martedì 31 maggio 2011

Potere alla Parola...

La comunicazione tra gli animali avviene in due modi; usando il linguaggio del corpo, con posture e segnali ormonali o usando i suoni. L’uomo e’ un animale, anche se spesso se ne dimentica, e nel corso del tempo ha sviluppato forme di comunicazione verbale molto complesse, non abbandonando mai il linguaggio del corpo, retaggio indissolubile della nostra passata vita ferina.

A questa nostra meta’ oscura sono infatti associati tutti gli “istinti di base”, come mangiare, dormire, riprodursi, l’istinto a sopravvivere o la rabbia e sono retti dalla zona limbica mentre tutto il resto viene regolato negli emisferi cerebrali. E’ affascinante notare che ogni segnale che arriva dalla nostra parte animale sia quasi inarrestabile, nonostante milioni di anni di evoluzione. Se cosi’ non fosse non avremmo l’istinto a riprodurci e ci estingueremmo in breve tempo, ma questo puo’ anche generare, in alcuni soggetti, attacchi d’ira furiosa incontrollabili…

“In principio era il verbo”, recita il vangelo di Giovanni e, restando in campo biblico dopo la torre di Babele (“confusione”), l’uomo ha evoluto milioni di lingue che si sono succedute nel corso dei millenni. Ogni linguaggio ha poi dato vita a innumerevoli dialetti; essi sono una forma di comunicazione semplice ed immediata, alle volte con poca o nessuna sintassi, non come la lingua ufficiale dotata spesso di corposa grammatica con tanto di regole di costruzione delle frasi e via dicendo.

Il dialetto e’ il vero figlio della terra perche’ dice quello che deve senza giri di parole, con termini asciutti ed immediati; vi confesso che quando torno a Venezia non perdo occasione per parlare il mio caro, cantilenante dialetto veneziano. Il problema dei dialetti e’ che spesso sono poveri di termini e tendono a generalizzare. Ad esempio la pioggia in veneziano e’ “piova”, ma non definisce una sua quantita’. Mentre in italiano abbiamo pioggia, acquazzone, diluvio, in dialetto bisogna aggiungere delle parole rafforzative; se ad esempio si vuole dire un acquazzone di dice “piove a secci roversi”.

Dopo un po’ di tempo qui ho cominciato ad usare qualche frase in comoriano e ho notato una certa somiglianza con le forme dialettali. La lingua locale non ha termini precisi per ogni animale; mentre usciamo in barca ad esempio i cetacei vengono divisi in due grandi insiemi: “nduju” sono le balene senza una distinzione di specie; che siano capodogli, megattere, balenottere sono tutte “nduju”, mentre “fumbanduju” sono i delfini, indipendentemente dalla forma, che siano tursiopi, stenelle, grampi; comincio ad avere il sospetto che tutto quello che sia piu’ piccolo di  “nduju” sia “fumbanduju”.

Artadji ieri mi ha chiesto se in italiano esistesse un termine per ogni cosa. Io ho detto che non ne sono sicuro, ma credo che avendo milioni di vocaboli (onore al vocabolario Devoto Oli) posso dirmi quasi certo della cosa. Lui rimase allibito da tale ricchezza, ma gli ho fatto notare che l’Europa, il vecchio mondo, ha una storia millenaria, che ha prodotto decine di culture, tradizioni e letterature diverse che nel tempo hanno evoluto linguaggi complessi fino a diventare le lingue moderne che conosciamo.

In Africa non c’e’ stata una crescita dello steso tipo per quello che riguarda il livello tecnologico, e questo forse e’ uno dei misteri dell’antropologia. Forse il clima difficile, non ha permesso la crescita di civilta’ stabili ma hanno dato vita a popolazioni nomadi che si spostavano in continuazione. Certo e’ che questo non ha formato una lingua scritta che si potesse evolvere, ma ha portato alla creazione di una forte tradizione orale che si perdera’ con la scomparsa del popolo che la pratica. Artadji poi mi fa notare che molti termini della loro vecchia lingua stanno scomparendo soppiantati da termini francesi o da abbreviazioni piu’ pratiche e veloci.

Dopo questa conversazione ho capito una volta di piu’ il valore del linguaggio, ma soprattutto della parola scritta e della grammatica (questo blog e’ pieno di strafalcioni grammaticali, ma sto migliorando, datemi tempo). Artadji mi ha detto che vorrebbe dare un nome comoriano a tutte le specie di cetacei: quanta passione c’e’ in questo ragazzo…

lunedì 30 maggio 2011

Olawa… il Terzo Potere…

Quarto potere (Citizen Kane) e’ una bellissima pellicola di Orson Wells in cui vengono narrate le peripezie del ricchissimo Charles Foster Kane, magnate  del quarto potere, i mass media, che tradizionalmente vengono dopo i tre poteri dello stato: legislativo, esecutivo e giudiziario, che in ogni democrazia devono restare separati ed indipendenti. Il quinto potere potrebbe essere quello religioso (alle volte diventa il primo) data la sua influenza nella vita delle persone. Ho imparato che qui alle Comore esistono solo 3 poteri…

Il primo potere e’ il potere dello Stato. Tutto quello che viene regolato e giudicato dalle leggi scritte viene considerato competenza dello Stato. Non viene visto diviso nelle sue tre forme: legislativo, esecutivo e giudiziario, come in occidente, ma considerato un corpo unico e soprattutto viene visto come qualcosa di distante dalla vita di tutti i giorni. Un mondo ricco di privilegi, come la nobilta’ medievale. Basti pensare che il Presidente dello Stato guadagna piu’ del nostro Presidente della Repubblica, piu’ di un milione di euro ogni anno e lascia il suo paese in miseria.

Il potere d’informazione in sostanza non esiste. In un paese in cui non c’e’ sempre disponibilita’ di energia elettrica per i continui black-out, nè copertura telematica su tutto il territorio, le televisioni e le radio non giungono in tutte le case a portare notizie. Le informazioni arrivano grazie ad un tortuoso telefono senza fili che parte dalla capitale, unico luogo in cui ho visto dei quotidiani.

Il secondo potere e’ il potere della religione e considerando che siamo in uno Stato islamico debbo dire che e’ veramente forte, dato che regola ogni singolo momento della vita delle persone dall’alba al tramonto. Io provengo da un Paese, l’Italia, in cui secondo me l’influenza della religione alle volte sconfina nell’ingerenza; beh devo dire che ringrazio gli dei del Kaos (inteso come forze della natura) per non essere nato qui. Fatto importante da notare e’ che il potere religioso e’ ubiquitario: piu’ ci si allontana dalla capitale il potere religioso rimane mentre quello dello Stato si affievolisce e nei villaggi praticamente scompare, soppiantato dal terzo potere: i Grand Notable.

Alle Comore esiste la tradizione del Gran Marriage, che non e’ un semplice grande matrimonio, e’ una sorta di ingresso nella societa’ che conta. Lo sposo deve pagare dai 2 ai 9 giorni di festeggiamenti pubblici ma deve anche dare una ricca dote in oro alla sposa, che lei terra’ in caso di eventuale divorzio. Artadji mi ha detto che si parla di svariate migliaia di euro e molte persone fanno una vita grama di continui risparmi pur di elevare il proprio status, perche’ tutte queste spese daranno loro il diritto di indossare una particolare cintura chiamata m’ruma e diventare Grand Notable.
Essi sono l’elite della societa’ e il loro potere nei villaggi e’ enorme. Siedono nella bangwe, l’assemblea cittadina che prende  le decisioni per il villaggio. Quando discutono nessuno li contraddice ne’ li interrompe. Spesso sono coloro che cercano di appianare i conflitti familiari e di portare alla ragione lo sposo. Ma se qualcuno manca loro di rispetto (spesso sono i giovani a farlo) o lo sposo non vuole sentire ragioni o peggio vengono offesi, allora ecco che viene pronunciata la parola “Olawa”.

Chi subisce questa sentenza diviene immediatamente un paria, un senza casta, bandito dalla vita sociale del villaggio. Nessuno vorra’ piu’ accoglierlo in casa, dargli un piatto di minestra, fare affari con lui o vederlo. E’ una condanna alla solitudine che in un posto come l’Africa, in cui il singolo e’ nulla e si esiste solo in quanto parte di una comunita’, e’ una pena peggiore della morte. Di solito quando si subisce questa sentenza, si puo’ pagare una multa per l’offesa arrecata, oppure un altro Grand Notable puo’ intercedere per te. Ecco perche’ i villaggi cercano di avere un Grand Notable tra di loro, per contrastare il potere di “Olawa”, per non dover restare da soli…

domenica 29 maggio 2011

The Day After... Cronache del dopo bomba...

Oggi non ho messo la sveglia, e non ho nemmeno sentito il muezzin. Quando mi sono alzato ho provato un certo sollievo non avendo piu’ dolore nè alle spalle nè alle ginocchia, sebbene abbia le gambe pesanti come tronchi. Oggi devo fare poche cose e riposero’, ma soprattutto oggi arriva Tsamaraso, una dei superboss del progetto, quindi si parlera’ italiano. Scendere le scale non e’ molto semplice, ma mi aspetta un viaggio in macchina ristoratore. Quando arrivo all’aereoporto resto sorpreso: all’atterraggio del mio volo non mi ricordavo tutta questa gente, ma soprattutto tutto questo trambusto.

L’aeroporto africano e’ un piccolo rione. Immancabili signore allestiscono banchetti improvvisati vendendo banane, sigarette, arachidi e acqua. C’e’ un calore incredibile attorno a chi parte e a chi arriva, ma quello che mi lascia senza parole avviene poco dopo. Un folto gruppo di persone prende dai propri bagagli dei tamburi e comincia una melodia ritmica a cui poco dopo fanno eco dei canti. Mi avvicino incuriosito e ho la fortuna di assistere alla “Scigoma’” una danza tipica delle Comore.

In una terra povera come l’Africa, in cui molte cose sono rimaste ferme a centinaia di anni fa, gli strumenti musicali sono i piu’ semplici che si possano trovare e sono tre: la voce, le percussioni ed il corpo. Non il nostro sgraziato, flaccido e bianco corpo di Muzungu, ma quello tonico e slanciato dei comoriani, dotato di una grazia incredibile. Spesso le danze tribali raccontano di eventi passati, guerre, raccolti. Non so di preciso cosa si celebra nella rappresentazione che ho di fronte, so solo che e’ meravigliosa.

Corpi che si muovono perfettamente al ritmo dei tamburi e dei canti; 6 ragazzi che s’inginocchiano e danzano come se fossero snodati. Non si muovono ascoltando il ritmo, e’ come se ogni singolo muscolo avesse dentro di se la musica, devono solo farla uscire. Tutto questo mi da un’emozione potente che mi fa sgorgare qualche lacrima, tanta e’ la forza che trasmette. Durante la danza poi un gruppo di donne inneggia agli uomini, i soli che possono danzare, con urla stridule. E’ un grido acuto che sa di liberatorio, simile a quello che fanno le donne libanesi nelle cerimonie nuziali (vi consiglio di vedere il film “Caramel”) ed e’ bello vedere le due meta’ del cielo che si toccano anche oggi qui in Africa…

sabato 28 maggio 2011

I Lontani Palazzi dell'Anima...

