiando una pagnotta di pane di cocco appena cotta. Arriviamo al porto (si fa per dire) e vedo una secca spaventosa, decine di metri di sabbia rossa come argilla circondata da un imponente mangrovieto. Arriviamo alla barca, un  6 metri dotato di tutte le misure di sicurezza africane (nessuna) la cui ancora e' un vecchio arrugginito motore. Mi guardo attorno e mi chiedo dov'e' il capitano e mi viene detto che e' andato a prendere il motore e la benzina. Chiedo se serve una mano ma mi risponde la mano del suo aiutante che indica una figura imponente, nera come la notte con in spalla il motore e nell'atra mano la tanica di benzina da 30 litri. Adesso lo vedo e resto senza parole. Mi supera di almeno 20 centimetri e quando e' davanti a me indietreggio di un passo. Mi da la mano dicendo un bassissimo "Salam Aleikum" e poi mi ripronuncia il suo nome: "Shaitan"!.
Ecco il mio studente sulla destra e sullo sfondo il capitano

Resto interedetto e poi guardo Artadji e gli chiedo a bassa voce "Ma si chiama veramente Shaitan, come il figlio di Ibliss?" E lui mi rispoone annuendo "Si, il suo nome infatti non e' molto bello tra noi musulmani". (Per i non islamisti Ibliss e' la versione tra islamica di Lilith una divinita' mesopotamica, solo che per musulmani e' malvagia e il suo figlio e' Shaitan, ovvero Satana). Credo che poche volte un nome identifichi una persona come in questo caso. Montiamo in barca quando il sole non e' ancora salito in cielo. Per uscire dalla secca bisogna procedere a passo d'uomo attraverso la barriera corallina. Io guardo il fondo  e ci saranno che poche decine di centimetri ma il nostro capitano sa dove portare la barca, non guarda nemmeno il fondo. Lui sente la strada che deve fare d'altronde e' satana...

La mattina e' perfetta, senza vento e con sole, e incontriamo almeno una cinquantina di delfini di specie e dimensioni diverse. La cosa divertente avviene al ritorno; di solito la prima cosa da fare e' quella di cercare di fare subito le catalogazioni, ma i nostri mezzi sono elettronici e quindi ecco il nostro fattore limitante. In un posto che non ha sempre corrente elettrica la cosa da fare e' quella di salvare tutte le informazioni e poi annotare tutto su carta per quando avremo a disposizione corrente  elettrica. Dopo aver sistemato i dati e l'equipaggiamento per il pomeriggio decido di darmi una bella lavata.

Qui avviene un bell'impatto devo ammetterlo. E' una sorta di downgrade che faccio fatica ad affrontare, ma oramai sono qui e ci devo rimanere percio' mi dirigo al Bagno Comoriano, come mi viene indicato da Artadji. Il bagno, ovviamente in comune e' una costruzione in forati, sulla cui sommita' ci sono dei locali divisi di circa un metro quadro con un buco all'angolo. Ecco questo luogo funge da bagno e da doccia. Particolare interessante per i bisogni piu' importanti: la carta igienica non esiste e quindi si usa una noce di cocco dalla parte setolosa e del sapone per lavarsi, tutto ovviamente in comune a disposizione di tutti (ammetto che questo non l'ho provato). L'acqua ovviamente non c'e', devi andarla a prendere al deposito di acqua piovana per cui eccomi in coda assieme agli altri a prendere l'acqua e sono andato alla doccia chiedendo prima se e' occupato; "Smilla" in comoriano e dopo il silenzio si puo' accedere.


Eccomi qui quindi uomo della presunta civilta' di fronte all'arcaico mondo dei nostri avi. Ma non mi perdo d'animo e comincio a lavarmi; penso che un secchio non mi bastera' mai, abituato come sono all'utilizzo di 30 litri minimo per una doccia. Beh, vi posso assicurare che il secchio che uso e' piu' che sufficiente e resto sorpreso dalla possibilita' di lavarsi con il minimo spreco di risorse. Finisco il tutto con una mega secchiata corroborante e poi collasso sul tappetino. Mi sveglia il Muezzin per la  preghiera del pomeriggio poco male perche' bisogna effettuare l'uscita al tramonto, che risulta essere meno fortunata dato che non vediamo nessun animale e mentre rientriamo comincia a montare onda. Devo dire che mentre penso alla barca fatta di legno non di primissima qualita' che prende certi colpi sulla chiglia ho qualche attimo di paura, ma poi osservo il capitano con il suo fare non curante penso "Marco non dovresti avere paura, sei in barca con satana, anzi per la precisione sei nella barca di satana, potresti avere problemi?".

Arriviamo al porto e altra doccia a secchi e qui arriva una gradita sorpresa. La parente del capitano porta due contenitori per la nostra cena e per la prima volta mi guarda senza coprirsi il volto. Ringraziamo, ci sediamo come sempre per terra e mangiamo. Il primo contenitore contiene del riso e cocco bollito, mentre il secondo contiene una salsa  che sembra yogurt ma e' un po' acida. L'insieme dei duesapori non e' male, ma per curiosita' chiedo che cosa sia la salsa e Artadji mi risponde che e' latte. Lo riguardo meglio cosi' a grumi e chiedo "Scusa, vuoi dire che sto mangiando latte fermentato?" e lui con tutta la naturalezza del mondo "Certamente, latte fermentato al sole per almeno 3 giorni!". Ecco, appoggio il cucchiaio e faccio notare che a noi europei il latte fermentato per tre giorni al sole non fa molto bene alla pancia.

Ride come un matto e comincia a raccontarlo e tutti quelli che conosciamo al villaggio; diciamo che ha segnato il resto della mia permanenza in questo posto. Prima di andare a dormire diamo loro il nostro materiale elettrico per farlo ricaricare e quando lo riprendiamo apro il pc per scrivere qualche pagina del blog. In quel momento mi accorgo che dall'interno del pc escono decine di formiche. Non dico nulla ne' mi arrabbio, ma lascio il pc per terra. Quando capiranno che dentro non c'e' nulla da mangiare se ne andranno da sole...

lunedì 25 aprile 2011

One night (and Day) in Africa...

