lunedì 20 giugno 2011

Indovina chi viene a cena...

Questo bellissimo film di Stanley Kramer, con un cast d’attori niente male (Spencer Tracy, Katrin Hepnurn Sidney Poitiers), racconta le vicende di una famiglia americana progressista e d’ampie vedute che vede arrivare a casa propria la figlia con il suo nuovo fidanzato. Il problema e’ che il ragazzo e’ afro americano e la famiglia affronta per la prima volta le ampie vedute sempre insegnate alla figlia nell’america degli anni 60. Oggi sono a cena dalla famiglia del mio studente e mi sento un po’ come nel film solo che stavolta la scena e’ alla rovescia…

Ammetto di essere un po’ emozionato dato che Artadji mi ha detto che la sua famiglia vuole conoscere questo muzungu italiano. Ho chiesto se dovevo portare qualcosa, tipo un dolce e il mio studente mi ha lanciato un’occhiata perplessa. Gli ho spiegato che in Italia se ti invitano a cena di solito porti il dolce o qualcosa da bere. Artadji mi fa notare che qui alle Comore non si porta niente, altrimenti sembra quasi che quello che cucina la padrona di casa non ti piaccia. Capisco al volo e lo seguo per le vie interne delle citta’ buie e senza lampioni finche’ arrivo alla sua casa…

E’ una casa non finita di mattoni e lamiera con le tende al posto delle porte.  Su una veranda grigia di malta vedo delle assi di legno e Tadji mi spiega che sono di suo padre, che fa il falegname. Appena entriamo Artadji chiama tutta la sua famiglia a raccolta ed ecco arrivare i suoi genitori e suo nonno, zoppicante, ma con occhi vispi ed io porgo entrambe le mani chiedendo “quesi” e loro sorridono prendendole benedicendomi con la loro baraka. Nella casa ci sono solo alcune stanze finite ed una di queste e’ la sala da pranzo dove sua madre ha preparato una tavola imbandita di ogni bonta’, ma soprattutto Artadji deve avergli parlato delle mie preferenze perche’ al centro della tavola c’e’ un piatto con la pasta…

Non ci credo, questa signora che mi sorride continuamente ha preparato della pasta, per me. Sono commosso, e quando mi siedo ne prendo subito una forchettata. E’ scotta e senza sale, ma secondo voi potrei mai dirlo a questa donna che mi guarda con occhi a volte stanchi, ma sempre sorridente. La pasta per me e’ ottima e tutto il calore che ricevo in questa sera rende questa cena unica. Parliamo d’Africa, di tempo, e di quanto per me e’ stata importante. Dopo cena Artadji fa qualche foto e poi ci dirigiamo verso il dormitorio. E mentre osservo le stelle dalla mia terrazza che ho un pensiero. Mentre mangiavo, ho commesso due errori: ho mangiato della maionese e ho bevuto del succo d’arancia allungato con acqua non minerale. Speriamo bene…

domenica 19 giugno 2011

Gocce di pioggia su di me...

Domenica, giornata di riposo. Ieri sera e’ cominciata una piogia inizialmente leggera che ha preso col tempo sempre piu’ corpo fino a diventare un vero e proprio temporale. Chiamo Juma, il capitano, per avvisarlo che domani non si esce e dopo un bella doccia mi stendo a letto ascoltando il rumore della pioggia che scroscia quale migliore melodia per un bel sonno ristoratore…

Mi sveglio stamane poco prima dell’alba e sento che sta ancora piovendo. Vabbe’, penso tra me, tanto oggi non devo fare niente e quindi mi alzo con calma. Appena apro la porta mi investe una temperatura non proprio equatoriale e la pioggia fa un frastuono assordante mentre cade; la cosa che noto immediatamente e’ la quasi assenza di tuoni. Questa e’ pioggia che cade perfettamente dritta, senza vento ne tuoni a scuotere l’aria finche’…

Mentre mi sto lavando i denti sento un aumento del fragore e guardando da una delle finestre noto che comincia ad alzarsi il vento con gran foga. Arriva a folate sempre piu’ forti piegando le palme che ci sono nel giardino e fa aumentare la pioggia che adesso cade con tale veemenza che produce fumo sui tetti e sull’asfalto e producendo una sorta di foschia innaturale che non mi permette di vedere oltre il cortile.

La pioggia ed il vento continuano per tutta la mattina quando verso pranzo sembra esserci un momento di pausa, in cui scende l’acqua scende leggera dal cielo e senza il vento. Riesco cosi’ ad andare a mangiare senza grossi problemi e appena rientro nella mia stanza ricomincia il diluvio assieme al vento e per aggiungere gusto alla vita ecco il black out. Mi stavo quasi meravigliando della sua assenza. La situazione non cambiera’ per tutta la giornata.

Alla fine la pioggia e’ caduta per quasi 30 ore ininterrotte allagando qualunque cosa ci fosse al piano terra. Fortunatamente io sto al primo piano e alla fine sono rimasto a sonnecchiare e leggere a lume di candela per tutta la serata. Per fortuna che mi avevano detto che la stagione delle piogge era finita ad aprile…

sabato 18 giugno 2011

Moby Dick...

Il romanzo di Herman Melville narra, attraverso il racconto di Ismaele, la caccia da parte del capitano Acab contro Moby Dick, la Balena Bianca. Nel descrivere la balena l’autore ha commesso una piccola imprecisione dato che si ritiene che si tratti di un capodoglio, e molto speciale, dato che sembra che esemplari che soffrano di albinismo possano raggiungere dimensioni giganti, quasi quanto le balenottere; oltre i 25 metri, quando di solito non superano i 15 metri. Io non ho incontrato nessuna balena bianca, ma oggi ho nuotato con i capodogli…

Oggi finalmente sono uscito in barca dopo giorni di forte vento. Grazie a tutto questo movimento la colonna d’acqua si e’ completamente rimescolata lasciando in sospensione i nutrienti che arricchiscono l’ecosistema. Succede la stessa cosa quando prepariamo il the solubile. All’inizio tutta la polvere e’ sul fondo, ma poi agiti con decisione e tutto si mescola in soluzione. Dopo un’ora di uscita Juma ha gia’ preso 10 pesci ed io non ho ancora visto nemmeno una pinna in lontananza. E’ in quel momento che guardo svogliatamente l’oceano e vedo un inconfondibile sbuffo. Punto il binocolo e dopo un altro soffio grido “NDUJU” (Balena).

Sono pervaso da una scarica di adrenalina e incito Juma che parte a tutta birra. Ci avviciniamo e sono due capodogli. Questo significa che ho del tempo prima che si immergano nuovamente ed e’ mentre sto montando il teleobbiettivo che guardo le pinne. Certo, siamo a circa 3 miglia dalla costa con corrente e sotto di me centinaia di metri d’oscuro oceano. Non e’ proprio il massimo della sicurezza, ma non so se avro’ un’altra occasione e allora penso “al diavolo tutto”. Prendo l’attrezzatura e dico a Juma di affiancarli e quando siamo vicini ai giganti non ho nessuna esitazione e mi tuffo…

Tuffarsi in acqua di solito provoca un brivido che pervade ogni tua parte di pelle che entra a contatto con il mare, una scossa di vitalita’ a tutto il corpo. Da tanta adrenalina che ho in corpo non sento nemmeno il freddo e metto maschera e pinne in 3 secondi netti e appena Juma mi passa la macchina fotografica comincio ad inseguirli. Guardo solo per un attimo il blu profondo sotto di me e vi confesso che il primo pensiero che ho va agli squali ma tutto svanisce quando li vedo; sono due capodogli che nuotano ad una decina di metri da me. Scatto alcune foto, ma sono troppo lontani e mi trovo di fronte ad un dilemma, o li inseguo e li raggiungo o scatto foto e li perdo. Ci penso mezzo secondo, chiudo la macchina fotografica e mi lancio all’inseguimento…

Nuoto con forza e dopo poco li raggiungo e rimango estasiato. Sono a pochi metri da questo corpo striato e grigiastro. I miei occhi appare immenso: ci potrei stare dentro almeno 20 volte dato che e’ lungo piu’ di 10 metri (piu’ del doppio della barca) e pesera’ almeno 40 tonnellate: se solo pensasse di colpirmi con la sua coda grossa come il tronco di un albero mi ridurrebbe in polvere, passerei dall’estasi alla morte senza nemmeno accorgermene, ma so che non succedera’…

Non sono un suo nemico ai suoi occhi, anzi, a suoi occhi io probabilmente non vengo nemmeno considerato. Nuoto a fianco di uno di questi giganti per qualche minuto ed e’ un’esperienza che non dimentichero’ facilmente. Tutto questo enorme corpo muscoloso che si muove fluido, senza peso mentre io mi sento cosi’ sgraziato e piccolo. Nuoto fino all’altezza del suo muso ed e’ allora  che il dio in catene si accorge della presenza di un insignificante essere che nuota alla sua sinistra e posa il suo occhio grande come una palla da pallacanestro su di me ed e’ stato incredibile…

Quando voglio comunicare con un mio simile uso la parola, ma con gli animali tutto quello che possono fare i tuoi emisferi cerebrali e’ inutile ed e in quel momento che il sistema libico, la parte animale, prende il sopravvento perche’ adesso in acqua non c’e’ un biologo che scruta una specie come oggetto di ricerca; adesso nell’Oceano Indiano affiancati, che si osservano, ci sono due animali…

In quei ochi attimi non ho pensieri razionali, ma sento, percepisco vibrazioni ferine. Non ho paura, ho meglio un po’ si, ma il suo sguardo non e’ minaccioso; emana potenza e superiorita’. Con una sola occhiata mi trasmette tutta la sua forza come uno schianto; resto paralizzato, ma non per la paura, per la sua maestosita’. Se potessi tradurlo in una sola frase, sarebbe solamente “…attento a non farti male…”.