N.B.
Avviso ai naviganti: il racconto e’ abbastanza lungo, quindi prendetevi tempo se volete proprio leggerlo tutto…

Alcuni uomini considerano la sfida agli elementi come la piu’ grande delle prove: e’ un po’ come affrontare gli dei. Deve essere questo che porta gli scalatori ad arrampicarsi su montagne inaccessibili: la voglia di superarsi, ma credo anche il narcisistico piacere di essere il migliore, di sfidare gli elementi e di vincere. Non ho scalato l’Everest, nè sono sceso negli abissi, ma oggi sono salito al vulcano Karthala sentire il battito di madre terra…

Fenomeni fisici importanti, come tempeste o terremoti, sono sempre stati associati ad interventi divini. Uno degli dei piu’ importanti del Pantheon delle popolazioni polinesiane e’ Kana-Loa, mentre Efesto ed il suo alter ego Vulcano erano di casa nel Mediterraneo. Oggi salgo al vulcano per diversi motivi: non ne ho mai visto uno da vicino, ma soprattutto voglio mettere alla prova me stesso con un’escursione che si preannuncia come una delle piu’ dure che io abbia mai affrontato: 12 ore di cammino per 2000 metri di dislivello. Quando Ali, una delle guide, mi  ha detto che si puo’ fare in giornata, con un mezzo tono di sfida, ecco l’ancestrale lotta tra l’uomo e gli elementi che emerge ed io non posso che raccoglierla…

Preparo il mio zaino viola (sono quasi 20 anni che viene a spasso con me e non mi ha mai tradito) e devo farlo con cura: bisogna portarsi tutto, dato che non ci sono rifugi dove prendere dell’acqua o del cibo. Quindi almeno due maglie di ricambio, pantaloni lunghi, cerata per la pioggia ed un pile, visto che saliamo a 2400 metri e se arriva il freddo è meglio essere preparati. Pane, cioccolata spalmabile, biscotti e ovviamente acqua. Inizialmente pensavo di portarmene via 3 litri, ma pensando al percorso e alla latitudine (12 ore di cammino all’equatore)  ne prendo altri 2 per un totale di 5 litri, ovvero 5 kg,  fortuna che la mamma mi ha fatto bello grosso e non dovrei avvertire l’aggiunta di peso! Ultime cose da prendere sono un coltello multiuso, un coltello a serramanico, una fune (che non si sa mai, come insegna la mia baraka), la torcia da speleologo  macchina fotografica e GPS per l’altitudine. Sistemo il tutto nello zaino equilibrando il peso, saranno 15 chili, non proprio leggero, ma considero che lungo il percorso consumando cibo ed acqua il peso diminuira’ di oltre la meta’. Direi che posso andare a letto…

Suona la sveglia alle 03:30 e per svegliarmi non ho altro modo che gettarmi addosso un secchio di acqua fredda. Io e Artaji prendiamo una macchina che ci porta a M’Voni, il nostro villaggio di partenza, in leggero anticipo e qui ci attende la nostra guida, che si chiama Mombasa, come l’omonima citta’. All’inizio non lo vedo bene, dato che e’ vestito con abiti scuri, e’ ovviamente nero di carnagione e prima di partire ho un pensiero suggerito dalle mie tante letture fantasy: se stiamo andando al vulcano, ovvero il Monte Fato, e la mia guida potrebbe essere Frodo tanto e’ piccolo, io mi sento un po’ Aragorn, dato che il campeggio in Africa mi ha fornito qualche conoscenza da ranger (citazione da “Il Signore degli anelli”). Dopo questo pensiero ed i convenevoli di rito, si parte, torcia in testa accesa ed il GPS che segna le ore 4:30 e quota 386 metri.

Il sentiero, se cosi si puo’ chiamare, si snoda serpeggiante in mezzo alla giungla, una fitta ed inestricabile JUNGLA. Di notte tutti i boschi sono umidi di rugiada, ma qui ogni cespuglio attraversato o albero che ondeggia, ti fa cadere addosso un secchio d’acqua e dopo 10 minuti sono zuppo come se piovesse, anche se devo dire che e’ affascinante. Sono immerso in un groviglio di rami e foglie, si sentono alle volte i rumori di animali che si muovono, ma la luce e’ appena sufficiente per vedere per terra ed attorno a me c’e’ solo un muro verde. Mi sono chiesto se dietro di esso ci sia l’endemico giaguaro delle Comore (apparso nel mio terribile incubo di qualche settimana fa).



Dopo un’ora di cammino, ore 5:30, ci fermiamo per la prima sosta. Parlando con la guida scopro che ci sono 6 tappe a circa 300 metri di altitudine una dall’altra e adesso a quota 647 metri e’ il momento delle preghiere (Nota per i giocatori di ruolo: I musulmani fanno la prima preghiera del mattino un’ora prima del sorgere del sole, un po’ come tutti gli incantatori, che siano automaticamente chierici, maghi o druidi?).

Si riparte e arriviamo all’altra tappa con tempismo tedesco: ore 6:30 quota 936 metri. A quest’ora di solito il sole e’ gia’ alto, mentre adesso, dato che siamo sotto al vulcano, c’e’ luce, ma non si vede il sole e, sebbene ai tropici, a 1000 metri di altitudine e all’ombra non fa poi tanto caldo, perciò quando ripartiamo sono contento di ricominciare a sudare. Il paesaggio cambia e la foresta pluviale lascia spazio alla foresta temperata quando raggiungiamo la terza tappa, alle ore 8:30 a quota 1269 metri e qui noto l’assenza di conifere che tanto abbondano nei boschi di montagna alle mie latitudini. Un rumore mi scuote: dei muggiti. Qui dove la foresta e’ meno fitta si vedono sparuti gruppi di bovini con la gobba (che siano zebù?) e una casa circondata da un recinto. Chiedo a “Frodo”, la nostra guida, se quella sia una stalla. Mi guarda in modo strano e mi dice che quella e’ la casa del pastore, non degli animali. Da noi gli animali vengono rinchiusi in un recinto, mentre qui il pastore sta nel recinto e gli animali  vengono lasciati liberi…

Partiamo di nuovo, il percorso comincia a salire e si vedono i primi lastroni di pietra lavica che emergono dalla terra, testimoni di antiche eruzioni. La fatica comincia a farsi sentire assieme al peso dello zaino, sebbene quest’ultimo si alleggerisca ad ogni tappa. Sono gia’ quattro ore che camminiamo e quello che mi impressiona e’ la nostra guida: non ha una goccia di sudore e cammina in salita come se stesse passeggiando su un prato in pianura.

Alla quinta tappa appoggio lo zaino e mi siedo con gioia ed il GPS segna ore 9:30 e quota 1610. Manca ancora una tappa prima della vetta ed e’ in questo momento che spunta il sole da dietro il vulcano, che sembra ci guardi severo e la guida ci chiama per ricominciare a salire. Adesso il percorso si fa veramente duro e quando ci fermiamo all’ultima sosta a quota 1944 metri, getto letteralmente lo zaino a terra  e mi distendo sul prato a guardare le nuvole che corrono veloci sopra di me. Sono le 10:30, mancano poco meno di 400 metri e devo dire che ho odiato la guida quando ha pronunciato “narende” (“andiamo” in comoriano) per l’ultimo attacco alla vetta. Gli alberi sono del tutto scomparsi adesso e nei momenti in cui il vento cessa si sente il calore del sole e comincio ad essere davvero stanco, ma non posso fermarmi adesso e finalmente arriviamo alla vetta: quota 2328 metri alle 11:30 e tutta la fatica scompare quando di fronte a me vedo la caldera del vulcano…



Mano a mano che scendiamo ogni forma di vita sparisce, si apre una desolazione lunare di fronte a noi e la foresta appare morta: l’ultima eruzione del 2005 ha fossilizzato gli alberi, che ora sono tutti bianchi, testimoni perpetui della furia del vulcano. Poco dopo arriviamo alla bocca vera e propria: e’ un cratere in fondo al quale si vedono ammassi di lava solidificata dalle cui crepe fuoriesce qualche sbuffo di vapore.



Mi siedo sulla sabbia e la terra e’ calda, sembra quasi che pulsi. Mangiamo e ci riposiamo perche’ dobbiamo scendere, ma prima devo fare una cosa: pur non essendo un credente ho un rispetto quasi sacrale nei confronti della natura e i fenomeni naturali o i luoghi particolari suscitano in me un romantico sublime sgomento, perciò mentre fuoriesce un piccolo sbuffo di fumo mi inginocchio verso il centro del vulcano. Quando mi alzo Artadji mi chiede che cosa abbia fatto e gli rispondo “Ho reso omaggio a Madre Terra”…



Cominciamo la discesa quando sono le 13 e secondo la tabella di marcia dovremmo arrivare per le 18 circa. Il pensiero di fare altre 5 ore di quasi mi uccide, ma non posso certo prendere un elicottero! La discesa e’ comunque rapida, saltiamo almeno due tappe di sosta e dopo circa 2 ore non mi curo nemmeno più del paesaggio tanta e’ la stanchezza,  penso solo a scendere, come un automa, un passo dopo l’altro, cercando di arrivare alla meta il prima possibile. Ma alla mia Baraka questo non basta e quando arriviamo nella foresta pluviale comincia la pioggia; metto la cerata, che si rivela inutile perche’ in poco tempo sono completamente zuppo, anche se quasi non me ne accorgo: voglio solo arrivare alla meta. Finalmente, dopo una prima maledizione di Fata Morgana, arriviamo al villaggio di M’Voni poco prima delle 18. Mi trascino alla macchina e quando mi siedo le gambe mi tremano per la fatica, ma sono contento …

Sono nella mia stanza adesso e sono cosi’ stanco e cotto dal sole dell’equatore e dei 2000 metri di altitudine che ho i brividi di freddo. Il problema e’ che per lavarsi c’e’ solo acqua fredda, non c’e’ molta alternativa, perciò stringo i denti e non vi dico che goduria sentire il primo secchio di acqua fredda che mi scende lungo la schiena: praticamente una stilettata ghiacciata ad ogni vertebra. Mi consolo con una cena luculliana e quando torno la mia baraka si vuole ancora divertire con me. Arrivo alla residenza e trovo il portone chiuso, allora chiamo un amico di Artadji, perche’ lui ha il telefono rotto ed il ragazzo mi fa notare che c’e’ un modo per scavalcare il cancello , ma io non sono quasi in grado di camminare per il male alle gambe. Penso di andare a dormire in albergo per una sera, ma scopro che e’ l’unica volta che ho dimenticato il passaporto in camera. Comincio ad immaginare gia’ a come passerò la notte, quando la mia baraka decide che mi ha tormentato abbastanza e fa arrivare un altro inquilino che possiede il numero del guardiano e quando questo ci viene ad aprire resta sorpreso nel vedermi: pensava che dopo aver scalato il Karthala non avessi avuto le forze per andare a mangiare e che fossi crollato a letto: ma bussare alla porta per controllare era brutto?

Appoggio le mie cose e vado verso la terrazza. Osservo da qui sotto il vulcano illuminato dalle stelle e ripenso con un sorriso a quanto ho visto dalla cima: la distesa blu del mare mentre sentivo il respiro del vento che si infilava nelle gole della bocca del vulcano, dove ho colto, negli sbuffi ritmici di vapore, il battito della terra. Il ricordo di questa sensazione fa quasi ardere come fuoco il mio spirito e rivolgo lo sguardo verso casa, a nord ovest, dove vedo bianche nubi immense che sembrano palazzi… i lontani palazzi dell’anima…



venerdì 27 maggio 2011

Sotto il vulcano...

Questa non e’ stata una buona settimana di ricerca, dato che in tutta una settimana abbiamo fatto un singolo avvistamento, ma la ricerca sul campo e’ fatta anche di questo. Alle volte va bene e altre no; e’ un po’ come tirare un calcio di rigore: o gol o niente. Ma questa settimana ho l’asso nella manica, il vulcano…

La prossima settimana comincia l’arrivo del personale italiano e ci saranno giorni temo frenetici dal punto di vista burocratico organizzativo quindi per questa settimana ho in programma l’ascensione al vulcano Kathala. Le Comore sono un arcipelago di isole vulcaniche, e ci sono su tutta l’isola vulcani oramai inattivi, testimoni del tempo che fu. Tutti sono inattivi tranne uno, e ho scoperto dalle guide che e’ uno dei vulcani attivi piu’ grandi del mondo. Alto oltre 2400 metri e’ un vulcano simile all’Etna: una sorta di pentolone che bolle continuamente e produce materiale lavico senza provocare esplosioni o simili (Luca e’ giusto?).