Oggi si comincia, si parte per il sud per fare ricerca sul campo, percio' mi equipaggio al meglio per stare in un villaggio 3-4 giorni dove non ho ben chiaro che cosa potro' mangiare, ma almeno bere si' dato che ho con me delle ottime pastiglie depuratrici di acqua. Prendiamo nuovamente l’autobus e via che si parte verso Ouroveni. Piccola nota; oggi ho imparato un altro trucco sull’autobus: il guidatore quando vede delle persone che si avvicinano accende il motore come se stesse per partire, le persone salgono in fretta e lui cosi’ riempie prima il bus. Arriviamo al villaggio e subito si presenta un problema; appena arriviamo al posto per montare la tenda scopriamo che non ci sono i picchetti e la struttura per la tenda, abbiamo solo i teli. Ma qui ecco che arriva in soccorso la mia Baraka. Prima di partire siamo passati al bazar e mi e’ venuto in mente di comprare delle funi perche’ non si sa mai, meglio essere preparati, ho pensato. Ecco che quando prendo le funi e espongo ad Artadji il mio piano per tenere sollevati i teli lui esclama ridendo “Muzungu Baraka!”.

Sistemiamo il nostro hotel a 5 stelle e cominciamo a prepararci per uscire in barca, quando un improvviso temporale ci fa desistere e rimandiamo il tutto a domani mattina. Ne profittiamo per un giro al villaggio e qui Artadji mi istruisce su alcune norme di buon comportamento. La prima riguarda l‘ospitalita: “Se qualcuno ti offre qualcosa da mangiare e estremamente scortese dire no, bisogna assaggiare almeno un pezzo e poi dire basta”. Altra cosa riguarda la Baraka: “Se qualcuno viene verso di te con le mani giunte dicendo “Quesi?”, non ti spaventare non vuole dei soldi ma una tua benedizione”. Qui sorrido mentre Artadji rimane molto serio.”Vogliono che tu li benedica con la tua Baraka dato che sei piu’ grande. Percio’ tu prendi le loro mani con la tua mano destra, le appoggi sulla loro fronte e di loro “M’Bona” e gli darai la tua benedizione”. Sorrido al pensiero di come possa io dare una qualche forma di benedizione non essendo un religioso…

Proseguiamo lungo il viaggio e incontriamo il capitano della barca; un omone gigantesco che si presenta; non capisco bene il nome ma di lui parlero’ in seguito. Appena ci vede ci invita a mangiare qualcosa. Ecco la mia Baraka che si burla di me mentre Artadji mi osserva. Non posso dire di no percio’ acconsento; ci fa accomodare nella sua casa di lamiera e ci sediamo per terra mentre ci pone di fronte a noi un piatto di cassava, cocco e pesce e dei cucchiai. Ecco il piatto che unisce tutta l’Africa sub sahariana: la cassava. Per me e’ come un’iniziazione  verso questo continente, un modo per essere parte della famiglia. Non mi faccio domande e prendo anche io un cucchiaio dal piatto comune e mangio, sentendomi parte di un qualcosa...

Finiamo il pasto (qui si mangia quando capita, non le tre volte canoniche come in Italia) e torniamo verso la tenda. Lungo la strada vengo messo alla prova nuovamente perche’ un ragazzino mi si avvicina con le mani giunte dicendo “Muzungu, Quesi?”, ed io so benissimo come comportarmi. Prendo le mani del ragazzo con la mia mano destra, le porto alla sua fronte e solennemente dico “M’Bona” sotto lo sguardo di approvazione di Artadji che mi dice “Bravo, lo hai benedetto con la tua Baraka”. Arriviamo alla tenda e mentre sistemo il giaciglio per la notte e mi rilasso ci sono le due preghiere della sera, le ultime della giornata per i musulmani. Quando Artdji torna c'e' una piacevole novita’: ci e’ stata preparata la cena da una parente del Capitano, una graziosa ragazza che si chiama Kadija, come la prima moglie del profeta, la quale evita costantemente il mio sguardo coprendosi con il velo; il piatto che ci porta si chiama Tambi ed e’ pasta (ve lo giuro) scotta, senza sale scondita con qualcosa di dolce, credo sia manioca.


Sono affamatissimo e senza esitare inforco e ne mangio un boccone mentre vedo che mi sta osservando. Il sapore e’ orribile ma mento in modo impeccabile e vedo che Kadija si allontana sorridendo lasciandoci soli al lume di una candela. Finisco il piatto e me ne servo anche un altro tanta e’ la fame; qui in Africa non e’ certo il caso di fare gli schizzinosi. Mentre mangio esco un attimo nel prato; sono circa le 21, la notte e’ fresca e tutti i lampioni del villaggio sono spenti ma c’e’ sempre luce. E’ allora che alzo lo sguardo al cielo e resto senza respiro: centinaia, migliaia, milioni di piccole luci, cristalli che brillano come lampadine; la via lattea cosi’ limpida come mai potevo immaginarla adesso e’ sopra di me con tutto il suo splendore. Finisco il pasto e mi siedo sul prato guardando il cielo e senza volerlo mi ritrovo disteso a fissare in silenzio le stelle per attimi interminabili. Che piccoli che siamo di fronte a tutto questo…

Una piccola nota; tutto quello che e’ avvenuto oggi non e’ la maestria di uno scrittore nel creare storie ad effetto ma e’ accaduto sul serio, una notte ed un giorno in Africa…

domenica 24 aprile 2011

Baraka...

Questa stramba parola sta cominciando a farsi strada con prepotenza nella mia avventura africana. Cosa sia gia' lo sapete, ma oggi il mio studente alla luce di alcune fortuite coincidenze secondo me ha decretato che la mia Baraka e' forte. Sentite un po'...