Ed e’ li' quando sono come paralizzato che il semidio che ho di fronte inarca la sua schiena, ed il suo sguardo e’ sempre su di me; tutta l’acqua attorno si scuote, come percorsa da energia mentre mostra a me microbo tutti i suoi muscoli quando solleva la sua coda e comincia la discesa nel buio profondo degli abissi dove io, misero mortale non oserei mai avventurarmi…

venerdì 17 giugno 2011

Il mondo alla rovescia...


La parte di mondo che io conosco, come italiano ed europeo, e’ posta nell’emisfero boreale, a nord rispetto all’equatore. In questa parte di mondo, il mediterraneo, mi riconosco, e riesco ad orientarmi senza grossi problemi, soprattutto quando mi sposto in barca. Infatti qui i venti li posso chiamare per nome sapendo da che parte spirano, ma soprattutto so che effetti possono causare sulle correnti marine e sul clima.

La nostra rosa dei venti ne contiene otto principali e questi sono quelli che conosco nel mio Mar Mediterraneo. Partendo da nord in senso antiorario troviamo la tramontana, vento freddo che spira dalle montagne. A nord est la bora (dal greco boreas), chiamata anche “grecale”. Ad est soffia levante mentre da sud est ecco giungere il caldo vento di scirocco (spesso in veneziano detto “sirocco marso”). Da sud spira ostro (o vento mezzogiorno) e da sud ovest il libeccio. Chiudiamo la rosa dei venti con ponente, il vento dell’ovest, ed il potente maestrale che spira da nord ovest.

Tutti questi venti e le correnti marine generate valgono solo nel piccolo catino del Mar Mediterraneo, che a confronto degli oceani e’ quasi una pozzanghera. Negli oceani Atlantico e Pacifico spirano costanti gli alisei, e qui, nell’oceano Indiano soffiano i Monsoni. All’inizio non riuscivo bene ad orientarmi, anche perche’ facendo brevi uscite sotto costa non era necessario avere sottomano le previsioni del tempo ( praticamente introvabili qui alle Comore), mentre negli ultimi giorni in cui ci sono stati spesso forti temporali ho cominciato a capire una cosa molto semplice. Qui siamo sotto all’equatore; e’ tutto rovesciato…

Me ne’ se sono accorto durante un’uscita in barca. Appena usciamo dalla baia sento arrivare un forte vento da sud. Ma non e’ caldo come scirocco e libeccio, al contrario: e’ freddo e secco e sferza il mare come se fosse una frusta, provocando vistose increspature. Immediatamente ritorniamo a riva, ed allora guardando il movimento delle nuvole ho l’illuminazione. Il vento che arriva da sud, non incontra la convergenza equatoriale, arriva dritto dall’antartide. Certo non e’ il blizzard, il temutissimo vento gelido che spira a oltre 50 chilometri all’ora portando con se temperature al di sotto dei 30 gradi sotto zero, ma alla sera, dopo tutta la giornata con questo vento ho indossato una felpa, ed io non sono un tipo freddoloso, anzi.

Mentre rientravo a casa dall’uscita stavo ripensando con un sorriso al mondo alla rovescia; quando ero bambino pensavo che quelli che stavano sotto all’equatore vivevano a testa in giu’ e poi ho pensato all’Africa. Sebbene tagliata dalla linea dell’equatore, e’ comunque un continente, un mondo, a modo suo, alla rovescia. Qui non c’e’ niente, ma il cuore di queste persone e’ qualcosa di immenso, che supera quanto noi possediamo materialmente…

giovedì 16 giugno 2011

Squero...

La gondola e’ uno dei simboli di Venezia. Questa particolare imbarcazione deve la sua originalita’, oltre alla veracita’ del gondoliere, al fatto che e’ spinta da un remo soltanto, merito della sua costruzione e della sua voga. La gondola, infatti, per la sua particolare forma tende leggermente verso destra, bordo su cui sta il gondoliere che rema in modo particolare per consentire alla barca di procedere diritta.

La voga si compone di due movimenti particolari. Il primo e’ la “premua” (premuta) in cui si spinge il remo avanti tenendo la pala perpendicolare alla superficie dell’acqua; la classica remata che ci porta avanti. Il secondo movimento, il vero segreto del gondoliere, e’ la “stagada” o “staia” (intraducibile); questa e’ la mossa piu’ difficile, senza la quale la gondola e’ condannata  a procedere solo in cerchio. Dopo aver premuto il remo si trova immerso e perpendicolare alla superficie dell’acqua. Con un rapido movimento s’inclina la pala fino ad essere quasi parallela al pelo dell’acqua e si effettua il movimento opposto alla “premua”. L’inclinazione della pala deve essere tale da contrastare la forza che farebbe virare verso sinistra la gondola, mantenendo quindi solo la spinta in avanti.

La massima efficacia del movimento combinato "premi e staissi" avviene tenendo il remo poco sotto al pelo dell’acqua e per allenarsi un ottimo metodo e’ vogare in acqua bassa, dove, se si abbassa troppo il remo, si corre il rischio di dragare il fondo. Da qui il verso di scherno “ara che i gransi te magna el remo” (guarda che i granchi ti mangiano il remo). Il cantiere dove sono costruite, altro luogo simbolo di Venezia, e’ lo “squero”. Qui alle Comore le tipiche imbarcazioni sono le piroghe chiamate “gallawa” in comoriano e oggi ho visitato il loro “squero”…

Vicino al molo dove prendo la barca sentivo spesso al rientro un ritmico picchettare, e oggi ho chiesto a Juma cosa fosse. Lui non e’ riuscito a spiegarmelo in francese cosi’ mi ha portato. Il rumore si fa sempre piu’ forte finche’ vedo un tipico “squero” comoriano. Le piroghe sono ricavate da un unico pezzo di tronco. Il maestro d’ascia si siede poi a fianco del tronco e lentamente comincia a togliere la corteccia, con piccoli e sapienti colpi ritmati, senza fretta, dosando ogni movimento. Dopo che la corteccia e’ stata tolta si procede a scavarne l’interno per ricavare la prima forma grezza che poi verra’ successivamente lavorata.

Mentre osservo l’artigiano noto che non possiede strumenti sofisticati, ne metri.  I suoi attrezzi sono: una piccola accetta, un martello, un grosso scalpello, e un piccone. Si sposta lentamente lungo il tronco seduto su un traballante sgabello di legno e procede con calma, senza fretta, quasi segua il ritmo delle onde che si infrangono sugli scogli. Vedere quest’uomo al lavoro mi dona una pace incredibile: ogni tanto, quando si ferma, solleva gli occhi verso l’oceano, accarezza il tronco e riprende dolcemente a picchettare…

mercoledì 15 giugno 2011

All'ombra del campanile...

L’Italia e’ il paese delle realtà particolari, figlie della sua storia che ci racconta divisioni in decine di città-stato, ducati, regni, repubbliche che hanno visto nel medioevo la sua massima espressione con l’epopea delle signorie. Medici, Colonna, Estensi, Meli Lupo, Sforza, Borgia, Farnese; decine di famiglie hanno creato piccoli regni indipendenti sotto la protezione dell’Impero, del regno di Francia, del Papato o del sultano Turco. Tutto cio' ha contribuito a creare divisioni non solo territoriali, ma anche sociali, sviluppando monete, leggi, , nonche' dialetti, invidie e rivalità.

Mentre le prime hanno seguito il corso della storia e sono state assorbite dallo stato centrale scomparendo del tutto, le seconde invece sono sopravvissute e anzi si sono fatte sempre piu’ vive ai giorni nostri; si potrebbe citare l’acredine tra Pisa e Firenze (recita il detto fiorentino “meglio un morto in casa che un pisano alla porta”),  o tra Udine e Trieste, ma ce ne sono decine e decine sparse per il nostro Bel Paese…

Qui alle Comore e credo anche in buona parte dell’Africa le divisioni sono piu’ nette e marcate essendo la comunita’ l’unico luogo in cui un individuo si riconosce. Questo crea legami fortissimi tra le persone, ma anche rancori insanabili. Qui alle Comore l’identita’ di ogni singola isola e’ molto forte con un proprio governatore inserito in una sorta di governo federale. Sembra tutto tranquillo e pacifico, ma tempo fa’ ho visto che e’ una quiete apparente perche’ in Africa, terra senza mezze misure, quando il sangue ribolle bisogna stare attenti.