Quell che invece mi spaventa un po’ e’ il percorso da fare. Per salire fino in cima ci vogliono 7 ore di cammino partendo da un villaggio a circa 400 metri di altitudine e almeno 5 per il ritorno. Significa percorrere un dislivello di circa 2000 metri in giornata; praticamente un massacro, ma ho solo questa occasione per vederlo, poi diventerebbe tutto troppo complicato. Il programma e’ molto semplice: sveglia alle 3:30, partenza in macchina fino al villaggio di M’voni dove si arriva sulle 4:30, da li dopo la preghiera delle 5 si parte in mezzo alla giungla fino alla cima del vulcano.

Sto preparando il mio zaino adesso che e’ pomeriggio, dato che meglio andare a letto molto presto e osservo il vulcano da qui sotto, dalla terrazza. Da qui si vede il confine tra la giungla e l’inizio delle rocce, un po’ come se fosse evidente il limite tra la vita e la morte. Sorrido mentre il sole del tramonto illumina la sommita’del vulcano, dove si puo' vedere battere il cuore di madre terra…

giovedì 26 maggio 2011

Incubi...

Nel folklore di quasi tutti i popoli il sovrannaturale assume forme benigne e maligne; la superstizione generata dall’ignoranza ha dato a malattie o fenomeni fisici i contorni mistici di interventi di entita’ superiori. Ecco quindi sciami di esseri che ci possono assicurare la salvezza o condannarci al tormento eterno. Dei, angeli, diavoli, loa, deva, vani, demoni, ciascuno diviso in caste e gerarchie ognuno con la sua sfera di influenza, il suo specifico “lavoro”.

Nel folklore cristiano i demoni sono un particolare gruppo di entita’ dedite al nostro tormento, e quelli che abitano i nostri sogni impedendoci di dormire si chiamano Incubi. E’ interessante notare come nella grecia classica il Daimon e‘ un essere non necessariamente malvagio, ma posto a meta’ tra uomini e dei, mediatore tra i due mondi: quello mortale e quello divino, mentre nella mitologia romana Incubo deriva dal verbo latino “incubare” (stare sopra), per cui questi esseri si coricavano sopra di noi di notte impedendoci di dormire.

La religione cristiana ha fatto un mix delle due cose dando vita a degli esseri  malvagi che tormentavano il nostro sonno, ma ancora peggio erano in grado di indurre in peccaminosa lussuria il posseduto. Ovviamente erano sia maschili (Incubi) che femminili (le Succubi), e si vociferava che le donne potessero addirittura concepire figli con questi esseri demoniaci (leggenda vuole che il nostro Mago Merlino sia figlio di un Incubo e di una donna). Oggi l’incubo non assume piu’ il suo aspetto tentatore ma gli e’ rimasta la nefasta capacita’ di tormentarci di notte non concedendoci un sonno ristoratore…

Prima di partire per l’Africa mi sono sottoposto ad alcune profilassi tra cui l’anti-malarica. Avevo diverse opzioni e alla fine ho deciso per il Lariam, dato che assumendolo solo una volta alla settimana mi sembrava il meno dannoso per il mio fisico. C’era solo una cosa che mi lasciava perplesso, i suoi effetti collaterali. Gia’ il medico mi mise in guardia dicendomi che poteva provocare cali di attenzione, nervosismo e allucinazioni consigliandomi di sospendere immediatamente l’assunzione se subentrassero i suddetti sintomi. Non ci ho fatto molto caso, ma poi quando l’ho acquistato ho letto il bugiardino (ho scoperto che si chiama cosi’ il foglietto dentro le confezioni dei farmaci) e vi metto qui alcuni effetti indesiderati.

Disturbi del sonno e alterazione dei sogni, agitazione, depressione, attacchi di panico, allucinazioni, aggressivita’, stato confusionale, alterazione sensoriale, vertigini, reazioni psicotiche e paranoiche, ed in alcuni rari casi sono stati segnalati casi di ideazione suicidaria. Ora ditemi voi come potevo sentirmi quando ho ingerito la prima compressa. Alcuni conoscenti hanno interrotto  l’assunzione dopo che avevano il sonno popolato da incubi o cominciavano ad avere allucinazioni sensoriali. Beh mi sono detto, male che vada smetto di prenderlo.

Ora a distanza di oltre un mese non sto accusando in pratica nessuno dei sintomi sopraelencati e mi sono dato due possibili spiegazioni. La prima e’ che essendo di taglia “grossa” il farmaco si distribuisce senza avere l’effetto collaterale da sovradosaggio. La seconda spiegazione e’ che sto vivendo da  oltre un mese in un realta’ parallela in cui credo di essere in Africa, di studiare cetacei e di scrivere un blog. Beh se fosse cosi’ vi esorto ad aiutarmi ad uscire da questo tunnel…

Solo una volta ho avuto un vero e proprio incubo, e lo ricordo benissimo, dato che la mia meta’ del cielo mi ha detto che il Lariam provoca incubi “vividi”. Nel mio stavo correndo di notte in mezzo alla giungla, o alla savana, non ricordo bene. Quello che so e’ che stavo scappando da un grosso felino, credo fosse un giaguaro o un ghepardo che mi stava inseguendo e che mi avrebbe preso da li a poco. Infatti con un balzo mi raggiunse, ma la cosa incredibile era che non mi sono svegliato per la paura, ma ricordo benissimo i suoi occhi mentre mi sbrana il volto e sento un dolore lancinante e poco dopo mi sveglio. Vi giuro che il ricordo di quel morso e’ vivido nella mia mente come fosse appena accaduto, ricordo benissimo il dolore e quegli occhi…

Parlando poco tempo fa in skype con uno dei responsabili del progetto, Tsaramaso, gli ho detto che prendo il Lariam come profilassi e la sua risposta e’ stata “e sei ancora nomale? Io non posso prenderlo mi da allucinazioni”. Al che gli ho raccontato il mio unico incubo e lei mi ha detto che dovevo stare attento o sarei finito sbranato  dal famelico ed endemico ghepardo delle Comore (qui al massimo ci sono degli innocui gattini). Dopo una bella risata, mi ha detto “ …in Africa si sogna la verita’…”. Chissa’ quale si cela dietro al morso del giaguaro delle Comore…

mercoledì 25 maggio 2011

Abitudini...

Sono passate oltre 5 settimane qui nel continente nero e dopo questo tempo ho notato come sia diventato indifferente ad alcuni comportamenti che in Italia non sarebbero visti proprio benissimo, o a soprassedere ad alcuni inconvenienti di percorso. Avviso da subito i lettori schizzinosi che gli argomenti trattati potrebbero urtare la loro sensibilità…

Credo che uno tra gli atti maggiormente praticati qui alle Comore sia sputare. Si sputa ovunque: per strada, sul marciapiede, sull’erba, ma soprattutto e’ un’attivita’ praticata senza distinzioni di sesso ed eta’. Puo’ anche capitare che mentre stai andando in autobus uno dei passeggeri approfitti della sosta per raccogliere una corposa dose di catarro. Gli altri passeggeri, senza indignarsi minimamente gli fanno cortesemente spazio fino al finestrino dove il passeggero puo’ espettorare con prepotenza. Nei villaggi dove sono stato alla mattina tutti assieme ci si lava i denti in giardino (vi ricordo che il bagno e’ all’esterno); potete immaginare che concerto all’alba…

Altra attivita’ molto diffusa e come sempre praticata senza distinzioni di sesso ed eta’ e’ la pulizia delle cavita’ nasali, che avviene spesso con tre sistemi. Il primo e’ la soffiata alternata: ci si tappa una narice e si espira con forza con l’altra narice (il famigerato “gheno” che spesso si vede fare dai rugbisti, dato che non si portano il fazzoletto nelle mutande), il secondo e’ la soffiata di coppia, ovvero come ci soffiamo il naso noi europei, solo che spesso qui avviene senza l’uso del fazzoletto (pensate a quante mani stringo ogni giorno qui in Africa). Il terzo modo avviene utilizzando le dita; attivita’ praticata diffusamente in Italia dagli automobilisti in coda al semaforo…

Altra cosa a cui non faccio piu’ molto caso e’ dove metto i piedi; mi spiego meglio. Qui in Africa gli animali (capre, galline) non sono tenuti dentro ad un recinto ma scorrazzano liberi per le strade e ovviamente gli escrementi li fanno dove capita, che sia giardino, strada, marciapiede, o dentro alla casa. Al villaggio di Ouroveni abbiamo campeggiato dentro ad una casa in costruzione dove spesso dormivano delle capre che non ci chiedevano mica il permesso per fare i loro bisogni. I primi giorni cercavo di evitare le innumerevoli cacche disseminate per i villaggi; adesso ho perso il conto di quante ne ho pestate o su quante mi ci sono seduto sopra…

Passiamo agli insetti. Qui in Africa ci sono milioni di insetti che ronzano in ogni posto dove tu vada e sembra che aspettino il momento in cui ti fermi un attimo all’ombra per saltarti addosso. Il quantitativo di mosche che volano qui in Africa e’ impressionante; provate ad immaginare un numero, poi moltiplicatelo per un milione e forse ci siamo e la cosa incredibile di queste mosche e’ che non c’e’ repellente per insetti che tenga, sembrano immuni. All’inizio facevo fatica a mangiare o a stare fermo senza cercare di mandarle via. Adesso ho capito come si fa; si sopporta, lasciando che si appoggino un po’ sulla mia pelle e che ripartano…

Termino questa carrellata con gli odori. L’Africa e’ impregnata di aromi forti, che permeano ogni angolo delle citta’ e dei villaggi. Ovunque si sente odore di mais cotto, banane, cocco, cassava, carne abbrustolita, pesce marcio, il tutto confuso con l’afrore delle persone. In tutto questo mi muovo io, uomo europeo, abituato a deodoranti e profumi. All’inizio vorresti farti una doccia e cambiarti d’abito almeno una volta ogni ora, tanto e’ il sudore che produci. Dopo poco capisci che non ha molto seno farlo, ma devi pazientemente sopportare il caldo ed il sudore fino a quando arrivera’ la frescura della sera e potrai farti una doccia senza sudare di nuovo. Ma il giorno dopo quando stai per andare in barca non commettere l’errore di metterti una maglia nuova che dopo 10 minuti sara’ gia’ da strizzare. Dopo pochi giorni infatti ho capito che puoi usare la stessa maglia “da campo” anche per 4 giorni di fila, tanto non stai mica andando ad una cena di gala. Stai per salire su una barca umida, che odora di pesce marcio, incrostata di sale e di sangue raffermo di pesce; pensi che il capitano di faccia scendere perche’ puzzi?

martedì 24 maggio 2011

Viaggio nel tempo...

Oggi ho sperimentato l’assenza prolungata di luce. Non che in Italia non succeda, durante temporali abbastanza violenti, ma qui ci sono delle cause che rendono la vita piu’ gustosa, altrimenti non sarebbe Africa…

Oggi pomeriggio avevo in programma un riordino dei dati raccolti. Dopo un po che sto lavorando il pc mi segnala che la batteria si sta esaurendo. Attacco la spina, ma non si ricarica. All’inizio mi viene un colpo pensando che si e’ bruciato il caricabatteria o peggio, la batteria non tiene piu’ la carica (gia’ successo), ma poi mi accorgo che non va il led luminoso della ciabatta. Mi tranquillizzo e penso che sia il solito black out che di pomeriggio arriva ad orari variabili. Spengo il pc, mi stendo a letto ascoltando musica e complice la stanchezza della giornata, mi appisolo per una buona ora e quando mi sveglio non c’e’ ancora corrente. Chiedo ad Artadji se per caso lui sa qualcosa e mi dice che per oggi non ci sara’ elettricita’ in tutto il centro per tutto il giorno. Ed il motivo e’ molto semplice: non hanno pagato…

Il sistema di erogazione di energia elettrica qui alle Comore e’ il seguente. Nella centralina che viene installata in casa c’e’ una scheda simile alle SD delle macchine fotografiche digitali dove viene caricato il credito che consumi utilizzando la corrente. Questo sistema ha due indubbi vantaggi: ti permette di conoscere l’effettivo consumo, ma soprattutto e’ impossibile da truffare. Quando finisci il credito non c’e’ piu’ energia elettrica, mentre da noi ci vuole un po’ prima interrompano la fornitura. Quindi non hanno ricaricato la scheda prima che il credito finisse, ma hanno atteso l’esaurimento della scheda, che purtroppo e’ avvenuto quando non si puo’ piu’ ricaricare. Fortuna ha voluto che gli strumenti avessero gia’ le batterie cariche. Mi sono quindi preparato alla notte con una scorta di candele e ho sperimentato la notte senza ventilatore. Di notte tutto il calore accumulato dalla terra, dalle case, viene ceduto alla frescura della sera, un effetto che non avevo mai provato prima.