La prima manifestazione della mia Baraka avviene al mio arrivo. Per problemi di aereo il mio bagaglio non parte assieme a me e io gia' lo vedevo perso per chissa' quale meta ed invece non solo e' giunto all'albergo, ma pure con un giorno di anticipo rispetto ai tempi previsti. Certo io questo non lo attribuisco al caso, ma solo all'efficenza delle linee aeree malgasce; si vede che da queste parti lo considerano un miracolo se arriva a destinazione...

La seconda volta che si e' verificata una coincidenza e' stato durante un'accquazzone torrenziale. La vista della pioggia e del sole assieme mi ha fatto pronunciare alcune parole in francese e li' un signore anziano per la prima volta mi disse che questa era la mia Baraka. Fatto sta che dopo quelle parole sono uscito e la pioggia e' finita ed e' rimasto solo il sole. Ma il meglio viene dopo.

Ho portato un documento all'universita', una pratic burocratica da epletare in segreteria. La segretaria era in ritardo, cosa che mi dicono molto rara, dato che qui alle 7:30 circa e tutto aperto. E adesso come faccio penso? Non posso consegnarlo nei giorni successivi, quel giorno era il termine ultimo, ma dovevamo anche prendere un autobus e quindi non aspettare tanto a lungo. Alla fine guardoArtadji e gli dico rassegnato "Facciamo cosi', andiamo, se la troviamo lungo la strada bene, altrimenti lo consegnero' in ritardo". Ci incamminiamo verso l'uscita e si materializza dal nulla la segretaria. Artadji mi guarda stupefatto ma non dice nulla, in attesa di forse di qualche altro segno, che arrivano prontamente qualche giorno dopo...

Domenica mi trasferisco nella residenza universitaria, ma stoltamente non ho telefonato al responsabile per gli alloggi che ovviamente la domenica non lo trovo. La cosa comincia a preoccuparmi, ma non poi tanto, dato che alla brutta mi sarei trovato un albergo dove passare la notte, niente di grave. Ma ecco che per un caso fortuito ecco arrivare da noi un ragazzo con delle chiavi. Ci dice che gli sono state consegnate dal responsabile dato che lui in questi giorni non ci sarebbe stato. E qui Artadji non si trattiene piu' "Tu devi averla forte la Baraka; ogni volta che c'e' un problema la tua Baraka lo risolve in pochi attimi".

Ma ecco l'ultimo evento. Stiamo facendo i preparativi per andare a visitare un villaggio sulla costa, e li' pianteremo una tenda per la dormire. Stiamo passeggiando per il bazar quando noto tra le bancarelle delle funi. Dopo aver trattato per il prezzo di una e averla acquistata sento la sensazione di doverne acquistare un'altra e cosi' faccio. Artadji mi guarda perplesso, ma io dico che preferisco essere preparato al peggio. Bene, appena arriviamo al villaggio e montiamo la tenda notiamo che ci siamo dimenticati la struttura portante che viene risolta grazie ad un buon uso delle due funi che ho comprato. Appena Artadji le vede non puo' fare a meno di ridere di gusto ed esclama "Muzungu Baraka!".

sabato 23 aprile 2011

Welcome to the Jungle!

Oggi giornata campale. Si perche' oggi si va a vedere i siti dove dovremmo prendere la barca e cominciare la nostra attivita' di campo, guardo la cartina e non mi sembrano cosi' lontani tra loro, non oltre i 30 km penso, ma siamo in Africa, strade sconnesse, e nessun orario per le partenze, quindi un verra avventura...

Prendere lautobus e' stata praticamente un'esprienza mistica; il nostro viaggio verso due villaggi, almeno per me non e' stato solo uno spostamente fisico e tutto si e' svolto in varie fasi. La prima cosa e' trovare un autobus; li cerchiamo nel posto dove di solito si riuniscono, una sorta di piazzola di sosta; ovvero un incrocio di tre strade con al centro un grande albero, li ci siede all'ombra e si aspetta. dopo circa mezz'ora di attesa ecco arrivare un vecchio pulmino renault, il nostro mezzo. Trattiamo il prezzo e poi saliamo ci mettiamo in fondo. appena salgo l'autobus urlante si ammotulisce e tutte le persone all'interno si girano verso di me. DEvo dire che 20 occhi bianchi che ti fissano sono difficili da sostenere, e allora provo a rompere il ghiaccio con la formula magica: "Salam-Aleikum".

Loro si gurdano per un attimo e poi tutti in coro "Aleikum-Salam". La tensione si scioglie e e sento che si parlano sottovoce nella loro lingua e dicono spesso "Muzungu" che viene ripetuto spesso indicandomi. Artadji mi spiega che e' la parola con cui vengono chiamati gli europei e in generale i bianchi, ma loro non pensano che io lo sia; dato che ho la barba e un Muzungu non prende l'autobus. Rido e questo contagia l'autobus, soprattutto i bambini, che mi dicno Muzungu e ridono.Ma il meglio lo da il conducente; si perche' avere un bianco a bordo e' una cosa molto rara e appena puo' mi indica ai suoi amici come fossi un'attrazione.

dunque alla fine si parte appena il bus si riempie, cosa che avviene poco dopo (appena siamo in 14 all'interno); vi ricordo che l'autobus parte solo quando e' pieno. Si esce dalla capitale e si prende l'unica strada asfaltata che si dirige  a sud, impossibile perdersi. La strada entra nella giungla, che non degrada lentmente dal bordo della strada, una vera intricata e fittissima J-U-N-G-L-A; ci si entra solo con il machete o non si fanno che pochi passi. La strada di nero asfalto ci corre attraverso con i rami che ci sovrastano. Tutti appiccicati proseguiamo mentre osservo un monotono verde pesaggio interrotto dai vari villaggi che se non avessero nomi diversi ai miei occhi sarebbero tutti uguali: un insieme di case di cemento non finite o di lamiera e auto spolpate ai bordi della strada. Vorrei fare qualche foto, ma mi risulta praticamente impossibile, perche' sono letteralmente scihaccito ed incastrato e posso solo guardare.