Qualche settimana fa ho letto su un manifesto che ci sarebbe statta la sentenza nei confronti di un importante generale dell’esercito che sembra sia coinvolto nell’omicidio di un suo commilitone; ho chiesto lumi ad Artadji e i fatti sono i seguenti. Un colonnello dell’esercito, proveniente dall’isola di Anjuan e’ stato assassinato in casa sua da un commando di tre uomini, una vera e propria esecuzione premeditata dato che i tre hanno atteso l’arrivo del militare nascosti in casa prima di ucciderlo. Gli assassini sono stati catturati e condotti di fronte alla giustizia, ma rimane un fatto insoluto, sembra che le armi usate da questo commando provengano dall’armeria del Generale, originario dell’isola di Gran Comore (quella dove mi trovo). Artadji mi ha detto che la situazione non e’ affatto facile, ed e’ qui che la giustizia africana ha i suoi limiti.

La popolazione di Anjuan vuole che il generale venga consegnato agli abitanti dell’isola. Non si parla nemmeno di tribunale o giudizio; semplicemente voi datecelo e noi sapremo cosa fare. Dall’altra parte ci sono i sostenitori del Generale che hanno detto che se questo avverra’, loro uccideranno tutte le persone di Anjuan a Gran Comore. Alla parola uccidere dico ad Artadji che mi sembra un’esagerazione e lui molto serio mi risponde “questa e’ Africa Marco, non l’Europa”.  Infatti qui il potere del sangue, dei legami con la terra, il clan o la tribu’ e’ qualcosa di fortissimo; se tocchi qualcuno della mia gente, allora colpisci anche me ed io allora rispondero’ cominciando faide quasi eterne. Ho sentito in seguito rivalita’ anche tra paesi distanti poche centinaia di metri, con case incendiate solo perche’ qualcuno ha usato la spiaggia di un altro villaggio invece della propria. Ecco perche’ quando cominciano le lotte intertribali in questo continente spesso sfociano in violenti massacri, uno su tutti quello tra tutsi e hutu in Rwanda.

La giornata della sentenza Artdji mi chiese dove avrei mangiato la sera. Quando risposi “prendero’ un taxi per il quartiere Ambassador”, lui scosse la testa dicendo “Non e’ una buona idea prendi un panino da Nassib e poi rimani qui alla residenza; oggi dalle 18 chiudono tutte le strade perche’ arrivano molti sostenitori di entrambe le parti per la sentenza del processo e ci potrebbero essere dei disordini”. Ammetto che la cosa mi ha un po’ impressionato e ho pensato che fosse meglio seguire il consiglio. Effettivamente durante la notte ci furono delle sirene e al mattino sul giornale lessi di scontri tra le due fazioni con interventi della polizia ed arresti. Il giudice che doveva emettere la sentenza ha deciso di rinviare di un mese la sua decisione per ragioni di ordine pubblico. Non vorrei essere nei suoi panni…

Concludo con una nota sul campanilismo veneziano. I veneziani non si considerano veneti, ma veneziani come prima cosa, e soprattutto decantano ovunque la loro citta’ piu’ bella del mondo, unica al mondo bla bla bla. Sono anch’io veneziano ma credo che sia il caso di andare oltre la Repubblica Veneziana, morta con un doge friulano, il Manin (profetico fu il detto di un senatore della Serenissima; I gà fatto doge un furlan, ea repubblica xse’ morta), oltre 200 anni fa. Ma per darvi un’idea della presunta superiorita’ veneziana vi dico solo due cose. Per i veneziani tutto quello che e’ oltre il Ponte della Libertà, la terraferma, e’ per definizione “campagna” inteso in modo non proprio positivo.

Famosi sono modi di dire veneziani “el gà ea musana da tera”, “el ga ea musana da pan comune” per indicare qualcuno che possiede la faccia e le movenze del contadino ignorante; anche Milano stando in terraferma per un veneziano puo’ essere benissimo “campagna”. Ma il massimo lo raggiunge quest’affermazione: “se non ci fosse il Ponte della Libertà che collega Venezia a tutto il resto, tutto il resto sarebbe solo un’isola senza significato”. Non ho mai indagato a fondo sulla grandezza di “tutto il resto”, credo cambi secondo il grado di campanilismo del veneziano che la pronuncia e puo’ variare dal Veneto a tutta l’Europa…

martedì 14 giugno 2011

Il Barbiere di Siviglia...

Da qualche anno ho cominciato ad adottare un taglio di capelli radicale, quasi a zero, per diversi motivi e cerchero’ di non utilizzare le mirabolanti e stravaganti tesi di Sinesio come giustificazione. L’autore della Grecia classica, nel suo libro “Elogio delle calvizie”, ritiene che, essendo molti dei canuti, la calvizie fosse un segno di un qualche contatto con il divino. Se poi la persona possedeva una totale assenza di capelli era quanto di piu’ vicino agli dei ci poteva essere.

Tra i motivi di questo mio taglio c’e’ una leggera,e sottolineo leggera, calvizia (bisogna essere onesti), indubbi vantaggi monetari, non andando piu’ dal barbiere ma soprattutto perche’ anch’io voglio essere simile agli dei(nota per gli abitanti di Casa Martucci “SEI FORSE TU UN DIO?”).

La figura del barbiere nel passato era associata a quella del medico, o meglio a quella del “cerusico”. Questa particolare professione si trovava spesso nei campi di battaglia medievali e non solo. Potremmo definirlo una sorta di chirurgo ortopedico del tempo, addetto alle amputazioni, alla cura dei feriti in modo pratico e sbrigativo e ovviamente al taglio dei capelli.

Osservando gli uomini alle Comore ho notato che quasi tutti portano i capelli rasati come me. Io mi sono portato un rasoio elettrico dall’Italia, ma dubito che qui tutti ne possiedano uno. Inoltre non ho mai visto una sola insegna con scritto “Barbiere”, mentre i parrucchieri per signora abbondano. Devo dire che all’inizio non ci badavo molto, ma di recente, in ogni strada che percorrevo ho cercato se tra le insegne sgangherate ed arrugginite ci fosse quella del “cerusico” finche’ l’ho trovato ed era al mercato…

Posto tra una stuoia dove c’era esposta della frutta ed un banco di cineserie assortite noto un gruppo di uomini che a turno si abbassano e quando si rialzano sono rasati a zero. “Ecco il barbiere”, penso, “e avra’ un generatore per far funzionare il rasoio elettrico”, ma avvicinandomi scopro che non e’ niente di cosi’ complicato. Il nostro “Figaro” (il Barbiere di Siviglia) possiede un set di lamette da barba (quelle che si montano sul rasoio monolama) con cui taglia, o meglio, con cui rade a zero i clienti. La pulizia della lametta avviene rigorosamente sui pantaloni o sulla maglietta e l’attrezzo ovviamente non e’ monouso, e quando si sporca di sangue un passaggio sui pantaloni sporchi di fango ed olio per pulirlo e sotto un altro cliente.

In quel momento ho avuto un brivido mentre pensavo alla facilita’ con cui si trasmettono le malattie in questo continente e il mio pensiero va ad uno dei flagelli dei paesi in via di sviluppo, l’ A.I.D.S. (o SIDA se preferite). Mentre sto tornando a casa sto canticchiando una parte dell’opera di Rossini quando leggo l’insegna del “Dipartimento per la Prevenzione e La Lotta all’AIDS” e ho un momento di riso amaro. Figaro qua, Figaro la, Figaro giu...
 

lunedì 13 giugno 2011

Paura...

Tutti gli animali provano sensazioni negative e positive e non tutte quelle che consideriamo un male ci arrecano dei veri e propri danni, spesso sono fondamentali per la nostra sopravvivenza. Pensiamo ad esempio al dolore che ci indica con nitidezza, cosa sia nocivo lasciandoci un vivido ricordo per il futuro. Quando ero piccolo mi piaceva giocare con i fiammiferi per vedere il colore del fuoco. Mia nonna Gemma mi diceva che potevo scottarmi finche’ successe. Pianti, strilli e lezione imparata: non si gioca col fuoco…

La paura e’ un’altra sensazione considerata negativa, ma riveste una straordinaria importanza per la nostra sopravvivenza. Essa, quando giunge, fa scattare una serie di meccanismi di difesa; la produzione di adrenalina ci rende immediatamente vigili e pronti a scattare, il battito cardiaco accelera per pompare sangue ai muscoli in caso di una fuga immediata. Se non provassimo paura ci saremmo gia’ estinti; le cronache sono piene di eroi impavidi e senza paura che cercavano la gloria e spesso hanno trovato la morte. Oggi in barca ho avuto paura…

Ieri e’ stata una giornata con parecchio vento e non siamo usciti in barca. Ho parlato con Juma e lui mi ha detto che domani (oggi) al mattino le previsioni davano poco vento. Contento stamane mi alzo alle 4 come di consueto e mentre cammino verso il molo noto che il vento e’ calato sensibilmente e quando arrivo al molo il mare e’ appena increspato. Armiamo la barca e salpiamo; c’e’ qualche onda e siamo nelle condizioni limite per effettuare avvistamenti, ma un tentativo bisogna sempre farlo, ma appena usciamo comincia a tirare vento forte da sud e capisco che forse era meglio restare a terra…

La corrente d’aria che spira non e’ a folate, ma e’ costante come un ventilatore ed e’ fresca. All’inizio non ci facevo caso, ma qui siamo sotto l’equatore e l’aria fredda che nell’emisfero boreale arriva dal polo nord, qui nell’emisfero australe arriva dal polo sud. Le onde cominciano ad essere sempre piu’ grosse, non piu’ lunghe, ma ravvicinate. Quando ne prendiamo una di traverso la barca si alza in diagonale, ma soprattutto ricade in modo “scomposto” sull’onda successiva infrangendola e facendo entrare un po’ d’acqua. E’ allora che sento Juma che urla “Marco”; ma non e’ il suo solito grido che cerca la complice risata.

