mercoledì 15 giugno 2011

All'ombra del campanile...

L’Italia e’ il paese delle realtà particolari, figlie della sua storia che ci racconta divisioni in decine di città-stato, ducati, regni, repubbliche che hanno visto nel medioevo la sua massima espressione con l’epopea delle signorie. Medici, Colonna, Estensi, Meli Lupo, Sforza, Borgia, Farnese; decine di famiglie hanno creato piccoli regni indipendenti sotto la protezione dell’Impero, del regno di Francia, del Papato o del sultano Turco. Tutto cio' ha contribuito a creare divisioni non solo territoriali, ma anche sociali, sviluppando monete, leggi, , nonche' dialetti, invidie e rivalità.

Mentre le prime hanno seguito il corso della storia e sono state assorbite dallo stato centrale scomparendo del tutto, le seconde invece sono sopravvissute e anzi si sono fatte sempre piu’ vive ai giorni nostri; si potrebbe citare l’acredine tra Pisa e Firenze (recita il detto fiorentino “meglio un morto in casa che un pisano alla porta”),  o tra Udine e Trieste, ma ce ne sono decine e decine sparse per il nostro Bel Paese…

Qui alle Comore e credo anche in buona parte dell’Africa le divisioni sono piu’ nette e marcate essendo la comunita’ l’unico luogo in cui un individuo si riconosce. Questo crea legami fortissimi tra le persone, ma anche rancori insanabili. Qui alle Comore l’identita’ di ogni singola isola e’ molto forte con un proprio governatore inserito in una sorta di governo federale. Sembra tutto tranquillo e pacifico, ma tempo fa’ ho visto che e’ una quiete apparente perche’ in Africa, terra senza mezze misure, quando il sangue ribolle bisogna stare attenti.

Qualche settimana fa ho letto su un manifesto che ci sarebbe statta la sentenza nei confronti di un importante generale dell’esercito che sembra sia coinvolto nell’omicidio di un suo commilitone; ho chiesto lumi ad Artadji e i fatti sono i seguenti. Un colonnello dell’esercito, proveniente dall’isola di Anjuan e’ stato assassinato in casa sua da un commando di tre uomini, una vera e propria esecuzione premeditata dato che i tre hanno atteso l’arrivo del militare nascosti in casa prima di ucciderlo. Gli assassini sono stati catturati e condotti di fronte alla giustizia, ma rimane un fatto insoluto, sembra che le armi usate da questo commando provengano dall’armeria del Generale, originario dell’isola di Gran Comore (quella dove mi trovo). Artadji mi ha detto che la situazione non e’ affatto facile, ed e’ qui che la giustizia africana ha i suoi limiti.

La popolazione di Anjuan vuole che il generale venga consegnato agli abitanti dell’isola. Non si parla nemmeno di tribunale o giudizio; semplicemente voi datecelo e noi sapremo cosa fare. Dall’altra parte ci sono i sostenitori del Generale che hanno detto che se questo avverra’, loro uccideranno tutte le persone di Anjuan a Gran Comore. Alla parola uccidere dico ad Artadji che mi sembra un’esagerazione e lui molto serio mi risponde “questa e’ Africa Marco, non l’Europa”.  Infatti qui il potere del sangue, dei legami con la terra, il clan o la tribu’ e’ qualcosa di fortissimo; se tocchi qualcuno della mia gente, allora colpisci anche me ed io allora rispondero’ cominciando faide quasi eterne. Ho sentito in seguito rivalita’ anche tra paesi distanti poche centinaia di metri, con case incendiate solo perche’ qualcuno ha usato la spiaggia di un altro villaggio invece della propria. Ecco perche’ quando cominciano le lotte intertribali in questo continente spesso sfociano in violenti massacri, uno su tutti quello tra tutsi e hutu in Rwanda.

La giornata della sentenza Artdji mi chiese dove avrei mangiato la sera. Quando risposi “prendero’ un taxi per il quartiere Ambassador”, lui scosse la testa dicendo “Non e’ una buona idea prendi un panino da Nassib e poi rimani qui alla residenza; oggi dalle 18 chiudono tutte le strade perche’ arrivano molti sostenitori di entrambe le parti per la sentenza del processo e ci potrebbero essere dei disordini”. Ammetto che la cosa mi ha un po’ impressionato e ho pensato che fosse meglio seguire il consiglio. Effettivamente durante la notte ci furono delle sirene e al mattino sul giornale lessi di scontri tra le due fazioni con interventi della polizia ed arresti. Il giudice che doveva emettere la sentenza ha deciso di rinviare di un mese la sua decisione per ragioni di ordine pubblico. Non vorrei essere nei suoi panni…

Concludo con una nota sul campanilismo veneziano. I veneziani non si considerano veneti, ma veneziani come prima cosa, e soprattutto decantano ovunque la loro citta’ piu’ bella del mondo, unica al mondo bla bla bla. Sono anch’io veneziano ma credo che sia il caso di andare oltre la Repubblica Veneziana, morta con un doge friulano, il Manin (profetico fu il detto di un senatore della Serenissima; I gà fatto doge un furlan, ea repubblica xse’ morta), oltre 200 anni fa. Ma per darvi un’idea della presunta superiorita’ veneziana vi dico solo due cose. Per i veneziani tutto quello che e’ oltre il Ponte della Libertà, la terraferma, e’ per definizione “campagna” inteso in modo non proprio positivo.

Famosi sono modi di dire veneziani “el gà ea musana da tera”, “el ga ea musana da pan comune” per indicare qualcuno che possiede la faccia e le movenze del contadino ignorante; anche Milano stando in terraferma per un veneziano puo’ essere benissimo “campagna”. Ma il massimo lo raggiunge quest’affermazione: “se non ci fosse il Ponte della Libertà che collega Venezia a tutto il resto, tutto il resto sarebbe solo un’isola senza significato”. Non ho mai indagato a fondo sulla grandezza di “tutto il resto”, credo cambi secondo il grado di campanilismo del veneziano che la pronuncia e puo’ variare dal Veneto a tutta l’Europa…

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