Arriviamo al villaggio e il mezzo si svuota. Ovviamente sono l'attrazione locale e tutto il villaggio vuole vedere se e' vero che in un villaggio di pescatori senza uno straccio di albergoe sceso un Muzungu da un autobus. La prima cosa da fare e' parlare con l'anziano del villaggio di quello che vogliamo fare; perche' nella malaugurata ipotesi che lui non ci accetti la cosa si fa difficile.  Ci piazziamo all'ombra di enorme agave e arriva con un'aria solenne, vestito solo di bianco cosi' risalta la sua pelle piu' nera dell'ebano e sicuramente piu' dura del mogano . Tutti si alzano al suo arrivo e io faccio lo stesso; ci saluta con la solit formula a cui tutti rispondiamo in coro. Lui nota subito il mio saluto e e fa un cenno di assenso con il capo. Il mio studente espone le nostre questioni, ma il vecchio non ha occhi che per me; un muzungu nel suo villaggio. Non e' che mi fissa, praticamente mi scruta dentro e cosi' a fondo che sembra quasi che mi tocchi mentre sputa come un lama sul tronco dell'agave. Non riesco a sostenere il suo sguardo se non per pochi attimi. Dopo che Artadji finisce c'e' un attimo di silenzio poi guardandomi fa un cenno di assenso e mi rilasso. Dice che ci procura anche un alloggio con bagno per lunedi' e pure gratis, quasi incredibile.

Cambiano villaggio e ripetiamo la stessa storia e anche qui va tutto a buon fine. Ci riposiamo per un po' all'ombra di un gigantesco baobab ed e' il momento di rientrare e qui vi posso assicurare arriva il meglio del racconto. Si perche' il pulman che arriva e' ricolmo di gente ma non ci disperiamo. piano piano entriamo e riesco a sistemamrmi in un angolo. siamo ben 16 all;interno mentre altri 7-8 stanno o attaccati all'esterno per dare equilibrio o sul tetto assieme a merci e mi pare qualche gallina. ma il meglio lo da il nostro guidatore. Sembra il sosia di Wesley Snipes, con una giacca di camoscio doppio petto, una camicia rosso fuoco, occhiali rayban e una scarpa pitonata che si intona con la cintura. appena mi vede mi fa il cenno di Fonzie (Hey) e mi ulra "Hey Muzungu, how are you?"; sento gia' che sara' emozionante.

Entro e mi pigio in un angolo ma stavolta nessuno dice nulla. Si vede che si e' sparsa la voce che un muzungu impazza per il villaggio. L'autista accende il mezzo, sgasa di brutto e parte a razzo. Non e' che domina la strada, praticamente la domina. Corre come un pazzo schivando per pochi centimetri le auto che corrono in verso contrario e facendo prendere al mezzo di quelle buche che penso che le sospensioni siano esplose tempo fa. Guida urlando e gesticolando in giro tanto che alle volte si gira verso di me facendo (ricambiato) il verso di Fonzie. Poi una buca troppo grossa fa sussultare tutto il mezzo che rallenta. Mi coglie un pensiero: che il mio invicibile guidatore sia stato sconfitto? Niente di tutto questo: chiama l'addetto all'apertura della porta che prende una chiava inglese e fissa i bulloni della ruota: incommentabile...

Stiamo per arrivare in capitale quando un improvvisa temporale fa ingrossre un fiumiciattolo e Wesley si avvicina, sgasa di brutto e lo guada! Oramai non ho piu' paura, qulunque cosa ci sia sulla strada lui ne avrebbe ragione con una sgasata. Quando scendo ci guardiamo e facciamo all'unisono un HEY! e mi sento anche io un po' Fonzie...
 

Ecco la foto del guado

Trasporti..


Spostarsi in questo posto, puo’ risultare alquanto difficile se non si possiede un mezzo proprio ( e anche se fosse non e’ che le strade aiutino). qui non ci sono i mezzi pubblici e quindi e percio’ ci si sposta con i taxi o con dei pulmini.

Il taxi all’interno della citta’ ha una tariffa quasi sempre fissa di 250 FC (circa 0,60 euro). Ovviamente non esistono delle macchine identificative, ma solo una targa con su scritto Taxi ovviamente in giallo. Non so se esiste un numero per chiamarli, ma tanto e’ tutto molto semplice. Ti metti al bordo della strada, alzi la mano quando ne vedi uno arrivare, contratti il prezzo e poi ti siedi per la tua destinazione. E qui arriva il bello, perche’ dalle nostre parti il taxi di solito viene preso da persone che normalmente si conoscono. Qui viaggiare e’ anche un modo per condividere qualcosa. Tu sali e mentre le altre persone ti fanno gentilmente posto parte immediatamente un cortese saluto che da spesso il via a delle discussioni o risate. Il primo taxi che ho preso sono stato sommerso di domande, dato che non e’ molto abituale vedere un europeo da queste parti che prende i mezzi dei locali. Ma quello che a me ha sorpreso sono le macchine. Immediatamente noto che l’autista ha un volante enorme e non penso che sia per una buona presa. Osservandolo meglio mi accorgo che e’ un copertone tagliato, piegato e legato attorno a quello che resta del vecchio volante.