Mi volto e noto che il capitano non sta ridendo ed e’ allora che vedo bene il mare. Intendiamoci, non credo che superi forza 3 o 4 e lavorando in barca mi e’ capitato anche di peggio, ma con due differenze importanti. La prima e’ che ero in acque nostrane, dove posso dire che io e il mare ci conosciamo e l’altra e’ che ero su un veliero a due alberi di oltre 20 metri. Ora sono su una barca in legno e vetroresina di 5 metri senza nessuna dotazione di sicurezza e soprattutto sono in Oceano Indiano e lui non mi conosce ancora, non posso dire di essere suo amico; ed e’ nitido il ricordo del motoscafo affondato da alcune onde grosse quando ho lavorato alle Maldive. E’ qui che sale la paura…

La paura che ti prende in barca e’ diversa da quella che provi in terraferma. La terra e’ il nostro ambiente naturale dove in caso di pericolo possiamo correre scappare, in sostanza possiamo muoverci. In barca non ci sono molte alternate. Non puoi scappare d nessuna parte a meno che tu non voglia gettarti in acqua, che non e’ proprio il nostro elemento. Possiamo galleggiare, ma devi essere un esperto nuotatore per nuotare con mare grosso. Le altre volte che c’era mare mosso quello che mi impauriva era perdere l’attrezzatura, sapevo che sarei arrivato nuotando a riva. Questa volta devo confessare che del costosissimo equipaggiamento elettronico da migliaia di euro non me ne importava niente, mi bastava arrivare a terra.

Mi sono voltato verso Juma e abbiamo fatto assieme il gesto di andare verso terra. Il capitano ha manovrato mettendosi a favore di vento e di onda fino ad arrivare sottovento al punto opposto della baia, dove c’era mare calmo. Sentire l’oceano sotto di te che sembra ribollire e vedere onde piu’ alte del bordo della barca con il vento che soffia, ed il cielo grigio mi ha fatto paura e appena siamo al riparo sottovento tiro un sospiro di sollievo. Dopo aver portato la barca sulla battigia chiedo a Juma se domani si puo’ uscire e lui mi risponde scuotendo il capo. Non so perche’ ma lo sospettavo…

domenica 12 giugno 2011

Taxi Driver...

Girando per la citta’ spesso mi fermo sulle panchine a guardare le macchine che passano. Ammetto di sentirmi un po' Satchel, uno dei protagonisti di uno strepitoso fumetto, Get Fuzzy, il quale in una striscia dice di apprezzare il rumore dei camion che passano. Fatto sta che guardando le macchine passare, o salendo su qualcuna di queste vetture, ho avuto la possibilita’ di osservare da vicino la variegata categoria dei tassisti comoriani…

Per prima  cosa il taxi non ha un colore identificativo, il classico giallo o un altro insieme di colori che lo contraddistingue nel traffico; l’unico modo per poterlo riconoscere e’ una targa luminosa gialla con scritto “TAXI” posta sul tetto. Non c’e’ un numero per chiamarli, ne’ una piazzola di sosta particolare; quando passano basta chiamarli con un gesto della mano. Se il taxi emette un lampo con i fari abbaglianti o suona il clacson, significa che e’ pieno; se invece mette la freccia c’e’ posto, ma non si e’ ancora sicuri di salire. Infatti ci sono due possibilita’: se il taxi e’ vuoto allora non c’e’ problema; basta dire la destinazione e salire a bordo. Se invece ci sono gia’ altre persone dopo aver detto la destinazione il tassista pensa se il tuo posto e’ sul percorso che dovra’ fare per gli altri passeggeri. Ovviamente tutte le persone nella vettura discutono per aiutare il tassista se ci sono delle indecisioni e dopo qualche attimo ti danno il responso e se positivo alle volte tutto il taxi risponde in coro “EWA” (si in comoriano).

Passiamo al mezzo partendo dalla carrozzeria. I modelli possibili vanno dal nuovo luccicante al semidistrutto tenuto assieme da corde. Il parabrezza puo’ essere integro, crepato, o incrinato in uno o piu’ punti. Per i finestrini invece la faccenda e’ piu’ complessa essendo sia fissi che mobili. Possiamo definire “fissi” quelli che sono bloccati in una posizione che va dal tutto aperto al tutto chiuso (pensate che bello con la pioggia torrenziale o con il caldo torrido), per via della manovella rotta o per contatti elettrici mancanti. I finestrini mobili invece si possono alzare o abbassare con i sistemi classici che conosciamo, ma alle volte il vetro deve essere aiutato con le mani a salire o scendere. In alcune vetture il finestrino si alza o abbassa solo con la mano, il problema e’ che se devi tenere chiuso il vetro devi tenerlo in tensione altrimenti scende per gravita’. Una volta ho trovato un taxi che aveva i finestrini che si aprivano a turno; il guidatore cambiava ogni volta il contatto tra i cavi delle varie portiere con le mani. Uno spettacolo alzare o abbassare finestrini non tuoi…

Gli interni danno un tocco di grande colore alla vettura; questi taxi spesso sono addobbati come alberi di natale: vi giuro che alcuni sul bordo del parabrezza hanno le stelle di natale, mentre sopra il cruscotto hanno steso dei tappetini pelosi di quelli che usi per il bagno, ed il rivestimento dei sedili e’ rigorosamente in velluto, perche’ in Africa all’equatore non fa’ tanto caldo. I colori sono vivaci quindi ecco rosso fuoco, giallo canarino, verde menta, blu elettrico, viola o lilla. Possono essere abbinati, ma spesso sono distribuiti abbastanza casualmente; ecco quindi giallo-verde-viola oppure rosso-lilla-verde. Vero oggetto culto e’ il volante; sembra che i tassisti abbiano una vera predilezione per il volante grosso, ma il massimo credo sia quando e’ ricoperto anche da peluria. Una volta un tassista aveva un volante enorme ricoperto da una pelliccia zebrata, potete immagine come fosse il resto della macchina…

Ma chiudiamo con il pezzo forte, il cuore pulsante della categoria, ovvero il tassista, o parafrasando Alberto Sordi, il Tassinaro. Se in Italia spesso ci lamentiamo per come guidano i tassisti, qui in Africa spesso sono dei pazzi all’ultimo stadio. Sorpassano ovunque, anche in contromano, strombazzano di continuo, non curanti delle urla degli altri conducenti, quasi stessero giocando agli autoscontri. Una volta ne ho trovato uno , un vero donnaiolo, che ad ogni ragazza che passeggiava chiedeva se aveva bisogno di un passaggio, offrendolo gratis. Se il tassista invece e’ curioso, e riesci ad instaurare un buon dialogo ci puo’ scappare anche lo sconto. Da evitare, invece il tassista ubriaco. Sono molto rari essendo un paese musulmano, ma questo significa che non c’e’ etilometro. Il problema non e’ la guida dato che viaggia a circa 10 km/h ma il fatto che dimentica dove deve portarti. Una volta mi e’ capitato di girare per 20 minuti  vuoto, mentre il tassista era un fiume di parole in piena finche’ si e’ fermato ad un paio di chilometri dalla destinazione. Io ho fatto finta di niente e sono sceso per evitare di passare tutta la notte in taxi…

sabato 11 giugno 2011

Libia...

Da quando sono arrivato qui in Africa la carenza di notizie mi ha fatto perdere un po' il polso della situazione sulla politica internazionale e soprattutto italiana. Non che sia successo niente di nuovo, e' sempre la solita minestra ma mi piacerebbe poterlo leggere e commentare. Una tra le cose che ho perso di vista e' la situazione libica e recentemente ho cominciato a vedere piu' di un poster che inneggia al colonnello Gheddafi e devo dire che qualche volta ho percepito qualche sguardo non amichevole.