Alle 18 circa il sole sparisce dal cielo, portandosi via tutta la luce fino all’alba. L’aria si ferma e tutto sembra immobile. Gli animali notturni non escono ancora dai pertugi nei muri, quasi non siano ancora convinti che sia il loro momento. Accendo le prime due candele a patire un po’ l’assenza del ventilatore, tanto che dopo un’ora sono un bagno di sudore e opto per una bella doccia rinfrescante, e devo dire che farla a lume di candela rende il tutto molto romantico, sebbene sia qui da solo. Mangio un boccone veloce dato che domani ci si sveglia alle 4 per andare in barca, ma non posso fare a meno di scrivere qualcosa, mentre il fresco della sera riempie la mia stanza. Oggi ho fatto un salto indietro nel tempo di quasi 200 anni. Ma un momento, non siamo nel 2011? Si, in Europa, ma qui siamo in Africa…

lunedì 23 maggio 2011

India...

Se si potesse “umanizzare” ogni continente, l’Europa sarebbe il cervello, il cuore l’Africa, il sangue le Americhe, ma lo spirito sicuramente sarebbe l’Asia. Tutta l’Asia possiede una spirtitualita’ potente, ed uno dei luoghi che mi ha sempre affascinato e’ l’India. Certo anche la Cina con Confucio e Lao-Tzu (fondatore del Taoismo) devo dire che non e’ da meno, ma e’ la patria di Siddartha (meraviglioso libro di Herman Hesse che vi consiglio) che provoca un sussulto dentro di me, forse figlio di un non vissuto familiare.

Oggi non e stata una buona giornata; pioggia, contrattempi e black-out; cosi’ ho fatto una tappa in India per immergermi nei suoi mari di spirito; sono andato a trovare il mio amico indiano; dopo essere arrivato alla soglia del suo negozio, ho pronunciato namascar e mi sono seduto accanto al mercante di pietre. Sangi , e’ il suo nome, deve aver intuito che oggi non era una buona giornata per il sottoscritto e allora ha cominciato a parlarmi della sua vita e del suo lavoro.

In famiglia sono 5 fratelli che fanno tutti lo stesso lavoro, con attivita’ sparse in tutto l’Oceano Indiano. Sono oltre 35 anni che lavora nel campo delle pietre e ho scoperto che oltre a commerciarne, le intaglia, e disegna gioielli che poi realizza a mano. Ha molte persone che lavorano nella sua bottega, ma mi dice che oggetti particolarmente pregiati, o difficili li produce lui personalmente, ma soprattutto l’ultima parte della realizzazione di ogni gioiello esposto viene fatta da lui con le sue mani, “perche’” mi dice ammiccante “ognuno di noi ha i suoi segreti ed io devo ancora tramandare i miei, come ha fatto mio padre a me.”

Rimango affascinato da quest’uomo che ascolta tutte le parole che dici e attende sempre qualche attimo prima di rispondere, dando un peso alla frasi che pronuncia. Mentre stiamo conversando del suo lavoro mi dice quanto lo ami, ma soprattutto delle grandi soddisfazioni che gli da nonostante ci siano dei momenti di difficolta’. All’inizio non avevo capito il senso del suo discorso, ma poco dopo e’ come se mi avesse enunciato una parabola tra le righe e il significato che ho colto e’ stato questo: “e’ sempre difficile, ma se non c’e’ il sacrificio, il successo non e’ gratificante”. Forse, inconsciamente avevo bisogno di sentirmelo dire e lui deve averlo capito

Quando mi parla di suo padre avverto che le sua parole si fanno piu’ pesanti. Me ne accorgo solo dopo che gli ho chiesto come sta . Al che mi risponde che e’ morto da 7 anni. Ovviamente mi scuso per la mia domanda, ma lui mi sorride garbato e mi dice “Non c’e’ problema, non ti preoccupare. La vita e la morte sono le facce della stessa moneta, unite in modo indissolubile. Senza la morte non apprezzeremo la vita. Certo il dolore per la morte di una persona cara e’ difficile da attenuare, ma bisogna imparare ad accettarlo come un fatto naturale.”

Non aggiunse altro e dal suo silenzio ho capito che la conversazione di oggi era terminata e dopo un reciproco silenzioso inchino mi sono avviato verso il mio alloggio. La giornata dopo questo passaggio in India ha assunto un colore diverso dal grigio plumbeo del cielo. Ho ripensato alla frase sulla vita e sulla morte e mi sovviene una frase di Russoeau, tratta dalle sue “Passeggiate solitarie”.

"... ogni cosa comincia e finisce, spesso gli uomini ricordano solo gli anniversari della nascita o della morte di avvenimenti, persone o stati, e dimenticano le bellezze del tempo vissuto. La cosa buffa è che nei cimiteri si leggono solo due serie di numeri e una frase che spesso non rende giustizia di una vita intera. Ma credo che questo faccia parte del mistero della vita; il presente altro non è che l'insieme di due parti, futuro e passato, che non esistono se non per un effimero e misero istante. Cerchiamo di ricordare il nostro vissuto per migliorare con il passato il presente che rubiamo piano piano al futuro... "

Namascar…

domenica 22 maggio 2011

Solitude Standing...

La domenica e’ un giorno particolare per me qui in Africa. Non solo perche e’ un giorno di riposo, ma perche’ di solito e il giorno in cui me ne sto da solo, o al massimo ho un fugace incontro pomeridiano con Artadji. Ma oggi il mio studente e’ via per un matrimonio di alcuni suoi parenti. Ha provato a spiegarmi chi sono, ma non ho capito bene se fossero cugini vicini o lontani; per capire bene o sei africano e sai districarti in una fittissima ragnatela di relazioni familiari, oppure ti ci vuole un’equazione differenziale. La cosa incredibile e’ che e’ venuto a chiedermi il permesso di andarci, perche’ si sente responsabile della mia permanenza qui: ovviamente gli ho detto che non c’era nessun problema e che portasse gli auguri di felicita’ e prosperita’ agli sposi.

Ieri sera ero spossato, talmente tanto che alle 10 gia’ dormivo della grossa e quindi stamane alle 6 ero gia’ in piedi. L’idea di andare a fare immersione e’ stata abbandonata quasi subito dato che nere nuvole sopra il vulcano assicuravano l’arrivo della pioggia. Quindi decido di dedicare la mattina al riordino di dati, di files sparsi qui e la’, insomma cerco di porre un po’ di “ordine e disciplina”, parafrasando un mio amico di Bolzano. Arriva l’ora di pranzo e dopo un collegamento fugace davanti al mio albergo di fiducia, in cui non hanno cambiato la password, ma hanno lasciato la WI-FI a libero accesso; evidentemente dopo l’ennesimo black-out si sono dimenticati di risettare il mdem,. Ritorno al mio alloggio giusto in tempo per evitare la pioggia che comincia a scendere…

Questa pioggia e’ diversa dal solito. Non e’ un acquazzone liberatorio che dopo un’ora termina. Questa e’ fine, lenta, fastidiosa perche’ contribuisce a rendere la giornata uggiosa, contornata da questo cielo plumbeo che non mi ha abbandonato per tutta la domenica. Sono rimasto per almeno un’ora qui seduto a fissare la pioggia che cadeva in silenzio. Anche se avessi voluto parlare con qualcuno qui al centro la domenica tutti tornano a casa, di solito rimaniamo solo io ed il custode. E’ in momenti come questi che si riflette bene, sulla vita e sul tempo.

Di recente mi hanno chiesto se ho qualche momento di sconforto; ovvio che si, sono un essere umano e ci sono sempre dei momenti difficili nella vita. L’importante e’ riuscire a non farsi sopraffare dallo sconforto e attendere che il momento passi. Oggi e’ uno di quei giorni che avverto maggiormente il peso della solitudine, il mio essere straniero in questo paese. Qui il tempo quasi si cristallizza mentre ripensi alla tua vita, a quello che facevi a casa, a migliaia di miglia da qui. Ma soprattutto ti guardi spesso attorno e vedi un mondo che non e’ il tuo e forse, nemmeno con tutta la forza di cui disponi potrebbe diventare la tua casa per sempre. Se fossi in un qualunque paese europeo probabilmente non avrei questi problemi, ma qui alle volte tutto e’ troppo lento, troppo lontano, troppo diverso, troppo africano…

Definirsi cittadini del mondo e’ una bellissima espressione che spesso viene detta per darsi un tono ( ho imparato che bisogna essere onesti con se stessi), ma che serve per dimostrare apertura mentale, tolleranza e adattabilità. Credo che ogni viaggiatore (non turista, il turista staziona in un posto osservando il contorno preparato, mentre il viaggiatore si immerge sporcandosi nel posto che vuole conoscere) sia per brevi periodi della sua vita cittadino di questo pianeta, ma credo che non lo possa essere per sempre; penso che ognuno di noi necessita di un luogo che sia suo nel mondo da chiamare “casa”. Qui in Africa in questi momenti di “tempo fermo” ho modo di riflettere su quale sia il mio posto. Credo che ricordero’ per sempre questa mia prima esperienza africana e penso (spero) che mi fara’ diventare una persona migliore…

sabato 21 maggio 2011

La legge di Murphy...

“Se una cosa puó andare male, sicuramente lo farà”. Di fronte a questa massima spesso non c’e’ scampo; a poco servono amuleti, la quabbala ebraica, esorcismi o inshallah. Spesso quando si fa ricerca sul campo si cerca di essere preparati a tutti gli inconvenienti, ma gli imprevisti si chiamano così per un motivo…

La giornata di ieri non e’ stata fortunata e non si sono uditi nemmeno i suoni dei capodogli negli abissi, ma capitan Ciotti mi dice che se sono disponibile la prossima settimana , invece di fare transetti, possiamo fare un giro al largo a cercare balene. Non mi pare vero tanto che mentre mi parla nemmeno guardo mentre smonto gli strumenti. E una manovra semplice che ho fatto decine e decine di volte, un semplice movimento meccanico, solo che stavolta va storto perché sento un rumore sospetto quando tolgo uno dei connettori. Lo rimetto per controllare e mi si gela il sangue quando nelle cuffie non sento nessun rumore; non trasmette più segnale! “Non e’ possibile!” urlo, “proprio adesso che cominciava la caccia alle balene mi si rompe l’idrofono”. Questa volta non e’ la mia baraka; lei mi gioca degli scherzi, si diverte  tormentarmi, ma non e’ così perfida: questa e’ la legge di Murpy che colpisce senza pieta’.