Provo poi stoltamente a tirare indietro il sedile perche’ ho le ginocchia praticamente sotto il mento ma scopro che e’ bloccato. Cerco di capire come sbloccarlo e qui l’autista fa una risata e io mi accorgo che il sedile e’ saldato, perche’ quello su cui sono seduto non e’ ovviamente di serie. Qui si ripara e ricicla ogni cosa; le carcasse delle macchine vengono spolpate di ogni cosa per venderla: vetri, gomme, interni, perfino i bulloni. Rimane poi uno scheletro di ferro abbandonato ai bordi delle strade; meglio non chiedersi che fine possono fare le batterie…

Ma il meglio secondo me lo danno senza ombra di dubbio i bus. Si perche’ mentre il taxi porta fino a massimo 6 persone il pulmino non ha praticamente un limite di capienza. Dipende tutto dalla bravura del conducente a sapersi destreggiare tra la folla, le strade sconnesse, e ovviamente il carico umano che puo’ provocare non pochi problemi di equilibrio. Oggi ho preso ben due autobus per vedere un sito di avvistamento e questo merita un discorso a parte. Una cosa generale degli autobus e’ che non hanno una vera e propria area di partenza, ma una sorta di partenza abituale e ovviamente nemmeno un orario, m hanno solo di certo la direzione che di solito e’ uno dei villaggi sulla costa.

Appena chiedo quando ce ne sara’ un altro mi viene detto che ci potrebbe essere anche subito. Ma appena chiedo “Ma scusa non sarebbe meglio distanziarli di un’ora ognuno cosi’ ci sono piu’ trasporti?”. Beh, la risposta e’ senza diritto di replica; infatti il mio studente mi fa notare una semplice cosa “Perche’ bisogna partire ad una certa ora precisa se tanto tutti i passeggeri devono recarsi al villaggio? Meglio aspettare che ci siamo tutti e poi si parte”. Elementare Watson, penso dentro di me…

venerdì 22 aprile 2011

Che la pace sia con te...

Esiste un modo di salutare tipico dei paesi islamici che e’ un modo a mio avviso meraviglioso. Non si dice un asettico buongiorno, o peggio salve. Si dice qualcosa di simile a “Salam-Aleikum” (La Pace sia con te) e la persona risponde una cosa simile a “Aleikum-Salam”(Ti accompagni la pace). E’ un augurio importante, intenso e non superficiale a cui fa seguito una stretta di mano potente e vigorosa. Ma bisogna ricordarsi che alle volte dare la mano ad una donna non potrebbe essere visto di buon occhio; infatti ho fatto una mezza gaffe quando mi e’ stata presentata una studentessa e stavo per dargli la mano e lei e’ rimasta impietrita. Ho capito dopo che per lei era sconveniente toccarmi e quindi ho fatto un piccolo inchino.

Una cosa poi molto importante per loro riguarda il fatto che non sei un semplice europeo che ti saluta e viene salutato da un asettico buongiorno. Salutarli con “Che la pace sia con te” ti da una dignita’, ti fa sembrare piu’ una persona e non un anonimo turista che passera per la loro terra e questa per me e’importantissimo. Oggi poi quando ho detto che prima di pranzo ho riconosciuto il muezzin mi hanno chiesto se ero musulmano; ho detto di no ma che comunque ho letto della loro religione; questo li ha piacevolmente sorpresi (di solito solo i musulmani leggono il Corano e gli Hadith)  e questo penso mi abbia avvicinato a loro.

Nel pomeriggio ho fatto un giro guidato per la Medina, il vecchio quartiere arabo vecchio di 10 secoli e mentre stavamo per andare a vederlo ci coglie una pioggia torrenziale che ci ha fatto scappare sotto una tettoia. Attendiamo e dopo un po ecco che da sotto l pioggia sbuca il sole e mi sale un sentimento misto, di stupore e fastidio e faccio un commento ad alta voce, senza volere. "Pazzesco, scende un fiume d'acqua e c'e' il sole". Un anziano mi osserva e poi mi dice in tono secco "Questa e' la tua Baraka". Il mio accompagnatore non dice una parola (qui vige un profondo rispetto per le persone che hanno visto passare molte stagioni) ma appena ci allontaniamo mi dice a voce bassissima. "quello che e' accaduto e' un fatto particolare, e potrebbe essere un segno che porta fortuna".

Gia', perche la Baraka e', nel folklore islamico, un momento, un evento o anche una persona che ci forniscono la grazia o una benedizione. L'evento o la persona non e' detto pero' che agiscano portandoci del bene immediato (magari un evento traumatico ci da lo slancio per una nuova vita), che quindi ci sia un qualcosa di positivo o di negativo. Fatto sta che quel "qualcosa" potrebbe essere la molla che porta ad un evento faverevole se l'uomo e' in grado di far fruttare il momento

Beh, io in quel momento ho sorriso e sono uscito sotto la pioggia e dopo un po ha completamente smesso. Certo esistono mille spiegazioni razionali della cosa, ma noi siamo creature a cui alle volte piace dare un tocco di magia alla nostra vita. Sulla via del ritorno ho fissato l'orizzonte ripensando con un sorriso alla mia Baraka, mentre il sole mi inondava il volto. E’ quasi cena adesso e risuona il canto del muezzin per la preghiera e vi posso assicurare che e’ uno spettacolo meraviglioso, tutto si placa e c’e’ solo la sua voce nel silenzio…

Aleikum-Salam

Relativita'...

Dopo averlo letto in Ebano, ho scoperto di persona che qui il tempo e lo spazio sono dimensioni relative; di assoluto qui c’e’ solo la miseria. Io e il mio studente ci siamo dati appuntamento alle 8 di mattina. Per me le 8 di mattina sono le 8 di mattina mentre per il mio studente erano le 8 di mattina ma non tassative, non mi sono arrabbiato, o altro. Oramai ripeto da circa 4 giorni un mantra continuo dentro di me “.. questa e’ Africa…”; e non si puo’ cambiare; chi sono io piccolo e misero occidentale per cambiare un mondo che invece il tempo lo ha piegato? Qui lo stile di vita viene chiamato “Mora Mora”, letteralmente piano piano. Percio’ non bisogna arrabbiarsi, ma stimolare l’orientale e sicuramente africana arte della paziente attesa. Facendo cosa ci si domanda? Ecco un bel niente di niente.