Se c'e' una cosa che si nota subito appena si arriva in Africa sono i bianchi, i muzungu. Non solo per la loro carnagione, ma anche per il loro comportamento. Spesso i muzungu vivono al quartiere francese, o in periferia, non voglino mescolarsi con la popolazione locale. Girano in macchine noleggiate solo per loro ed e' alquanto difficile vederli girare a piedi. Io mi maschero abbastanza bene (non per la carnagione ovviamente), ma per il compotamento, dato che giro per i mercati, lavoro con i pescatori, mi muovo a piedi e soprattutto abito in citta'.

Oggi mentre stavo tornando a casa dall’uscita in barca ho trovato lungo la strada un gruppo di persone con dei cartelli raffiguranti il leader libico. Appena mi hanno visto si sono avvicinati pensando che fossi francese (da queste parti non hanno preso bene le dichiarazioni del presidente francese contro la Libia ed il mondo musulmano in genere) e appena hanno cominciato ad inneggiare a Gheddafi prontamente li ho salutati con “Salam Aleikum”, che ha sortito molteplici effetti…
Il primo e’ l’obbligo di risposta. Se sei un musulmano e qualcuno ti saluta con “Salam Aleikum” sei obbligato a rispondere. Devi interrompere il discorso che stai facendo, la telefonata o qualunque altra cosa tu stia per esprimere a voce perche’ deve uscire solo il suono di risposta “Aleikum Salam”. Appena ho salutato tutti hanno smesso di inneggiare e mi hanno subito risposto.

Il secondo effetto e’ lo spaesamento, Si guardano per qualche attimo non sapendo che cosa fare e alla fine tornano indietro in silenzio. Chissa’ che avrei fatto se fossi anche io un semplice muzungu, invece di essere  un po’ comoriano…

venerdì 10 giugno 2011

Gandhi...

Oggi era la giornata del mio consueto passaggio in India. Oggi avevo piu’ tempo del solito a disposizione e quindi ci siamo messi a conversare su molte cose piacevoli. Siamo partiti dal passato dell’India e siamo arrivati a Gandhi e alla sua lotta per l’indipendenza. Ho scoperto che la famiglia del Mercante di Pietre proviene dalla stessa zona dove e’ nato il Mahatma (Grande Anima) al confine tra Pakistan e India.

Quando la nazione indiana divenne indipendente dall’impero britannico, le divisioni religiose portarono alla formazione di due nazioni indipendenti una per gli induisti ed una per i musulmani, l’India e il Pakistan dando vita ad una migrazione massiccia di profughi. Indu Pakistani e musulmani indiani che si trovavano dalla parte sbagliata furono invitati ad andarsene perdendo di fatto tutte le loro proprieta’; Gandhi, fu uno di questi Indu’ che perse tutto e cosi’ anche la famiglia del mercante di pietre. Suo nonno, quando emigro’ fu costretto ad abbandonare tutte le sue proprieta’ in Pakistan e ricominciare di nuovo.

Mentre mi parla di queste cose Sangi non ha mai un attimo di rabbia o di rimorsi per quello che e’ successo. Mi dice che sono cose che appartengono al passato e che suo nonno non ha mai parlato male di Gandhi, e considero’ allora il suo essere emigrante il male minore, di fronte alla costruzione di un paese libero da ogni oppressione, senza l’uso della forza. Appena usa la parola non violenza fa un profondo sospiro e poi aggiunge. “Solo Gandhi e’ riuscito a fare questo; ne prima ne dopo di lui nessun altro ci e’ mai piu’ riuscito”. Si sente che ne parla con orgoglio, ed io gli faccio notare che questo e’ potuto accadere solo in India per la sua calma e la sua potente spiritualita’

Cambia poi argomento e mi chiede della mia famiglia. Mentre gliene parlo mi chiede se ho mai avuto dei contrasti con i mia madre o mio padre e la risposta e’ alquanto ovvia. Certo che si, i genitori non si possono scegliere, ma vanno accettati nella loro imperfetta umanita’, nel bene e nel male. Credo che l’importante sia cercare di conoscerli a fondo per apprendere il meglio da loro nel minor tempo possibile; perche’ non possiamo sapere quando se ne andranno per sempre…

Quello che mi lascia perplesso e’ una sua affermazione quando commenta lo status dei miei genitori; appartenenti a quello che si potrebbe definire ceto medio. Mi guarda e mi dice “Lo immaginavo”. Ho risposto stupito “Come hai fatto ad immaginarlo?”. Lui mi sorride e so che sta per dirmi qualcosa che dovro’ conservare per il futuro e sono tutto orecchi…

“Si vede dal fatto che hai dei sogni”. Bella forza gli dico, tutti noi ne abbiamo. Ma lui con la sua calma indiana continua “Se la tua famiglia fosse ricca con buona probabilita’ non saresti qui in Africa, e probabilmente non avresti tutta questa passione. Credo che esista una differenza tra chi ha gia’ tutto e chi non ha niente. Chi ha tutto spesso non ha sogni, ma chi non ha niente costruira’ il suo sogno. E’ una piccola differenza in parole, ma fa una gran differenza nella vita”.

Rimango ammutolito mentre continua. “Mio padre mi ha sempre fatto lavorare duro dicendomi che dovevo pensare di non avere niente, cosi’ avrei costruito il mio sogno. Sto facendo lo stesso con i miei figli; loro devono pensare di non avere nulla e guadagnarsi quello che vogliono”. Fa una pausa sorridendo “In ogni caso prima o poi io non ci saro’ piu’ e tutto rimarra’ a loro”. Ogni parola  ulteriore sarebbe di troppo…

giovedì 9 giugno 2011

Sentensa...

Stanotte e’ piovuto parecchio e pensavo di non uscire in barca, ma quando mi sono svegliato alle 4:30 il brutto tempo sembrava essere passato. Arrivo alla piccola baia di Itsandra dove Juma mi fa notare delle nuvole che stanno arrivando dal vulcano, ma non c’e’ molto vento. Penso un attimo a che fare mentre mi bagno i piedi; l’acqua e’ tiepida e spira una leggera brezza dal mare. E’ stato come un lampo, e mi sono ricordato di tutto quello che mi ha insegnato mio nonno sul mare e sul vento; mi sono voltato verso Juma e ho detto solo “narende” (andiamo)

Salpiamo con vento leggero dritto in faccia; giusto un po’ di rodeo, ma poi ci mettiamo di traverso e ci muoviamo con un dolce rollio verso sud. Nel frattempo volgo lo sguardo verso la costa ed ecco che si scatena una pioggia torrenziale e sorrido mentre mi dico “perfetto”. L’incontro dell’aria fredda con la tiepida brezza del mare hanno fatto scaricare la pioggia nella zona di contatto tra caldo e freddo; la costa. Effettuiamo tranquillamente il transetto ma le nubi sono ancora li’ minacciose, finche’ arriva il cambio di vento che aspettavo.

Spira vento forte da nord adesso, quella che i veneziani chiamano “bava da tera”, o tramontana, che rinfresca, essendo l’isola piu’ fredda del mare. Questo provoca un arretramento della zona di contatto tra correnti calde e fredde, dalla costa verso l’entroterra spostando le nuvole e facendo apparire il sole. Guardo Juma e gli indico la costa per il rientro, non certo piacevole, dato che si beccheggia di brutto, ma e’ sempre meglio che essere bagnato fradicio. Oggi non ci sono avvistamenti, ne pesci, ma per me e’ una grande giornata…

Oggi devo ringraziare Roccia che Corre per quello che mi ha insegnato quando ero piccolo e andavamo a pescare “gransi pori” (granchi), “bevarasse” (cappe) in secca, o “go” (un tipo di pesce; non chiedetemi la specie, io studio cetacei) e intanto mi parlava di Venezia, delle maree, dei nomi dei venti, di come girano le correnti, di come arriva la pioggia e perche’ lo chiamano “Sentensa”.

Quando era giovane il nonno ha avuto il tifo e non riuscivano a curarlo. Prima di fare un ultimo estremo tentativo per salvarlo dalla morte il prete gli ha dato l’estrema unzione. A Venezia i vecchi che hanno gia’ avuto l’estrema unzione vengono chiamati “Sentensa” (sentenza). Aver ricevuto questo sacramento senza essere morti sembra che doni una mistica comprensione del futuro. Ecco perche’ quando parlano bisogna prestare orecchio; quello che predicono spesso si avvera…

mercoledì 8 giugno 2011

L'Oceano e il Silenzio...

Oggi sono uscito in barca solo con Juma. Il mio studente ha avuto una leggera indisposizione e dopo un po’ di indecisione decido di andare lo stesso da solo. L’unico problema e’ la comprensione dato che Juma parla poco francese, ed io non parlo Comoriano. Vabbe’, c’intenderemo a gesti, d'altronde dobbiamo solo passare una mattinata in barca mica sposarci…

Appena arrivo Juma rimane sorpreso di vedere solo me, ed io gli spiego in francese che Artadji non c’e’ ma che usciamo lo stesso, solo io e lui. Per lui non c’e’ problema, e cominciamo a preparare la barca. Bisogna trascinarla su dei tubi di plastica facendola scorrere, per evitare che si strisci il fondo o peggio, che si buchi. Mentre io sistemo gli strumenti a bordo Juma monta il motore.. L’assenza di Artadji, l’unico interlocutore del Capitano, dona alla scena un silenzio rotto solo dalle onde che arrivano sulla battigia.