Confesso che ero veramente disperato. Lo stesso pezzo di ricambio in Italia lo trovo in qualunque negozio di musica, ma qui in Africa come posso fare? Il mio studente mi propone di fare un tour pomeridiano per cercare lo stesso pezzo ma dopo ore sotto il sole e decine di negozi devo gettare la spugna mentre sperimento il corollario della termodinamica alla legge di Murphy: “Sotto pressione le cose peggiorano”. Infatti sono spossato, con un mal di testa lancinante e decido di darci un taglio totale andando a mangiare, ma qui il mio studente mi lascia una flebile speranza. Si ricorda che un suo conoscente potrebbe o avere il pezzo o ripararlo, ma mi mette in guardia dicendomi che e’ un po’ matto. Io gli rispondo che per me può anche essere un pazzo psicopatico come Hannibal “the cannibal”  nel Silenzio degli Innocenti, ma basta che mi ripari il connettore…

 Oggi di buona mattina ci dirigiamo verso la mia ultima speranza. Mentre camminiamo Artadji mi parla del personaggio che sto per incontrare e devo dire che e’ una persona “particolare”; viene chiamato Dojo e si autodefinisce, filosofo, ricercatore, storico e scienziato. Tiene una radio che ho scoperto essere semiclandestina, dato che ogni 6 mesi circa ne cambia la locazione. Nella sua radio non viene trasmessa musica, ma solo ed esclusivamente programmazione culturale. Chiunque abbia qualcosa da dire che ha a che fare con la scienza, la filosofia, le arti puo’ andare e parlare alla sua radio; fin qui niente di male, se non fosse per la sua politica altamente antifrancese che deve avergli provocato non pochi problemi, dato che non tiene con se un telefono ne un collegamento internet ed il motivo per cui cambia la sede. Artadji mi dice che quasi una volta al giorno si scaglia in modo violento contro la politica francese. Praticamente sto andando a casa di un pazzo rivoluzionario, ma non e’ un mio problema, a me basta che ripari il connettore…

Arriviamo e ci troviamo in un dedalo di stradine secondarie e di fronte a noi si erge una baracca in forati e lamiera circondata da una grata metallica, come fosse una prigione, quasi che questo tipo si sia autoimprigionato. Appena varchiamo la soglia ci accoglie un individuo basso, tarchiato, con gli occhi spiritati, che non smettono mai di muoversi. Ci presentiamo e appena Artadji dice che sono un ricercatore e soprattutto che sono italiano Dojo mi da la mano dicendo “Anche io sono un ricercatore; attualmente sto facendo ricerche sulla relativita’ di Einstein”. Vi giuro che il mio primo pensiero sarebbe stato quello di ridergli in faccia, ma lui e’ la mia sola speranza e rispondo cercando di restare serio.

“Pero’ interessante, di fisica non ne capisco molto, mi occupo solo di cetacei”. Lui non fa una piega e risponde “Interessanti anche i cetacei”. Finito questo surreale dialogo gli chiedo se puo’ fare qualcosa per riparare il mio connettore. Lui lo prende in mano e con la naturalezza con cui respiriamo mi dice “Ma certo” ed in 5 minuti prende il pezzo, lo smonta e rifa’ i contatti, con perfetta polarita’. Monto il connettore e funziona! Sara’ pazzo ma mi ha riparato il connettore e per me e’ un genio! Mentre sto mettendo via gli strumenti noto che il tendaggio del retrobottega e’ scostato e posso vedere una libreria a parete piena zeppa di libri e quando leggo i titoli e le materie rimango di sasso: Platone, Linneo, Cartesio; libri di matematica, botanica, storia, filosofia ma soprattutto dei libri che trattano la teoria della relativita’ generale e ristretta di Albert Einstein. Non ho dubbi, in Africa tutto e’ possibile. Dojo e’ definitivamente un genio per me; mi ha riparato il connettore, puo’ essere quello che vuole…

venerdì 20 maggio 2011

Le relazioni pericolose...


Vi ho già parlato dei due mondi distinti ma contigui che ho trovato qui alle Comore, il mondo femminile e quello maschile. Al loro interno i rapporti possiedono una cordialità dirompente ed una fisicità quasi invadente; appena ci si vede ci si saluta con una stretta di mano molto vigorosa e soprattutto pacche sulle spalle, risate ed un fiume di domande. Ma e’ quando bisogna relazionarsi con l’altra metà del cielo che cominciano le difficoltà. Perché in un società rigida in cui ci sono leggi non scritte che regolano ogni aspetto della socialità, e’ difficile contenere il guizzo del sentimento.

Le prime avvisaglie di questa difficoltà le ho viste in Ouroveni il primo villaggio, in cui mi hanno chiesto se ero sposato; ho risposto che non lo sono, ma che vivo assieme alla mia compagna nella stessa casa. Gia’ il fatto che io viva con la mia compagna senza essere sposato ovviamente e’ una cosa inconcepibile, ma soprattutto che viviamo io e lei e basta senza nessun altro elemento della famiglia. La domanda successiva e’ stata come ho fatto  a conoscerla e a convincere suo padre a venire a vivere con me. Dovevate vedere le loro facce quando ho detto “Ho conosciuto la mia compagna ad una cena tra amici, e non ho chiesto a nessun padre, ma abbiamo deciso assieme”; ecco questo non sono riuscito bene a farglielo capire, ma non mi pareva il caso di insistere. Allora incuriosito ho chiesto come si fa qui alle Comore e devo dire che e’ proprio dura.

Escluse le unioni combinate, che qui ci sono e in molte famiglie sono una consuetudine, gli adolescenti si conoscono a scuola, o frequentando spazi comuni, come ad esempio le piazze, i caffé, come avviene in tutto il mondo. Non sono entrati molto nel dettaglio della fase pre-fidanzamento, ma mi pare di intuire che sia una fase lunga, delicata e soprattutto misteriosa. Nel senso che niente si vede in pubblico, ma sono lunghi sguardi, sorrisi continui. Solo lontano dagli occhi indiscreti allora ci si puo’ lasciar andare, toccarsi le mani o abbracciarsi, pronti a mettere subito una pudica distanza. Alcuni giorni fa mentre andavo a prendere l’acqua al deposito di acqua piovana una coppia di studenti stava guardando un film al pc tenendosi la mano, appena mi hanno visto si sono seduti composti e con le braccia incrociate con uno sguardo di indifferente vergogna.

Dopo questa fase avviene il fidanzamento. Il ragazzo in questione parla della ragazza con cui vorrebbe fidanzarsi a casa propria e qui ci sono tre diverse possibilita’. Nei primi due casi o il padre ha gia’ deciso per un matrimonio combinato o la ragazza non viene accettata, il risultato e’ il medesimo: il matrimonio non si fara’ a meno che il ragazzo decida di andare contro la volonta’ della sua famiglia, cosa assai rara. Se invece abbiamo la terza possibilita’, ovvero la ragazza va bene, si passa alla fase due, ovvero chiedere alla famiglia della futura sposa. Ma qui viene il difficile perche’ non puo’ andare il futuro marito a chiederlo, perche’ troppo giovane, ma deve andare o il padre dello sposo o uno zio, perche’ le due persone che si parlano devono appartenere alla stessa categoria di eta’. I due padri quindi si siedono e discutono della proposta e cercano di trovare un accordo che puo andare bene o male; qui entrano in gioco, status sociale, ricchezza e privilegi dell’una e dell’altra famiglia. Se alla fine i due capifamiglia si accordano si festeggia e vissero per sempre felici e contenti, altrimenti niente da fare.

Oggi e’ venuta in barca con noi un’amica del mio studente. Di solito sono abbastanza “tedesco” quando lavoro, e non mi piace mescolare lavoro e divertimento, ma Artadji me lo ha chiesto con una tale espressione che non sono riuscito  dirgli di no. Per tutto il tempo ha parlato pochissimo, ma quando poi siamo rientrati al porto Tadji mi ha chiesto se potevo scattare alcune foto e per la prima volta si sono messi in posa molto vicini, emozionati da questo contatto. Credo di intuire che ci possa essere del tenero tra di loro, ma credo che il mio studente non lo direbbe nemmeno sotto tortura.

Dimenticavo: esiste un’ultima possibilita’ per gli amanti se tutto dovesse andare storto; andare contro la volonta’ delle rispettive famiglie, fuggire in un altro villaggio e farsi una famiglia da soli, credo che si possano contare sulle dita di una mano sentendo Artadji. Una cosa che poi mi ha fatto capire quanto sia dura la vita coniugale qui riguarda il rapporto con i genitori della sposa. Infatti il marito dopo il matrimonio va a vivere in casa della sposa per tutta la vita, e’ quasi impossibile che i due decidano di vivere da soli per conto proprio. Ecco questo io non riesco a concepirlo, ma sono solo un muzungu…

giovedì 19 maggio 2011

Avatar ... il Dio in Catene...


Nella religione Indu’ spesso gli dei si manifestano nel mondo mortale, ma non possono farlo liberamente , devono infondere una parte della loro essenza in un essere mortale, quasi che il creato non possa contenere la loro grandezza. Ma questo involucro fatto di carne e sangue stringe in una morsa il dio, che lotta per far emergere la sua divina potenza, costretto a ridurre la sua grandezza, incatenato come noi ad una finita ed imperfetta esistenza: ecco quindi che viene alla luce un Avatar, parola che deriva dal sanscrito “avatara” o discesa. Nella trimurti, la triade (affascinante come il tre ritorni sempre nelle diverse religioni, le divinita’ indu, il numero perfetto del Tao, la trinita’, le erinni, le moire…) divina indu’ composta da Brama (il creatore), Visnu’ (il conservatore) e Shiva ( il distruttore), i sacri testi attribuiscono a Visnu’ ben 10 avatar e si attende la venuta di Kalki, che distruggera’ il  male del creato per ristabilire il regno dei giusti (analogia con la profezia maya, mi sa che ci sara' affollamento il 26 dicembre 2012). Oggi ho incontrato il Dio in Catene…

Ieri durante l’uscita in barca mentre ascoltavo i suoni di alcuni delfini sento un rumore ritmico, come un ticchettio, non ci faccio molto caso, pensando che sia semplice rumore di fondo, ma alla sera decido di ascoltarlo meglio. Effettivamente il ticchettio c’e’ sempre, ma non e' rumore di fondo, viaggia a frequenze troppo alte. C’e’ solo un cetaceo che emette suoni di questo tipo e l’ho gia’ incontrato ad Ischia: il capodoglio. Scuoto la testa mentre cerco la mappa batimetrica “non puo’ essere, non e’ cosi’…”. Non faccio tempo a finire di pensare quando noto che ci potrebbe essere nelle vicinanze un canyon sottomarino. Vado a dormire con questo pensiero che mi frulla in testa e ripenso alla prima volta chesentii parlare del capodoglio. Me ne parlo' mio nonno e rimasi affascinato da questo animale che cacciava negli abissi i calamari giganti…

Stiamo effettuando la consueta uscita al mattino, e sono un po’ insofferente perche’ non abbiamo ancora visto un animale in piu’ di un’ora finche’ ecco che capitan Ciotti urla “Nduju” (comoriano per balena); volgiamo la prua ed ecco un soffio dritto davanti a noi. Immediatamente spingiamo il motore e vediamo una coda inabissarsi, mentre una sagoma ci attende ed e’ allora che capisco, senza ombra di dubbio; e proprio un capodoglio…

L’incontro con questi giganti del mare mi provoca emozioni contrastanti, curiosita’ e paura; oggi a maggior ragione dato che eravamo su una barca di legno di 5 metri di fronte ad un animale lungo piu’ del doppio e pesante oltre 50 tonnellate, solo con il suo peso ridurrebbe la barca in briciole. Mentre respira, fa vibrare l’acqua, ma non sembra un movimento meccanico, e’ come se tutto il suo corpo pulsasse. Per gli antichi greci Oceano era una divinita’, e di fronte a me ora non c’e’ solo un animale maestoso, ma un Avatar dell’Oceano Indiano. Mentre respira tutto sembra fermarsi, finche’ una scossa, un fremito lo percorre; sembra quasi che la sua essenza voglia uscire, liberarsi dalla prigione di corporeita’. Cominciamo ad avvicinarci, ma lui non ce lo permette, inarca la su coda grossa come un tronco e mentre scende ho solo il tempo di ascoltare con gli strumenti un ticchettio che si diffonde negli abissi, regno incontrastato del Dio in Catene…

Chi dorme...