Nel nostro mondo occidentale noi non stiamo mai fermi, ci troviamo sempre qualcosa da fare per recuperare un non ben precisato impegno. Non abbiamo mai tempo per noi stessi, figuriamoci per gli altri., ma siamo pieni di belle cose che riempiono il nostro mondo: oggetti, beni di consumo, il cellulare ultimo modello , il televisore nuovo, la macchina. Lavoriamo come matti per comprare queste cose e dopo un mese ce ne dimentichiamo e ne vogliamo altre e la ruota ricomincia. Ma quello che abbiamo perso per sempre e’ il tempo per comprarle. Non ha valuta e una volta usato non hai un bancomat dove poter prenderne di nuovo. Ne hai un quantitativo limitato e dovresti starci attento a come usarlo.

In questo continente manca tutto, ma c’e’ tutto il tempo del mondo. Forse e’ questa la dimensione naturale delle cose. Recuperi una visione personale della tua vita, in cui possiedi una cosa normale e non un lusso come puo’ essere nel nostro civilizzato mondo. Hai il tempo per non fare niente e pensare a quello che ti pare. Forse bisognerebbe rivedere i criteri con cui viene decretato il livello della ricchezza. Il piu’ popolare e’ l’indice di quanto consumiamo, quanto spendiamo, ma non misura quanto effettivamente possediamo. Qui le persone magari non hanno niente ma possiedono qualcosa che noi abbimo perso secoli fa: possiedono Tempo, bene inestimabile e questo ai miei occhi li rende ricchissimi…

Adesso sta diluviando da circa due ore (siamo alla sera) e non c’e’ niente altro da fare che starsene qui al riparo a sentire il fragore assordante della pioggia. Mi sembra di rivedere mio nonno, Roccia che Corre (non e’ un nome veneziano lo so bene, ma mi piace vederlo cosi’), che quando ero un bimbo mi raccontava le storie di Venezia e mi parlava delle maree; confesso che all’epoca non capii molto, ma mi affascino’ non poco il fatto che il mare si sposta da solo, lo faceva sembrare un essere vivente (e a suo modo lo e’) e ricordo bene le sue parole: “…ricordite Marco, che ea marea sie ore crese e sie ore cala; tutto il resto va de conseguensa…” (per i non venexiofoni: “Ricordati Marco la marea 6 ore cresce e 6 ore cala; tutto il resto va di conseguenza”); direi abbastanza africano cone modo di vedere le cose…

mercoledì 20 aprile 2011

On y va à Comores

Ci siamo, si parte per le Comore. L’arrivo all’aeroporto e’ da manuale della puntualita’ ma e’ qui che cominciano i problemi veri e propri. Si perche’ mi avevano avvisato che ho a disposizione solo un bagaglio a mano, ed un bagaglio da mettere in aereo, ma non pensavo che fossero cosi’ tassativi. Il mio bagaglio non ci sta per ragioni di sicurezza e quindi non c’e’ modo di piangere, urlare o provare a corrompere (ci ho provato, ma senza successo), l’unico cosa che riesco a spuntare e’ che mi posso portare due bagagli in cabina e l’altro bagaglio mi verra’ spedito con il prossimo volo. Non esiste altra possibilita’e quindi mi devo rassegnare. Faccio tutte le carte necessarie e attendo il mio volo. Mi fa compagnia in questo mio ultimo viaggio un gorilla pugile (che vi consiglio di non far arrabbiare) e un libro che mi ha dato la mia meta’ del cielo, Ebano di Riszard Kapuscinski ( ve lo consiglio caldamente). Bene oggi ho scoperto una cosa mentre attendevo che il mio aereo arrivasse e partisse con quasi due ore di ritardo: che un aereo in africa parte quando e’ pieno...

Il meglio pero’ e’ l’aereomobile; sembrava un DC-9 della seconda guerra mondiale. Vola ad elica e balla da impazzire. Ammetto di aver avuto un po’ di paura ma oramai che posso fare? Tornare indietro non si puo’ dopo tutto il casino che ho fatto e quindi l’unica e’ salire con un incosciente sorriso mentre penso al fatto che un aereo cosi’ non l’ho mi preso. Prendo posto in un aereo piccolo e carico di umanita’. Ci sono altri due bianchi assieme a me, e sembrano turisti non viaggiatori. Tutti gli altri sono comoriani che tornano a casa.

Arrivo e sembra una festa, sono arrivati tutti a prendermi e mi sento trattato quasi da persona importante, saliamo in macchina ed ecco che ci dirigiamo verso l’albergo. Anche questa e’ Africa, ma forse ci sto facendo l’abitudine; quello che faccio fatica invece a sopportare e mi ci vorranno dei giorni e’ il caldo. Non e’ il caldo europeo, nemmeno quello delle Maldive; qui qualcuno ha lasciato qualcosa sul fuoco dall’alba dei tempi e non ha mai spento il gas: fa caldo in modo terribile! Dopo i convenevoli vengo lasciato in albergo perche’ ci troviamo subito a cena con alcuni responsabili del progetto. Vado in camera e il primo impatto e’ buono, m poi vedo il bagno e osservo meglio la camera.