Partiamo e indico con le mani la direzione da prendere; d'altronde non e’ difficile, basta segnalare. Appena usciamo dalla baia mi indica il suo amo e la sua lenza, e io gli dico “euwa” sorridendo e lui ride di gusto mentre comincia a pescare. quest’oggi in barca non si parla, si sente solo il suono sordo del motore che rallenta e si ferma ogniqualvolta Juma prende un pesce.

L’oceano oggi e’ calmissimo, con pochissime onde e vento. Le condizioni perfette per l’avvistamento, ma ovviamente gli animali si vedono con gran fatica. Solo un piccolo gruppo di delfini che probabilmente sta cacciando, dato che ignorano completamente la barca, e anzi, sembrano quasi infastiditi dalla nostra presenza, ed effettivamente come dargli torto. Voi sareste contenti di mangiare con qualcuno che cerca di farvi continuamente delle foto o gira intorno facendo del trambusto?

A meta uscita si alza il vento ed e’ meglio rientrare. Arriviamo ad un punto di calma nella baia e qui Juma raccoglie la lenza ed e' allora che decido di rompere il ghiaccio; la indico chiedendogli come si dice in comoriano e lui sorridente "nus". Barca e' "mel", il remo e' "kas". Comincio una lezione di comoriano, con semplici ed essenziali parole per il mio lavoro, finche' dopo l'ennesima parola e seguente risata per la mia pessima pronuncia Juma si scusa perche' non sa il francese, dicendo che non e' andato a scuola, ma ha semre lavorato.

Resto senza parole. Artadji mi ha detto che lui si vergogna un po' a stare solo con me in barca, perche' non sa il francese e quindi ha paura che io pensi che sia uno stupido; ho detto ad Artadji che non deve minimamente pensare una cosa simile, che anzi, il fatto che io abbia studiato o meno lo devo anche alla fortuna di essere nato in Europa e non in Africa. E soprattutto che avere la laurea non ti  rende ne migliore ne peggiore di nessun altro...

Gli dico che non c'e' nessun problema per me e qualche goccia di pioggia ci fa capire che e' meglio tornare a riva. Arriviamo in prossimita' della spiaggia e  quando Juma spegne il motore la barca segue la spinta delle onde e per qualche secondo siamo cullati  piano piano finche’ la barca si adagia dolcemente sulla battigia. Silenziosamente tolgo l’equipaggiamento, mentre il capitano prende i tubi per trascinare la barca fino al suo posto. Quando finiamo Juma mi da la mano e ci guardiamo per qualche secondo intensamente mentre mi chiede “Anche domani?” in francese e io prima di lasciare la sua mano sorridendo gli rispondo in comoriano “ewua” (si) e ognuno torna a casa propria…

martedì 7 giugno 2011

Mancanze...

Oramai sono quasi due mesi che sono in Africa e comincio a sentire il desiderio di alcune cose. Non parlero' di quelle piu' forti e per certi versi scontate (la mia meta' del cielo, i miei cari, i miei amici) mancanze affettive che non possono essere colmate, quelle che senti dal primo giorno e che mai ti abbandonano. Sto parlando di tutta una serie di piccole cose che qui, causa problemi logistici vari non posso avere….

La doccia; appena arrivo a casa mi faccio una vera doccia, con l’acqua che scende dall’alto e soprattutto non piu’ fredda, ma anche tiepida se voglio!

Il maiale; appena torno ho proprio voglia di un panino con la soppressa con aglio, oppure con porchetta e senape, per non parlare di costicine, salsicce, lo speck, fiocco di prosciutto, culatello… Insomma, tutto quello che di culinario vi viene in mente con questo animale per me va bene!

La pasta; si lo so, sono un italiano medio anche io, ma ho voglia di un vero piatto di pasta, con il sugo di pomodoro, all’olio, matriciana, carbonara, alla bolognese, alla “busara” (piatto veneziano con sugo e gamberi), “Bigoli in salsa” (piatto povero veneziano: pasta condita con sugo di acciughe e cipolla). Qui una volta ho provato a prendere un piatto di carbonara al tonno. Mi hanno portato una scodella con una brodaglia in cui galleggiava della pasta, da incubo notturno…

Risotto; risotto di gamberi, di fegatini, di asparagi, radicchio, insomma tutto ma basta riso bianco usato come condimento!

Il quotidiano; ebbene si, mi manca la carta stampata, leggere il giornale alla mattina; sfogliare i titoli di tutte le pagine, sentirne il rumore mentre scorrono e cominciare ovviamente dalla pagina sportiva, per poi ricominciare dall’inizio. Mi manca l’editoriale della domenica di Eugenio Scalfari, il “fondo” di Ferruccio de Bortoli, il punto di Ezio Mauro, in breve mi mancano le notizie!

Il caffe’ con il latte alla mattina. Sono stufo di fare colazione con quello solubile, o peggio con caffe’ che viene spacciato per espresso, o con succo di frutta e tortine. Ho voglia della mia moka piccola che fa un caffe’ meraviglioso con del vero latte non in polvere e soprattutto appena torno mi prendo un cappuccino!

La raccolta differenziata; il numero di rifiuti che vengono prodotti qui in Africa e’ impressionante e comincio a stufarmi di camminare in mezzo all’immondizia. Ho voglia di fare la raccolta differenziata e di gettare i rifiuti nel cassonetto e di camminare per strada senza inciampare in lattine o contenitori di plastica.

Italiano; sono sincero, mi manca sentire il suono della mia lingua natale e soprattutto del mio caro dialetto veneziano.

GDR: ho proprio voglia di fare una bella partita a qualunque gioco di ruolo che vi venga in mente. Ho voglia di sentire narrare storie, di calarmi nei panni d’avventurieri squattrinati con mezzo soldo bucato in tasca ma pieni di sogni impossibili, di sentire il suono dei dadi sul tavolo, matite che si temperano, gomme che cancellano, e miniature che si muovono su un tavolo che rappresenta la porta della nostra fantasia…

La scrittura e’ catarsi dicono e adesso che ho scritto questo di getto mi sento un po’ meglio. Certo, queste cose non sono arrivate, ma manca poco al ritorno per averle…


lunedì 6 giugno 2011

Microcosmo...

La pietra filosofale, artefatto cercato dagli alchimisti, si dice fosse in grado di trasformare tutto quello con cui veniva a contatto in oro, come il tocco di Re Mida. Ma uno dei grandi misteri che l’alchimia ha tramandato ai posteri, meno famoso, ma sempre affascinante e’ l‘“Homunculus”.  Partendo dal concetto filosofico che l’uomo era il Microcosmo, specchio del Macrocosmo universale, gli alchimisti hanno cercato di creare o di scoprire questo essere perfetto, che avesse dentro di se l’essenza dell’universo.

Paracelo (soprannome preferibile al suo lunghissimo nome: Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim) e’ stato un celebre medico ed alchimista che per primo cerco’ l’Homunculus, l’essere perfetto. Oggi l’alchimia ha lasciato spazio alla chimica e non si cerca piu’ ne la pietra filosofale ne l’homunculus, mentre il concetto di microcosmo e’ cambiato. Questo pomeriggio ho osservato il microcosmo in camera mia…

L’uomo vede gli oggetti, il tempo e il mondo dal suo punto di vista. Quello che per noi e’ una settimana e’ una vita intera per un insetto e quella che per noi e’ una casa, per gli insetti e’ un intero cosmo. Rimpicciolendosi, le distanze, i tempi cominciano ad ingrandirsi e in spazi molto piccoli mi sono accorto di un brulicare di piccolissime forme di vista che abitano la mia stanza.

Non che non succeda anche in Italia, sia chiaro; basta andare in qualunque prato per vedere le stesse cose, solo che in Europa non c’e’ mai il tempo, mentre qui in questi momenti di “tempo fermo” uno puo’ rilassarsi e vedere le nuvole che corrono in cielo o osservare il microcosmo casalingo.

Stavo controllando dei dati al pc mangiando alcuni biscotti quando ho notato che le briciole hanno attirato delle formiche. Incuriosito le ho seguite e sono arrivato alla terrazza e sono rimasto picevolmente sorpreso nel vederle scendere verso il prato arrampicandosi lungo la parete di oltre 5 metri, in perfetto ordine, senza mai deviare o perdere il ritmo.

Mentre rientravo ho sistemato il caricabatterie del mio cellulare ed e’ stato allora che ho notato un piccolo millepiedi che si arrampicava lungo la gamba del tavolo, lento, ma inesorabile non facendo minimamente caso al “gigante” che lo stava osservando. E’ stato allora che ho comincino a vedere tutti i ragni, scarafaggi, mosche, zanzare che popolano la mia stanza, tutti in perfetto equilibrio con il loro spazio, finche’ come un lampo ecco una delle zanzare viene mangiata da uno dei rettili che popolano le mie pareti.