Non piglia pesci, recita il detto, nel mio caso non piglia cetacei. Questa settimana il nostro sito di indagine e’ la costa del villaggio di Itsandra. “Perfetto” e’ il mio primo pensiero, dato che dista solo alcuni chilometri dalla capitale e quindi non dovro’ fare campeggio, ma posso dormire nel mio alloggio. “Terribile” e’ il pensiero attuale, perche’ il villaggio non e’ cosi lontano per montare la tenda, ma nemmeno cosi’ vicino da poterlo raggiungere agevolmente, dato che all’alba non ci sono i mezzi. Quindi l’unica soluzione possibile e’alzarsi alle 4, farsi i 4-5 chilometri a piedi con tutta l’attrezzatura in spalla e arrivare quindi poco prima delle 6 per l’uscita in barca; gia sento le risate della mia baraka…

Per la prima volta devo mettere la sveglia perche’ ci alziamo prima del muezzin e per svegliarmi non trovo altro metodo che versarmi addosso un secchio di acqua fredda, perche’ solo bagnandomi la faccia non e’ sufficiente e quindi ho optato per il metodo drastico che ha funzionato. Prendo l’equipaggiamento e assieme ad Artadji ci incamminiamo verso Itsandra facendo colazione itinerante con acqua, pane e biscotti; dato che si deve andare in barca e forse fare il bagno meglio non esagerare. Alle 4:30 di mattina la citta’ dorme, non c’e’ nessuno, alle 5 comincia a svegliarsi per la prima Salat (preghiera) ma adesso ci si potrebbe stendere in mezzo alla strada. Fa un certo effetto vedere alcuni luoghi che durante il giorno sono un groviglio di corpi, odori e suoni quasi inestricabile, mentre adesso sono spazi vuoti, senza significato. Il porto, la via commerciale, il grande mercato Wolo-Wolo; quest’ultimo poi mi lascia senza parole.

Questo mercato, che in realta’ potremmo definire Casba, Bazar o citta’ nella citta’, e’ un’enorme piazza, in alcuni punti coperta, dove chiunque puo’ arrivare, stendere un panno o se preferisce essere itinerante, sopra una carriola, metterci la propria mercanzia e cominciare ad urlare per venderla. Non ci sono posti fissi, chi prima arriva si prende le tettoie e i banconi in pietra, mentre per gli altri non resta che stendere un panno e metterci sopra le merci, ma la cosa incredibile di questo posto non e’ il fatto che si puo’ vendere ogni cosa, e’ il fatto che puoi comprare da chiunque, anche da un passante. Se per esempio qualcuno vede un oggetto, ad esempi il tuo cappello, e gli interessa si avvicina e cortesemente ti dice che e’ intenzionato a comprarlo e ti fa un’offerta; il rifiuto netto e secco e’ scortese, perche’ come ho imparato in tutti i paesi arabi non si tratta per comprare, ma si tratta per conoscere. Credo che la maggior parte delle volte che si cominci ci sia la voglia di sentire delle storie piu’ che il desiderio di acquistare. Fatto sta che si tratta sul prezzo mente i commercianti si informano sul reciproco lavoro, sul motivo della permanenza e molte altre cose, e nel frattempo si rilanciano le offerte finche’ se uno non cede l’oggetto del desiderio, ma ha fatto una buona discussione, sono tutti contenti e si prosegue per la propria strada, dato che qualcosa lo si guadagna in ogni caso; calore umano.

Usciamo dalla citta’ e la strada che ci porta al villaggio non e’ illuminata, ma c’e’ una luna piena che sembra un faro; e’ talmente luminosa che fa sparire tutte le stelle. Non c’e’ una nuvola in cielo e non tira un alito di vento, le condizioni perfette per fare avvistamenti in mare. Arriviamo al villaggio di Itsandra e Tadji si ferma per la preghiera mente io attendo all’esterno e cerco di vedere qualche stella, ma sta per sorgere il sole in cielo e ne scorgo solo una: Venere, la prima ad apparire alla sera e l’ultima a scomparire al mattino. Mi guarda come quella volta ad Ischia e magari potrebbe essere un buon segno. Tadji finisce e ci incamminiamo verso il porto e mentre parliamo mi accorgo del chiarore che si diffonde. Una cosa ho imparato delle albe e dei tramonti africani, almeno qui all’equatore. Che sono lampi velocissimi, sembra quasi che qualcuno accenda o spenga il chiarore come se avesse un interruttore. Alla mattina ad esempio e’ qualcosa di inspiegabile, mentre stai camminando in pochi attimi la luce pervade tutto l’ambiente senza che tu te ne accorga, senza gradualita’. Saliamo in barca e sento la voce gracchiante del capitano; credo che abbia fumato talmente tante sigarette che tra la sua voce e quella di Sandro Ciotti non c’e’ alcuna differenza. Mi chiede in un francese stentato che direzione dobbiamo prendere ed io indico a Capitan Ciotti il nord e mentre volgiamo la prua noto che Venere e’ scomparsa del tutto…

mercoledì 18 maggio 2011

Il Bianco e il Nero...

Leggendo Ebano ho imparato tante cose sull’Africa; non ringraziero’ mai abbastanza la mia meta’ del cielo per avermelo dato perche’ attraverso la sua lettura ho capito e apprezzato molte cose di questo continente e la prima e’ condensata in questa frase di Kapuscinski “Solo per semplificare e per pura comodita’ che chiamiamo questo continente Africa. A parte la sua denominazione geografica, in realta’ l’africa non esiste.”; infatti Lei e’ qui ora attorno a me ed in nessun luogo. Molte delle cose che sono state vissute e scritte da questo straordinario scrittore in Ghana, Ruanda, Kenya sono vere anche qui adesso come 50 anni fa. Alcune di queste cose le ho sperimentate di persona; sentite questa…

Nel primo villaggio dove abbiamo campeggiato non capivo come mai spesso i bambini mi evitassero, sebbene li salutassi in comoriano. (Per dire “ciao” si dice “Eje” e l’altro risponde con “Gema”). Alcune volte poi scappavano di corsa a nascondersi dietro la gonna della mamma, magari piangendo. All’inizio non ho dato molto peso a tutto questo, pensando che tutto fosse dovuto alla mia statura, finche’ non sono arrivato a Bangua, il villaggio dei Guguru…

Li noto che oltre a fuggire i bambini spesso mi indicano e dicono qualcosa ma capisco solo la parola Muzungu. Chiedo spiegazioni ad Artadji che mi dice “Per loro tu sei il cattivo Muzungu che li porta via dalla loro mamma”. Rimango un attimo interdetto e poi chiedo ulteriori spiegazioni. “Scusa, stai forse dicendo che per loro sono una sorta di spauracchio?”. Lui ridacchia e mi spiega meglio. “Quando un bambino fa tanti capricci la mamma gli dice che se non fara’ il bravo arrivera’ il Muzungu che lo portera’ via di notte.” Subito mi tornano in mente alcune pagine di Ebano ed una semplice considerazione. Nel nostro mondo di bianchi l’elemento pauroso, il “babau”, e’ sempre stato l’uomo nero. Quante volte mia nonna mi ha sgridato dicendomi “Ara che se no ti xse’ sestoso riva l’omo nero che te porta via” (traduzione: guarda che se non fai il bravo arriva l’uomo nero che ti porta via). Qui, in un mondo di neri il babau sono io, l’uomo bianco, il Muzungu. Ecco perche’ i bambini spesso si nascondono quando mi vedono, magari la mamma poco prima li ha sgridati con la minaccia del muzungu cattivo e io appaio poco dopo sulla strada. Ma al villaggio dei Guguru (solo li’ poteva succedere) ho assistito all’inversione di tendenza…

Dopo una mattinata in barca alcuni bambini si avvicinano, non sembrano spaventati dalla mia presenza e giochiamo un pochino con una palla fatta di stracci legati assieme da del filo da pesca (pensavate con un pallone? Vi ricordo che siamo in Africa). Mentre andiamo verso casa uno di questi bambini viene pesantemente sgridato da sua madre che poi mi indica piu’volte dicendo Muzungu ed intuisco che gli sta dicendo che l’uomo bianco potrebbe portarlo via. Il bambino mi guarda in modo complice, con occhi da furbetto e con piglio deciso dice alla mamma “Io non ho paura di quel Muzungu”. La mamma per 10 secondi non ha emesso un fiato…

Oro Bianco...

Acqua, componente essenziale e vitale delle creature. Non esiste nessun essere vivente  che non abbia dentro di se questa formidabile molecola dal comportamento bizzarro; riscaldata svanice in vapore mentre il freddo la fa solidifacare rendendola leggera, ma e' nella sua forma liquida che tutti noi la apprezziamo. Qui in Africa l'acqua e' un bene preziosissimo, tanto che i beduini dello "Specchio d'Oro" il deserto del Sahara dicono che esiste una cosa che puoi amare e desiderare piu' di una donna: e' l'acqua. Durante questa mia permanenza africana non ho attraversato deserti, ne ho patito sofferenze per via della mancanza d'acqua, tranquilli, solo che oggi mentre mi facevo la doccia notavo come abbia imparato a razionare e riutilizzare l'acqua.

Appena arrivato qui in albergo ho fatto la mia prima esperienza di doccia con i secchi dato che il tupo dell'acqua calda era rotto e funzionava solo la fredda. Spostandomi nel mio alloggio al centro ricerche avevo visto un boiler e la doccia e mi sentivo tranquillo come un pascia', ma non avevo fatto i conti con la mia baraka. Il boiler infatti era rotto ed incrostato e la doccia funzionava, ma ho scoperto solo alla mattina, dalle 6 circa fino alle 10, poi non c’e’ piu’ pressione e niente acqua corrente; quindi da subito imparai che bisogna dormire con il rubinetto aperto con sotto il secchio. In dotazione ho ben due contenitori; uno verde molto grande (dotato di un gemello piccolo per il dosaggio) di circa 30 litri che uso per lavarmi, ed un secchio nero da 20 che uso per lo scarico della toilette; si perche’ ovviamente la vaschetta del WC va riempita ogni volta dato che senza pressione non si riempie da sola.

All’inizio non ero molto accorto nell’utilizzo dell’acqua, dato che usavo quasi tutto il secchio verde e ogni volta che dovevo andare al bagno andavo al piano terra al deposito di acqua piovana. Col tempo ho capito l’importanza del riutilizzo di acqua e soprattutto che si usa tutto. So che adesso i piu’ schizzinosi storceranno al naso e diranno “io non potrei mai farlo” mentre proseguira’ il racconto; beh allora le possibilita’ che avete sono solo due: o restate a casa o vi adattate all’Africa. La prima regola del buon utilizzo dell’acqua e’ che si usa ogni singola goccia; questo non significa non lavarsi, ma nemmeno gettarsi addosso acqua a volonta’: si prende il secchiello piccolo (il gemello di cui sopra) e ci si versa addosso lentamente l’acqua, in questo modo si puo’ risparmiare fino a meta’ del secchio verde (non dover andare a riempire un secchio da trenta litri e poi portarlo su per le scale e’ cosa buona e giusta). Ma il vero riutilizzo avviene con il secchio nero, e dopo giorni di pratica sono diventato un vero maestro. Si parte dal presupposto che il secchio nero serve solo ed esclusivamente per riempire l’acqua del WC quindi posso anche non curarmi della qualita’ dell’acqua con cui lo riempio.

Alla mattina appena ci si alza ci si da una lavata rapida e poi via in barca, ricordandosi di farlo con sotto il secchio nero che raccoglie l’acqua. Prima di uscire ci laviamo i denti e ovviamente tutto quello che viene sputato va nel secchio nero (ecco qui gli schizzinosi potrebbero sentirsi male). Devo sciacquare la bandana per avere la testa fresca mentre esco? Ovviamente non la intingo nel secchio nero (va bene barbaro, ma fino ad un certo punto), ma la bagno e la strizzo sopra il secchio nero. Con questo sistema si possono risparmiare quasi due secchi, ovvero risparmiarsi due viaggi alla cisterna dell’acqua piovana. Alle volte mi chiedo se quando dovro’ farmi la doccia in Italia scendero’ le scale del mio palazzo, e andro’ alla ricerca della cisterna di acqua piovana piu’ vicina o mi ricordero’ di essere cosi’ fortunato da avere l’acqua corrente in casa in ogni momento della giornata…

martedì 17 maggio 2011

I frutti del Karma...