“… questa e’ l’africa …” risuona nella mia mente mentre mi avvicino alla doccia e noto con piacere che il tubo non funziona benissimo e l’acqua calda e’ rotta. Ora comprendo il motivo del secchio vicino alla doccia. Tu prendi l’acqua fredda, riempi il secchio e lo lasci li che si scaldi, cosi’ hai anche l’acqua calda: mi sento molto un colono mentre mi lavo con i secchi, ma e’ cosi’ affascinante che non posso fare a meno di riderci su. Fatta la doccia mi aspetta una bella cena in cui vedo i locali mangiare cibi freddi ed io mi faccio attrarre da una bella bistecca con verdure bollite. Ora capisco tutto, da solo bevo 4 litri di acqua tra le loro risate dato che ne avro’ sudati altrettanti. Mi resta solo il tempo dopo cena di andare a controllare la posta e cominciare il Blog. Da notare che le Comore hanno cominciato giusto d aprile a dotarsi di fibra ottica, che significa collegamenti a singhiozzo. Una nota sul cielo africano: tutto quello che vi hanno detto e’ una balla, e’ talmente bello che non posso descriverlo. Appena fa buio le stelle in cielo sono cosi’ tante e vicine che ti verrebbe voglia di prenderle e mettertele in tasca…

martedì 19 aprile 2011

IVATO, aeroporto di Antananarivo.Africa…

La notte e’ passata al meglio. Una doccia ed una corroborante dormita mi hanno dato forza. La pioggia deve essere caduta incessante per tutta la notte, almeno ha completamente rinfrescato la calura africana. Oggi ho una missione importante trovarmi un altro albergo. Si perche’ e’ avvenuto un disdicevole evento. Il mio albergo non e’ stato prenotato per una incomprensione e dimenticanza mia. Ammetto che alla sera mi ero disperato e mi vedevo gia’ sbattuto fuori alla mattina del giorno dopo a girovagare per un villaggio chiedendo aiuto: certo la sto facendo tragica, ma devo ammettere che mi sono sentito abbastanza abbandonato a me stesso a migliaia di miglia da casa, solo in un paese straniero con difficolta’ linguistiche: praticamente una facile preda di spiacevoli eventi, ma che ho evitato. L’albergatore direi mortificato per la situazione mi procura immediatamente una stanza per dormire in un albergo di sua fiducia. Mi rilasso immediatamente e la ma giornata migliora di colpo, ma non troppo…

Provo ad uscire dall’albergo per cercare un internet point, ma dopo alcune centinaia di metri rinuncio. Ero l’unico bianco, un po’ come un faro per naviganti notturni. Sulla strada mi sono trovato in mezzo a carri trainati da buoi, sporcizia, venditori ambulanti, ma soprattutto bambini  con abiti logori e sporchi che continuamente chiedono “ Messier, a-tu quel que choisie pur manger ?”, “Signore, ha qualcosa per mangiare?”. Mi hanno raccomandato di non dare soldi a nessuno ma quegli occhi supplicanti e credo veramente affamati, quelli mi fanno veramente male, cosi’ tanto che preferisco tornare indietro, non riesco a proseguire. Vorrei fare delle foto, ma non posso farlo. Sono uomini, non attrazioni, condannati alla miseria anche da noi. Hanno una dignita’ e non vedo perche’ dovrei violarla, presentandoli sporchi, con gli abiti bucati e logori, quando gia’ violentiamo il loro continente con i nostri occidentali interessi?

Torno indietro quasi di corsa e mi siedo nel mio occidentale albergo guardando dalla finestra. Mi avevano raccontato l’africa, la miseria: avevano detto che sarebbe stato forte, e pensavo di essere preparato, ma non lo si e’ mai abbastanza di fronte a certe cose. Oggi mi vergogno nel vedere che cosa e’ diventato questo continente, come lo abbiamo sfruttato, impoverito, brutalizzato. Ha cominciato a liberarsi dal gioco coloniale 50 anni fa ed i paesi liberati erano partiti con i migliori auspici cercando di portare liberta’, ma soprattutto istruzione e benessere e invece hanno preso il peggio che si potesse prendere da noi. Forse esagero, esistono anche realta’ positive, ma oggi ho molta rabbia in corpo per la mia impotenza di fronte a questa situazione che non riesco a scrivere diversamente. Oggi ho visto una delle mille faccia dell’africa e mi ha fatto male, ma quegli occhi, supplicanti, quelli non li dimentichero’ piu’…

Prima della cena ecco giungere il tramonto e comincia la guerra, ovvero la guerra agli insetti! L'albergo non ha la zanzariera quindi mi devo attrezzare con repellenti vari, creme e soprattutto sterminare di persona le zanzare rimaste all'interno. Dopo una dura lotta il tramonto e' finito e comincia la buia notte africana.  Oggi come ieri niente stelle, ma le nuvole si avvicinano e comincia una pioggia torrenziale, il cielo fa cadere fiumi di acqua sull'Africa e qui tutti muoiono di sete (ragazzi del L.A.S.A. credo che dovremmo venire qui e fare una sistema di recupero di acqua piovana). La cena devo dire che e' stata veramente ottima e mentre la gusto faccio un po' di pratica con il cameriere che non sa l'inglese e quindi il francese e' d'obbligo. Complice un'inspiegabile problema di roaming non posso chiamare e devo dire che non parlare italiano per 2 giorni sta giovando e molto al mio francese.

Dopo cena resto in veranda ad ascoltare la pioggia che cade. Ho modo di vedere quali sono gli altri abitanti del mio albergo e noto con orrore un'altra iaga di questi luoghi: il turismo sessuale. Si perche' ecco arrivare uomini di mezza eta' accompagnati da ragazzine che faranno a malapena le superiori. Gli uomini ricambiano con vergogna il mio sguardo di disprezzo mentre le ragazze, che potrebbero essere le loro figlie o peggio nipoti, fingono di non vedermi; per loro e' un modo per riscattarsi dalla miseria. Ma una cosa rallegra la mia giornata. E una coppia di giovani sposi di un villaggio vicino. Sono venuti qui a trascorrere due giorni in viaggio di nozze e mi fanno una tenerezza incredibile; si sono fatti portare la cena in camera e gli auguro in di gustare ogni piacere che la notte gli possa fornire. Piove sempre a dirotto e ho deciso di scrivere qui fuori mentre il resto del mondo sembra fermo. Qui in Africa va tutto piano, il tempo e' rallentato, soprattutto di giorno, non passa mai. Domani mi imbarco per le Comore, ma sara' domani. Stanotte non vedro' ancora le stelle, ma questa pioggia rinfresca un po' unaltra torrida notte africana...

lunedì 18 aprile 2011

Partenza...

Bene eccci qui.