Vedere questa catena alimentare mi fa tornare alla mente un frase del film Star Wars: La Minaccia Fantasma, in cui il Maestro Jedi Qui-Gon Jinn dice al suo allievo Obi-Wan Kenobi “… ricorda, c’e’ sempre un pesce piu’ grosso…”. E’ un po’ come dire in veneziano “…’desso riva queo del formaggio…” (adesso arriva il negoziante che vende il formaggio), o come direbbe il Comandante “…queo del formaggio tien verto anca de domenega…” (il negoziante che vende formaggio tiene aperto anche di domenica). Qui devo ancora vedere un caseificio; chissa’ come si chiama qui “quello del formaggio”…

domenica 5 giugno 2011

Topi nei muri...

In questi giorni nelle camere vicine alle mie sento sempre un gran trambusto dopo cena, ma dopo circa un’oretta tutto tace nuovamente. Se fossimo in un albergo, il primo pensiero sarebbe quello di qualcuno che si sta divertendo, ma siamo in Africa, in paese musulmano, ma soprattutto siamo in una residenza semideserta, con solo dei professori e il sottoscritto. Non mi pongo molte domande, anche perche’ alzandomi alla mattina sulle 4 per andare in barca, dopo le 21 di solito svengo a letto e il cervello non e’ proprio attivissimo.

Alla mattina quando mi alzo prima dell’alba apro tutte le serrande per far entrare la frescura della sera ma tengo le luci spente, e fare colazione in penombra mi rilassa molto dopo che mi sono svegliato con un secchio di acqua fredda in testa. Ieri mattina mentre guardavo le ultime stelle che stavano sparendo mi sembrava di vedere qualcosa che si muoveva sul cornicione, una piccola ombra che velocemente scompare dentro la grondaia. Li per li’ ho pensato ad un topo, ma non ci ho dato molta importanza.

Al pomeriggio durante una riunione scopro che uno dei professori si e’ trovato i topi in camera che lo hanno morso ben due volte. Adesso capisco cos’era il trambusto. Era la lotta tra il professore e l’ospite inatteso, e quest’ultimo sembra abbia vinto il primo round. Ieri sera prima di dormire ho deciso di fare un’ispezione della camera per vedere se ci sono buchi sospetti e ne ho trovati due. Uno sono riuscito a chiuderlo con degli stracci, mentre il secondo e’ troppo in alto e non ci posso fare niente; spero solo che il topo non gradisca carne italiana…

Quando arriva la sera di solito l’udito si acuisce leggermente, dato che non ci sono piu’ i rumori esterni che fanno da sottofondo, e riusciamo a cogliere suoni che di giorni sono praticamente impercettibili. Mentre ero disteso a letto, ho cominciato a tendere l’orecchio e qui credo che la suggestione abbia fatto la sua parte. Fortuna vuole che il Lariam non mi causa allucinazioni, altrimenti rischiavo di entrare in un trip di allucinazioni tipo “Piramide di Paura” (bellissimo film che vi consiglio).

Mi sentivo un po’ come il protagonista del racconto di H.P. Lovecraft “Topi nei muri” in cui il personaggio lentamente impazzisce per via di una serie di rumori inspiegabili che sente tutte le notti in casa sua e che alla fine scopre essere provocati dai topi nei muri. Ecco io ero nel letto che ascoltavo tutta una serie di piccoli picchiettii, scricchiolii e cercavo di vedere dei movimenti nell’oscurità’, ovviamente senza risultato, finche’ la stanchezza ha avuto la meglio e mi sono addormentato fino alla sveglia.

Dopo l’uscita in barca torno a casa e chiedo al custode se ha sentito che ci sono i topi e se si chiama la disinfestazione. Alla parola “disinfestazione” sul suo volto si e’ stampato un enorme punto interrogativo; gli ho spiegato che sono delle ditte che si occupano di eliminare i topi e allora lui mi ha detto che qui non serve, dato che loro hanno gia’ i disinfestatori naturali: i gatti. Mi ha chiesto se anche in Italia li usiamo. Non ho avuto il coraggio di dirgli che oramai la maggior parte dei gatti  metropolitani nostrani se vede un topo rischia di scappare per la paura…
Ecco il disinfestatore...

sabato 4 giugno 2011

Pesci per la mia Mama...


Oggi prima di uscire sento Artadji e Capitan Ciotti che discutono e comincio  temere ce sia ancora per il prezzo. Si avvicina il mio studente e mi dice “ Juma ti vuole chiedere se e’ possibile portare la lenza per pescare, ma se non vuoi non c’e’ nessun problema”; sorrido e gli dico che spero che prenda almeno tanti pesci.

Partiamo tutti contenti e nemmeno dopo 30 minuti di navigazione Juma prende il primo, utilizza la tecnica della pesca a strascico e quando prende il pesce per ucciderlo gli sbatte la testa con violenza sul bordo della barca, non molto elegante considerando che Capitan Washewo (Il capitano di Bangua) per ucciderli gli dava un morso e quella era veramente una scena pulp…

Dopo aver sistemato l’amo rigetta la lenza in acqua e nemmeno 5 minuti ed ecco un altro pesce. Juma urla di gioia e questo e’ veramente grosso, tanto che quasi non riesce a tenerlo fermo, ma dopo tre colpi in testa eccolo giacere inerte sulla barca. La mattinata prosegue con alcuni avvistamenti e altrettanti pesci, finche’ al secondo pesce di grosse dimensioni Juma mi guarda ed esclama “Questa e’ la tua Baraka”. Ecco, anche lui se n'e' accorto. Alla fine saranno ben dieci pesci e Juma non vuole nemmeno venderli, dato che sono un dono della mia baraka e me ne regala uno che so gia’ a chi dare…

Io non so come siano i rapporti tra madri e figli qui alle Comore, se si puo’ abbracciare la propria mamma, ma una cosa ho imparato. Per rispetto io saluto sempre la mia Mama porgendogli le mani giunte e dicendo “Quesi?” per avere la benedizione della sua baraka. Lei all’inizio le prendeva con la sua mano destra e mi diceva “Mbona” con un gesto di cortesia quasi distratto, ma con il tempo ha preso la mie mani con sempre maggior calore chiedendomi, senza lasciarle, “Gaomnunu?” (Stai bene oggi?) ed io all’inizio rispondevo con la medesima distanza “euwa” (si), ma adesso tutte le mattine che torno dalla barca cerco la mia mama per avere il suo sorriso e per dirgli un caldissimo “euwa”

Appena arriviamo a casa incontro la mia Mama che chiede ad Artadji (credo che non parli molto francese) “Oggi il mio bambino e’ stato bene in barca?”. Io vi giuro che ho un momento di commozione mentre mi avvicino porgendogli le mani sorridendo e non posso che dire “Euwa Mama” (si mamma). Lei mi sorride e dopo la sua benedizione gli porgo il pesce e gli dico che e’ un regalo per lei. Lei lo guarda e dopo che mi ha detto “mharaba mengi” (grazie) allunga la sua mano e mi accarezza la guancia. Vi giuro che ho sentito una dolcezza incredibile in questo gesto cosi’ diverso e forse tanto raro in questo posto, in cui i due cieli, maschile e femminile, si tengono sempre a cortese distanza, ma non oggi…

venerdì 3 giugno 2011

Clandestino...

Oggi devo rinnovare il visto e pertanto vado all’anticamera della terra promessa, ovvero l’ufficio immigrazione. Compilo il modulo e dopo aver pagato mi dicono che devono tenermi il passaporto per un giorno, chiedo una fotocopia e mi dicono che la macchina e’ rotta. Comincio ad alterarmi e quando chiedo “In questo modo sono senza documenti”, cosa faccio se mi controllano?” la risposta del funzionario e’ semplice “Dica pure che il passaporto lo abbiamo qui”. Esco rassegnato e comincia per me un giorno intero da clandestino. Non che ci siano problemi o simili, ma notavo come in un paese straniero se non hai uno straccio di documento che attesta chi sei, non puoi prendere dei soldi  che magari ti ha spedito un tuo parente, non puoi prenotare una stanza per dormire e se ti ferma la polizia di sicuro non ti lasciano andare subito.

Ho pensato a tutte quelle persone che sfidano mare, venti, deserto per fuggire da fame, guerra,disperazione per arrivare in Italia ed essere considerati “clandestini” e mi coglie una profonda tristezza, perche’ quello che fa la differenza tra loro e me e’ che io ho un’identita’ data da un pezzo di carta, mentre loro in pratica non esistono sebbene siano esseri umani come me…

Ho passato la giornata di ieri cercando di evitare ogni possibile controllo  da parte delle forze dell’ordine perche’ non ho con me lo straccio di un documento che attesta chi sono e non vorrei trovarmi in qualche situazione spiacevole. Non che finisca in prigione, ma non vorrei creare problemi magari al mio capo che potrebbe rispedirmi direttamente in Italia tramite un calcio nel sedere senza fare scalo a Tana o a Parigi.