Dopo quasi un mese di lavoro assieme ho maggiore confidenza con Artadji e oggi, complice una piccola discussione con uno dei pescatori, ha espresso il suo disappunto per alcuni tratti dei comoriani. Stamattina la giornata non era cominciata nel migliore dei modi, dato che siamo arrivati tardi. Io mi reputo una persona abbastanza tollerante, ma faccio fatica ad accettare l’idea che si possa fare tardi perche’ bisogna pregare, ma siamo in un paese islamico e siamo in Africa, cosi’ ho inspirato e pensato ai “frutti del Karma”. Artadji si e’ scusato, dicendomi che ha dormito con un suo amico nella stessa stanza, e se all’ora della preghiera si e’ in due non e’ cosa buona pregare da soli, ma bisogna farlo in compagnia. Io ho detto che non e’ un problema la preghiera, ma dato che non ha una parrocchia di riferimento, possiamo alzarci mezz’ora prima e lui puo’ pregare al villaggio di Itsandra ed ha accettato (il karma ha dato i suoi frutti).

L'uscita in barca e' totalmente infruttuosa e come se non bastasse, appena tocchiamo terra, il pescatore ci chiede se per i prossimi giorni possiamo pagarlo un po' di piu' dato che abbiamo effettuato un percorso piu' lungo di quanto lui avesse previsto. Ho preso in disparte gli studenti e gli ho spiegato che non e' possibile discutere ogni settimana dopo aver gia' pattuito il prezzo; io lo so che il pescatore probabilmente guadagna di piu' prendendo pesci ma ha anche giornata piu' semplice. Loro lo prendono in disparte e intuisco dal tono della discussione che anche il proprietrio della barca e' contrariato dalla cosa, evidentemente ci vuole guadagnare di piu'; se fossimo in europa mi alzerei e saluterei cercando un altro pescatore, ma qui non posso farlo. Perche' altrimenti avviene sempre la stessa storia: gli europei prendono in mano la situazione, la sfruttano e lasciano le briciole ai locali, cosa che io non voglio  che accada; quindi decido di rimanere calmo (I frutti del karma), di dimostrarmi accomodante e alla fine cedo ad una leggera maggiorazione sul prezzo, ma ottengo che non si ridiscuta piu' indipendentemente dal tragitto che verra’ percorso; ne esco soddisfatto (il karma da sempre i suoi frutti), e soprattutto Artadji che sembra stia cominciando a capire quanto sia difficile trattare con i suoi stessi paesani se vuoi lavorare nella ricerca.

Mentre torniamo verso il nostro alloggio Artadji che ha preso maggiore confidenza comincia a parlarmi del lato oscuro della mentalita' Comoriana. Prende spunto dalla discussione che ho avuto con il pescatore e mi dice ce solo ora si rende conto di quanto sia difficile lavorare qui in Africa. Non ho nemmeno il tempo di replicare che comincia a parlare come un fiume in piena. Artadji mi confessa che non riuscirebbe a vivere in Europa, ma ci sono delle cose che qui in Africa devono assolutamente cambiare. Quello che Tadji non sopporta e' il fatto che quando uno della famiglia lavora tutti gli altri membri si sentono autorizzati a chiedergli dei soldi; i Comoriani che invece sono all'estero possono spendere questi soldi anche per il loro piacere. Ma questi ultimi secondo lui sono anche un problema. Infatti con i soldi che mandano riescono a sostenere le loro famiglie, tanto che spesso alcuni membri si abituano ad essere dei mantenuti e a non voler fare lavori faticosi, e passano il tempo a chiedere soldi a tutti i parenti. Secondo lui tutto questo deve cambiare, perche' ad esempio lui non sopporterebbe di essere mantenuto, ne di dover dare i soldi del suo lavoro ad altri "aiutare gli altri si, ma troppo no" mi dice alla fine del discorso.

Sto apprezzando sempre di piu' questi ragazzi cresciuti forse in fretta, ma con idee chiare soprattutto sul loro paese. Sanno essere critici se ci sono cose che non vanno e si stanno impegnando per attuare un cambiamento. Gli auguro di veder maturare i frutti del karma...

lunedì 16 maggio 2011

Sogni...

Oggi siamo andati ad Itsandra a cercare una barca e devo dire che la cosa e andata molto meglio. Stavolta sono rimasto leggermente defilato durante le discussioni e abbiamo raggiunto un accordo ragionevole. L’unico problema e’ che dobbiamo muoverci a piedi verso questo villaggio perche’ non credo che riusciremo a trovare un tasporto alle 5 di mattina. Quindi domani la sveglia suona alle 4:30 e poi via a piedi per circa 3 chilometri. Mia madre mi ha detto che ricordero’ questi momenti quando, magari tra 20 anni ci sara’ un Parco Marino, e si potranno prendere le barche comodamente da un molo vicino all’universita’, mentre adesso bisogna farsi un’ora a piedi con tutta l’attrezzatura per arrivare al villaggio. Evviva la ricerca sul campo…

Questa volta ci ha accompagnato un amico di Artadji che proviene proprio da Itsandra e dopo la discussione con i pescatori allunghiamo il nostro viaggio di ritorno perche’ ha deciso che devo conoscere la sua famiglia e non vuole sentire altre ragioni. Cedo senza troppe resistenze e arriviamo alla sua casa ed e’ un pugno in faccia che non dimentichero’ facilmente. Incastrata tra il palazzo del Presidente dell’Unione delle Comore e la villa di un Industriale c’e’ una piccola casa di lamiera, composta da tre locali divisi da tendaggi e logore pareti di compensato, e appena ci avviciniamo la prima cosa che sento e’ una voce di donna che pronuncia “Karibu” e io non posso fare a meno di rispondere “Sterele”. Esce dal tendaggio una donna minuta, asciutta, dai lineamenti segnati dal sole, che mi guarda con occhi profondi mentre io mi inchino a mani giunte chiedendo “Quesi”; lei sorride e prende le mie mani nelle sue e appoggiandole sulla mia fronte mi benedice (“Mbona”) con la sua baraka e mi fa entrare.

Pone di fronte a me un piatto di cassava con patate e del manzo. Ringrazio e ne prendo qualche boccone e mentre stiamo mangiando l’amico di Artadji mi parla di se, della sua vita, della sua famiglia. Suo padre lo ha abbandonato quando lui era piccolo e per un po’ sua madre gli ha detto che era morto, ma per lui la cosa non ha piu’ importanza; lui adesso ha un obiettivo, quello di cercare di crescere professionalmente e magari cercare un dottorato all’estero per poi tornare e aiutare il suo paese. Mentre mangiamo e’ un fiume in piena; parla con una tale energia dei suoi desideri, dei suoi sogni che sembrano che siano attorno a noi e lui li stia gia’ afferrando. Adesso mi rendo conto delle difficolta’ con cui vivono questi ragazzi, cresciuti spesso in fretta. Quasi tutti gli studenti che stanno facendo adesso il Master in Biodiversita’ (tra l’altro ho scoperto che e’ il primo master che ha fatto la neonata universita’ delle Comore) vengono da famiglie che in Italia definiremo problematiche e disagiate; pensate come si puo’ definire qualcuno di disagiato in Africa: io non ho trovato un termine, se voi ne avete uno ditemelo.

Ognuno di questi ragazzi ha passato l’universita’ studiando come un matto per avere la possibilita’ di accedere a delle borse di studio perche’ altrimenti non potevano ovviamente permettersi la retta e questi studenti sono stati selezionati tramite un concorso in tutta la facolta’: sono il meglio che l’universita’ puo’ offrire. Stanno cercando di fare il meglio che possono con dei mezzi di fortuna, affrontando mille difficolta’, con dalla loro una forza e una voglia di riuscire inesauribile; una frase che mi ripetono spesso e’: “Se qualcuno in qualche parte del mondo ci e’ riuscito, perche’ io non devo riuscirci?”. Gia’, “perché?” mi sono chiesto anche io.

Finiamo di mangiare e ringrazio calorosamente questa donna che ha cresciuto da sola suo figlio in Africa e che quando me ne parla sento, giustamente, tutto l’orgoglio di una madre; perché vede che suo figlio ce la puo’ fare. Quanta forza vedo in lei mentre mi guarda con dolcezza e quanta ne ho visto nelle donne, madri, mogli, nonne che ho osservato qui in Africa. Mentre torniamo mi fermo a guardare il mare e mentre sul mio viso si appoggia il sole del meriggio guardo a nord ovest verso casa mia. Rivedere da qui i propri desideri e i propri sogni, alla luce di quello che succede qui in Africa, ne fa sembrare alcuni cosi’ piccoli e miseri che alle volte vorresti non averli mai avuti. Si, credo che mi ricordero’ dell’Africa tra 20 anni, quando magari avranno fatto il Parco Marino e si potra’ prendere la barca comodamente da un molo davanti all’universita’…

domenica 15 maggio 2011

Sounds Good...

Oggi dopo una mattinata di riposo io e Artadji abbiamo fatto un giro al porto per trovare una barca per la nostra prossima settimana di osservazioni. Effettuando la ricerca itinerante ogni settimana bisogna trovare il mezzo ed il luogo per dormire. ma la prossima settimana sono fortunato dato che la zona di indagine e' vicino alla capitale, quindi dormiro' al centro ricerche almeno per questa settimana, mentre la prossima si sale verso nord.

Appena arriviamo ci accoglie un fortissimo odore di pesce e cominciamo a parlare con i pescatori ma non sembrano molto intenzionati a noleggiarci la loro barca. Ho come un presentimento, sento oggi non combineremo nulla di buono. intuisco subito che sono io il problema; i pescatori appena vedono un muzungu pensano che sia ricco e quindi sparano immediatamente delle cifre altissime, e come se cio' non bastasse cominciano a fare cartello, in modo tale che il prezzo sia sempre lo stesso.Dopo una mezz'ora di estenuanti trattative siamo quasi riusciti ad arrivare alla meta' del prezzo iniziale che e' comunque troppo elevato rispetto a quanto pagato nelle settimane precedenti. Facciamo un'ultima offerta e poi ce ne andiamo lasciando che la notti porti consiglio.

Confesso che sono un pochino arabbiato perche' non siamo riusciti a concludere niente perdendo solo tempo, ma poi riflettendoci mi rendo conto che non e' colpa loro, non sono degli avidi, anche se comunque e' chiaro che cercano di sfruttare al meglio l'occasione. Loro si basano sul pesce che normalmente prendono e che vendono e quindi tolte le spese devono arrivargli in tasca almeno quei soldi. Il loro primo pensiero e' non rimetterci e poi riuscire ad avere il margine di guadagno piu' elevato possibile con uno sforzo minimo rispetto ad una giornata di pesca che con i loro mezzi deve essere veramente dura. Per non trovarci in difficolta' optiamo per una visita sulla costa ad un altro villaggio per il giorno successivo, magari con maggiore fortuna.

Postilla della sera. Dopo settimane di pesce stasera mi sono preso una bella bistecca (di manzo ovviamente) alla brace con patate fritte. Ma il pezzo forte a cui non ho saputo resistere e' stata la bevanda che ho visto dentro al frigo: birra. Voi direte "bella forza"; errore perche' il ristorante ha non comunissima birra in lattina, ma una vera a propria birra Heineken in bottiglia. Appena arriva il cameriere mi porge l'apribottiglie (credo che i musulmani osservanti non possano nemmeno rischiare di essere toccati dagli alcolici) e lo sfrigolio dell'anidride carbonica che esce da sotto il tappo metallico mi provoca un brivido lungo la schiena. Osservo il cielo mentre la sollevo e dedico un brindisi a tutti voi, vicini e lontani, che seguite le mie avventure su questo blog. Batto sul tavolo e poi bevo rigorosamente a canna un bel sorso. E' ghiacciata, temperatura perfetta con la calura equatoriale e quando la appoggio sul tavolo non posso fare a meno di pensare "Sounds Good"...