Ho deciso (finalmente) di cominciare questo blog per raccontarvi la mia esperienza in terra africana ma non solo. Perche' come avete potuto leggere dal titolo, sono due gli elementi trainanti di questo posto, il gioco e i mostri marini. Quando ho cominciato a giocare di ruolo, troppi anni fa oramai, spesso leggevo di mostri che abitavano le profondita' degli abissi: se mi avessero detto che li avrei inseguiti per i mari facendo il voyeur, ehm, il biologo marino non ci avrei mai e poi mai creduto. Ma tant'e' eccomi qui a cominciare un'altra avventura che mi riporta di nuovo a sud verso l'Oceano Indiano destinazione Comore, Tra Africa e Madagascar; percio' mettetevi comodi che comincia il viaggio...

Rotolando verso sud...

Questa meravigliosa canzone dei Negrita mi ha accompagnato la prima volta che ho visto l'oceano indiano e ne sono rimasto conquistato da silenzi, colori, stelle e oceano sconfinato. Ci sto tornando per svolgere una parte del mio dottorato in cui cerchero' di ascoltare i suoni dei miei amati mostri marini di cui oramai mio credo di essere un drogato. Oggi prima tappa del mio viaggio  e primi due aerei da prendere. Il primo e' un comodo (mica poi tanto) Venezia Parigi e poi un lunghissimo Parigi Antananarivo. In totale partenza da Venezia alle 07:10 e arrivo alle ore 22:00  in Madagascar. Ma qui ecco la prima sensazione di Africa che ho avuto ancora prima di partire. Si perche' giovedi' mi hanno avvisato che il mio volo per le Comore e' stato cancellato, per cui ho gia' due giorni di ritardo sulla tabella di marcia ma la risposta a tutto questo e' una sola: "...questa e' l'Africa ...". Sorrido a questa bellissima frase che sintetizza nel bene enel male un continente crogiuolo di mille mondi che probailmente ha dato la vita a molti nostri archeologici antenati, ma che poi ci guarda ogni volta con la sua faccia sporca di bambini affamati ricordandoci spesso le nostre colpe di occidentali coloniali. Tralascio la parte che riguarda dover svuotere tutto il bagaglio a mano completamente elettronico ovvero tutta la mia strumentazione. Scopro con orrore di aver dimenticato all'interno un coltello multiuso che m viene prontamente requisito (come si dice a Venezia  "descantabaucchi!")!

Il volo intercontinentale mi catapulta in un mondo completamente nuovo, in cui tante vite salgono a bordo. Non e' il solito aereo turistico in cui ci sono le solite facce da turisti. Qui ci sono "viaggiatori " perche' non solo la meta non e' molto sfruttata, ma soprattutto molti sono migranti che magari tornano a casa. Per cui ecco il padre migrante che torna a casa, la signora con la figlia che al momento giusto si rivolge verso la mecca (credo sia dotata di una buona bussola) per la sua preghiera ed un evangelico seduto vicino a me con la sua bibbia: che bella l'umanita' alle volte. Il volo mi regala delle immagini dal finestrino mozzafiato: alpi innevate che salgono come scogli sopra nuvole che sembrano un placido e biancastro mare. Ma ecco che finalmente lo vedo dall'alto il deserto, Sahara, lo specchio d'oro dei Beduini. Che piccolo che e' il mondo da quassu' penso; noi nemmeno ci siamo in qiuesta mappa in rilievo del pianeta; i paesi scorrono veloci (si fa per dire) sotto di me, tanto che non so nemmeno bene che cosa sto percorrendo. L'aereo non e' affatto divertente come mezzo, non sa di umanita', ma e' tutto asettico, ordinato e senza sbavature. Distolgo lo sguardo dal basso, da dove non distinguo bene le cose ne so dove possa essere il Kilimangiaro. So solo che volgo lo sguardo vero Ovest e un sole rosso mi acceca. E' lo stesso che ho visto stamane all'alba quando sono partito e mi saluta colorando di rosso, magenta, arancione, vermiglio tutte le nuvole che stanno attorno a me...

Atterraggio tranquillo, e appena esco dalla cabina dell’aereo, pressurizzata, fredda e asettica, ecco che mi investe un caldo ventilatore, un phon che sale dall’asfalto caldo mentre sopra di me mi saluta il cielo africano con uno scroscio prepotente di pioggia. Comincia una lunga trafila per avere il visto (gratuito) in cui ti guardano con occhio clinico e non capisco come mai lo chiedono almeno 3 volte prima di uscire, ed il colmo secondo me sono due guardie a circa 20 metri di distanza una dall’altra. Mi sono dato molteplici spiegazioni a riguardo. Ci potrebbero essere dei conniventi con terroristi per cui bisogna diversificare i controlli, oppure che non tutti sono svegli e quindi meglio avere piu’ controlli. Dato che sono in africa, in cui la corruzione e’ un fatto endemico (qui non e’ differente dall’Italia) e’ probabile che qualcuno prenda mazzette per far passare merci o altro senza controlli. Esco dall’aereoporto ed ecco l’Africa che ti colpisce come un pugno in faccia.

Mi si avvicinano un sacco di persone, chiedendomi dove devo andare, cosa mi serve, se ho dei soldi per mangiare. Resto quasi stordito da tutto questo quando vedo il cartello del mio albergo ed eccomi salvo a destinazione. Salgo sulla navetta, Il percorso sotto la pioggia mi sembra molto strano. Mi sento sospeso in una realta’ non mia, d'altronde sono solo di passaggio qui. L’albergo ha una cancellata in ferro molto robusta e le camere sono pulite, ma essenziali. Il letto con una tavola di legno per rete ed un duro materasso che non disturbera’ minimamente il mio sonno. Guardo fuori dalla finestra nella pioggia che scroscia e non c’e’ niente, poche luci, poca vita, ma almeno tutto questa acqua rinfresca l’afoso caldo della mia prima notte africana..