Stamattina dopo un’uscita in barca senza nessun buon risultato, andiamo all’ufficio immigrazione perche’ devo prendere il passaporto, ma mi dicono che c’e’ stato un inconveniente; pare che abbiano finito le marche da bollo e che quindi le stanno andando a comprare. Mi dice che comunque non mi devo preoccupare e poi mi fa una domanda pericolosa “Il passaporto le serve oggi?”

Ho capito una cosa degli uffici africani. Se chiedi un documento, e non ne hai necessità immediata quel documento non sara’ mai pronto in tempo ma ti verra’ consegnato in ritardo di qualche giorno.  Perche’ per gli africani vale la massima “se non ti serve oggi puoi passare a prenderlo anche domani”; non esiste la questione di principio, e quindi devo giocare d’astuzia e con buona prontezza replico “Ne ho necessita’ assoluta, dato che devo cambiare un assegno e rimarrei senza soldi”.

E’ ovviamente una bugia, ma non potevo impuntarmi per una questione di principio in Africa, semplicemente mi avrebbero preso per uno dei tanti muzungu. Sono abbastanza convincente dato che il funzionario mi dice di  ritornare alle 11 che il passaporto con il visto sara’ pronto. Ringrazio e ce ne andiamo ma ho come il sospetto che il mio passaporto non sara’ pronto…

Quando arrivvo c’e’ gran trambusto, pare che ci sia appena stata una manifestazione e all’ufficio e non trovo nessuno e comincia a venirmi il sospetto che i funzionari siano in agitazione sindacale, sarebbe il massimo. Vedo poi arrivare l’addetto il quale mi dice che purtroppo i bolli non sono ancora arrivati ma mi rassicura dicendo che arriveranno. Io mi siedo tranquillo dentro il suo ufficio e gli dico  “Non c’e’ problema, me ne andro’ da qui solo con il passaporto, anche se dovessi stare qui tutto il giorno”.

Mando un sms a Tsaramaso dicendogli che sono ancora in clandestinita’ e la sua risposta e’ da manuale “benvenuto in Africa, quando sembra tutto facile, non lo e’!”. Guardo al cielo e penso alla mia baraka che stara’ ridendo della grossa. Fatto sta che devo essere stato veramente convincente perche’ il funzionario poco dopo comincia a chiamare qualcuno con tono abbastanza nervoso finche’ ecco arrivare il mio passaporto con una marca da bollo di valore maggiore; il messaggio tra le righe secondo me e’: “tieni il passaporto, basta che ti levi dalle balle”.

Pensavo che per oggi fosse finita quando ecco la ciliegina sulla torta. Io e Tsaramaso stiamo andando in taxi quando lei mi fa notare del fumo biancastro che esce dal cofano della macchina. Io all’inizio non ci faccio molto caso,  poi la macchina comincia ad avere dei sobbalzi sospetti ed il fumo aumenta. Il tassista impreca e sbatte le mani sul volante e ci dice di scendere. Il fumo bianco oramai avvolge tutto il mercato. Tsaramaso mi guarda e mi dice di stare tranquillo, che lei martedì se ne andra’ portandosi via le ire dell’Inquilino dei piani alti nei suoi confronti…

giovedì 2 giugno 2011

Terra Promessa...

La mia attuale sistemazione e’ al centro Karthala dove ci sono delle stanze a disposizione dei ricercatori. E’ una struttura africana quindi manca di tutti i confort che gia’ intuite; e’ stata ristrutturata da poco e in origine fu il primo albergo costruito alle Comore nel primo dopoguerra. Al suo fianco si trova un edificio molto importante per tutti i comoriani, un posto che da la possibilita’ di avere un lasciapassare per la terra promessa. A fianco del Karthala Centre c’e’ l’Ambasciata Francese…

Gli italiani, sono un popolo di emigranti e per noi ogni paese e diventato una possibile terra promessa, ma niente credo sia paragonabile all’America. Per tutti i paesi dell’Africa che durante il periodo coloniale sono divenuti francofoni la Francia, e’ la meta ambita. Come il prete Gianni cercava nelle crociate Shangri-La, il paradiso terrestre, cosi’ ogni giorno molte persone in tutte le ex colonie francesi cercano disperatamente di andare verso la loro terra promessa, la Francia.

Il supermercato dove mi rifornisco di acqua e di altri generi di prima necessita’, e’ vicino all’ambasciata e di solito quando passo vedo sempre la stessa situazione. Una fila interminabile di persone che attende sotto il sole, la pioggia, il vento di poter consegnare dei documenti e sperare di avere il visto. Si perche’ non e’ cosi’ semplice; ho parlato qualcuno di loro che mi ha raccontato storie di poverta’ e di voglia di riscatto.

Per ottenere il visto bisogna cominciare a raccogliere tutta una serie di documenti all’ufficio immigrazione,(l’anticamera della terra promessa) e questa prima fase richiede quasi un anno di tempo e la spesa di molto denaro. Quando finalmente si e pronti con tutti i documenti in regola bisogna presentare la domanda di visto. Si perche’ per presentare la domanda bisogna fare la fila interminabile di cui sopra e pagare qualche migliaio di euro. Poi si attende pazientemente finche’ l’ambasciata non fornisce la sua risposta e i soldi spesi non sono rimborsati se per caso l’esito e’ negativo…

Adesso capisco da dove arriva questo forte sentimento antifrancese, ci sono persone che hanno pagato 3000 euro (lo stipendio medio e’ di 200 euro al mese, per chi lavora sempre, cosa che in Africa e’ un lusso, quindi immaginate che sacrifici) per sentirsi rispondere “No”. Eppure, nonostante tutto questo, ogni giorni decine di persone cercano di ottenere il lasciapassare verso la loro terra promessa. Colgo in tutto questo il motivo trainante dei “Dubliners” (Gente di Dublino di James Joyce), meravigliosa raccolta di racconti. Nel libro i personaggi descritti cercano il riscatto da una vita mediocre, provano ad andarsene dall’Irlanda, ma non ci riescono; il sentimento che li ancora all’isola e’ piu’ forte dell’odio. I comoriani, nonostante detestino la Francia, ci vogliono andare a tutti i costi…

mercoledì 1 giugno 2011

L'Isola che non c'e'...

Oggi l’uscita in barca sara’ bella lunga, dato che Capitan Ciotti questa volta ci porta a vedere il Karthala del mare. Non e’ un vulcano sommerso, ma e’ una sorta di isola mai emersa coperta di corallo e sara’ molto al largo, almeno un’ora e mezza di navigazione e ci potrebbe essere l’opportunita’ di poter vedere qualcosa di grosso, dato che nel tratto di mare la profondità sara’ di oltre 1000 metri. La sveglia e sempre alla solita ora, prima del Muezzin e passiamo a prendere Tsaramaso; questa potrebbe essere la rottura della nostra routine, la scheggia impazzita che potrebbe portare succulente novita’ alle nostre osservazioni.

Alle 6 in punto partiamo. La prima parte del viaggio costeggiamo l’isola e appena siamo di fronte al grande vulcano Karthala ecco che Juma, il capitano, sterza verso il mare aperto senza preavviso, ma soprattutto senza nessuna mappa o GPS, semplicemente conosce il mare come se fosse casa sua e sa qual’e’ la direzione da prendere e basta. Normalmente ci si accorge quando entri in mare aperto dalla grandezza delle onde. Piu’  sono corte e ravvicinante piu’ il fondale e’ poco profondo. Ma quando le creste sembrano colline e si muovono lente allora non ci sono dubbi: onda lunga e oceano profondo centinaia di metri…

Cavalcare l’onda lunga e’ una sensazione strana e per me meravigliosa. Tutto avviene in modo inaspettato, stai navigando tranquillamente quando ecco che la barca improvvisamente scende, quasi affonda tra due colline di acqua per poi risalire sulla cima di una di queste. Proseguiamo con questo ritmo finche’, dopo un buon avvistamento, ecco che giungiamo all’isola che non c’e’…

Questo sperone di roccia e’ una cuspide la cui punta e’ circa 5 metri di profondita’ e la sua distanza dalla costa e’ la sua salvezza. Se fosse troppo vicino alla costa si potrebbero vedere dei pezzi di motore o peggio, mentre in questo modo abbiamo la possibilita’ di poter vedere una barriera quasi incontaminata, un vero e proprio giardino sommerso.



Dopo qualche foto di divertimento eccoci pronti al ritorno ma prima il capitano vedendoci con maschera e pinne che facciamo apnea ci mostra come si fa. Si tuffa in acqua, ci raggiunge in un attimo, respira, si immerge, tocca il fondo e risale, il tutto in meno di 20 secondi, praticamente e’ sceso senza compensare. Vi giuro che resto senza parole; non e’ un uomo e’ un pesce quando nuota. Quando torniamo alla barca arriva prima di me, ed io ho le pinne da apnea, ogni commento e’ superfluo…

Mentre stiamo tornando Tsaramaso mi fa notare che oggi si e’ attirata le ire dell’Inquilino dei piani alti, dato che ha fatto il bagno con un costume a due pezzi e che potrebbe essere punita per la sua impudicizia, vedremo nei prossimi giorni…