 P.S.
Vi avevo parlato all'inizio del mio compagno di ricerche, ovvero il gorilla pugile. Ecco una sua foto. Occhio che e' abbastanza irascibile, quindi non lo stuzzicate se lo vedete in giro

sabato 14 maggio 2011

Namascar e il mercante di pietre...

Qui alle Comore esiste un unico operatore telefonico(HURI) che sembra non abbia nessuna forma di roaming possibile con gli operatori italiani pertanto l’unico modo che ho vuto per poter comunicare con l’Italia e’ stato attivare una sim locale. La parte divertente riguarda la ricarica della scheda. Qui non esistono i negozi di telefonia o i tabaccai dove puoi acquistare la ricarica, e nemmeno credo sia possibile una ricarica via internet. O vai in uno dei punti del ministero delle telecomunicazioni ad acquistare una tessera per ricaricare il credito oppure vai in un qualunque negozio e chiedi se ti possono ricaricare il cellulare. Infatti qui alle Comore esiste la possibilita’ di poter trasferire una parte del proprio credito ad un altro cellulare.

Poco dopo il mio arrivo ho trovato il mio punto di ricarica settimanale. E’ un grande negozio, situato in una delle piazze principali del paese vicino ad una grande moschea bianca. Mi colpi’ subito per le sue vetrine (pochi negozi hanno i vetri, al massimo delle inferriate), l’ordine con cui veniva esposta la merce ma soprattuto per una grande immagine di Ganesha (il dio elefante induista) che torreggiava sopra lo stipite della porta. Incuriosito entrai e subito feci un piccolo inchino a mani giunte verso il padrone del negozio pronunciando “Namascar”; perche’ il proprietario del negozio e’ indiano ed e’ un mercante di pietre…

“Namascar” e’ un bellissimo saluto indiano con un profondo significato spirituale. Secondo la religione induista quando nasciamo la nostra anima possiede l’”Atman”, o soffio vitale che in realta’ e’ molto di piu’: e’ una scintilla dell’infinito che fluisce dentro di noi. Quando due anime si incontrano si salutano con “Namascar” che significa “saluto il divino che e’ dentro di te”. Resto sempre piacevolmente sorpreso dai modi profondi ed intensi che hanno altre culture per salutarsi, soprattutto se confrontati con il nostro asettico buongiorno…

Oramai sono una presenza abituale nel suo negozio. E’ un omone grande e grosso, e veste sempre in modo molto elegante ma all’occidentale; e’ arrivato qui anni fa Delhi assieme a sua moglie che indossa sempre con straordinaria eleganza il “Sari” con svariati gioielli (orecchini, bracciali, cavigliere) finemente cesellati. Quando arrivo spesso facciamo due chiacchiere e quando gli ho chiesto se vendeva gioielli anche in India lui mi ha spiegato che la sua famiglia commercia in pietre da generazioni e lui non e’ un gioielliere, mestiere onorevole, ma che sa troppo di bottegaio, di commerciante, non di intenditore. Lui infatti mi guarda con una punta di malcelato orgoglio mentre mi corregge e mi dice che lui, come suo padre, e suo padre prima di lui, e’ un mercante di pietre. Noto infatti un libro sulla sua scrivania vicino ad una scultura in oro di Khrisna; sulla copertina non c’e’ nessun titolo, ma sfogliandolo capisco tutto. E’ un catalogo di pietre preziose, alcune con valore decisamente elevato (parliamo di decine di migliaia di dollari).

Volevo chiedergli se qualcuno viene qui e compra quelle pietre, dato che siamo in un paese poverissimo ma la risposta e’ arrivata la settimana successiva. Mentre entravo nel negozio ho visto parcheggiata vicino alla piazza una mercedes con vetri oscurati. Quando sono entrato c’era solo sua moglie che e’ andata nel retro bottega a chiamare suo marito. Dopo l’acquisto del credito per il cellulare si e’ scusato perche’ non poteva trattenersi, aveva un cliente molto importante. Ho intuito che fosse qualcuno che voleva acquistare una delle pietre preziose che avevo visto nel suo catalogo. Ho detto che non c’era nessun problema e mi sono inchinato a mani giunte verso il mercante di pietre e abbiamo pronunciato assieme “Namascar”…

Fast and Furious!

Come vi avevo detto qualche giorno fa ecco il racconto del viaggio per andare al villaggio di Bangua.  Per questa destinazione non si prende il bus, ma una macchina, che non fa fermate intermedie. Perfetto penso, per la prima volta faro’ un viaggio normale ma gia’ sento la mia baraka ridere di fronte a questo pensiero…

La piazzola di sosta delle macchine che partono per i villaggi e’ un parcheggio abbastanza anonimo in cui il guidatore arriva, toglie le chiavi dalla macchina, urla la sua destinazione e mentre va a prendersi qualcosa da bere il mezzo si riempie e quando l’autista torna parte. Appena arriva comincia il tetris perche’ l’ACC (Automobile Club Comoriano) non pone limite al numero delle persone che un veicolo a motore puo’ trasportare e pertanto alla fine siamo in 8 passeggeri disposti in questa maniera. Di fianco al guidatore Tadji e un altro persona, mentre dietro siamo in 5. Dato che sono grande e grosso ho il privilegio del sedile e sopra di me si siede un altro passeggero, poco importa se ci si conosce o meno, c’e’ tutto il viaggio per diventare amici.

Ma ecco che arriva il guidatore: un tamarro africano di ultima generazione che appena avvia il motore dalla radio parte a tutto volume rap arabo che il nostro autista mima come fosse Eminem o Notorius B.I.G. e sgomma come in Fast and Furious. Il viaggio si preannuncia abbastanza avventuroso quando intuisco una cosa; sembra che tra i guidatori correre sia una prassi consolidata data da questa semplice equazione: piu’ veloce vai, piu’ persone porti e quindi piu’ soldi guadagni. Ecco quindi che il nostro guidatore comincia a gareggiare con un suo collega altrettanto tamarro. I due contendenti cercano il sorpasso continuo suonandosi e sbeffeggiandosi a vicenda e la gente nelle macchine contribuisce agli insulti, mentre io sono raggelato dalla paura. Sono notoriamente un fifone per le alte velocita’ e potete immaginare come mi sento quando vedo il tachimetro toccare quota 100 km/h in una strada africana senza illuminazione; ogni buca puo’ essere la tua ultima…

Mi assale un dubbio; il mio guidatore o e’ un pazzo all’ultimo stadio o e’ la reincarnazione di Jacky Ickx (Papi ti rubo questa espressione) ma considerando che sorpassa con precisione millimetrica o inchioda 10 cm prima di ogni buca propendo per la seconda ipotesi e mi rassicuro un po’ (ma non troppo). Ed infatti ecco che il meglio arriva quando il nostro guidatore 250 FC (Franchi Comoriani; l’equivalente al cambio del rapper 50 Cents $) gioca la carta del rally.

Situazione della corsa: siamo secondi senza possibilita’ di sorpasso dato che sta arrivando un camion. Improvvisamente tutti rallentiamo per buche sulla strada, ma ecco il colpo da maestro. Il nostro autista cambia grattando di brutto e scatta a sinistra verso un piccolo slargo vicino alla giungla e cosi’ facendo costringe il camion ad invadere la corsia di marcia opposta. II nostro avversario di fronte ai fari e al clacson tonante del camion non puo’ fare altro che mettere la retro ed indietreggiare imprecando verso di noi. Ed e’ qui che 250 FC infila il rettilineo a tutto gas per una sfolgorante vittoria tra le urla di scherno e giubilo dei passeggeri, mentre io ringrazio silenziosamente Allah (in questa parte di Africa siamo sotto la sua giurisdizione) per essere ancora vivo.

Mentre camminiamo ho modo di sgranchirmi le articolazioni indolenzite e faccio notare ad Artadji che in Italia le auto sono omologate per 4 o 5 posti. Lui mi guarda e mi risponde che anche qui il massimo numero di persone per legge e’ 5 persone per macchina. Stupito gli chiedo “Come e’ possibile che fossimo in 8 persone? Se trovavamo un poliziotto ci dava la multa?”. Tadji sorride mentre mi risponde “Nessuna multa. Avrebbe fatto scendere le persone in piu’. Il guidatore poi avrebbe fatto 500 metri e parcheggiato a fari spenti lungo la strada in attesa dell’arrivo delle persone che superato il posto di blocco a piedi sarebbero risalite”. Commentate da voi a piacere…

venerdì 13 maggio 2011

Venerdi' 13...

Dopo la giornata di ieri penso sia meglio non rischiare e optiamo per un ritorno ai nostri alloggi in capitale. Alla partenza scopro con mio stupore che sono tutti alla porta per sapere come sto. La notizia che ho avuto qualche problema si e’ diffusa in tutto il villaggio e in molti sono venuti a vedere se sto bene. Ma la cosa incredibile e’ il governatore; mi dice che al villaggio saro’ sempre il benvenuto in qualunque momento del giorno e della notte. Spesso ho sentito questo calore, questo affetto e ogni volta e’ una sorpresa. Non penso di essere molto presente nella vita delle persone che conosco e non credo di dare cosi’ tanto rispetto a quello che ricevo e che ho ricevuto da tutti quelli con cui ho condiviso una parte del cammino della vita…

Lungo il viaggio di ritorno mi viene in mente che giorno e’ oggi: venerdi’ 13! Comincio a temere che qualcosa prima della fine non andra’ per il verso giusto. Il viaggio di ritorno e’ piacevole e senza scossoni. Il nostro guidatore e’ stranamente tranquillo, forse non e’ molto avido oppure e’ molto assonnato e vuole evitare incidenti. Fatto sta che giungiamo al centro ricerche in mattinata e qui dopo aver sistemato lo zaino scopro che qualcosa e’ non quadra: mi hanno cambiato il letto! Urlo di gioia per la scoperta, finalmente non dormiro’ piu’ in diagonale e vi spiego per bene il motivo.

Circa venti giorni fa mentre mi giravo nel letto una delle gambe del letto ha ceduto all’improvviso sotto il mio peso (non sono proprio un fuscello). Come soluzione di fortuna non ho trovato di meglio che andare a prendere un paio di forati in giardino e usarli come gamba del letto. Ovviamente non erano proprio della stessa altezza delle altre e quindi per riuscire a dormire mi mettevo in diagonale. Ho chiesto che mi venisse, non dico cambiato, ma almeno riparato il letto: mi hanno risposto che avrebbero chiamato un falegname appena possibile; dopo la prima settimana mi sono abituato a dormire in diagonale e quindi nemmeno ho piu’ chiesto nulla. Ma oggi noto che mi hanno cambiato il letto e ha provveduto la mia mamma comoriana. Parlando con il custode scopro che lei ha domandato piu’ volte che il letto fosse sostituito. Certo non e’ un letto nuovo di zecca, ma almeno e’ tutto alla stessa altezza e non devo piu’ dormire in diagonale…

Al pomeriggio mi dovevo incontrare con Artadji per analizzare alcuni dati ma scopro che il venerdi’ 13 ha colpito lui e non me. Mi manda un messaggio dicendomi che non sta molto bene, dato che ha gia’ avuto ben 3 attacchi di diarrea. Rimango stupito, dato che abbiamo mangiato le stesse cose e se avessi scommesso avrei sicuramente puntato su di me come miglior candidato alla diarrea. Superato lo sconcerto iniziale gli rispondo che non c’e’ problema e che se vuole aiuto ho una fornita farmacia…