lunedì 25 aprile 2011

One night (and Day) in Africa...

Oggi si comincia, si parte per il sud per fare ricerca sul campo, percio' mi equipaggio al meglio per stare in un villaggio 3-4 giorni dove non ho ben chiaro che cosa potro' mangiare, ma almeno bere si' dato che ho con me delle ottime pastiglie depuratrici di acqua. Prendiamo nuovamente l’autobus e via che si parte verso Ouroveni. Piccola nota; oggi ho imparato un altro trucco sull’autobus: il guidatore quando vede delle persone che si avvicinano accende il motore come se stesse per partire, le persone salgono in fretta e lui cosi’ riempie prima il bus. Arriviamo al villaggio e subito si presenta un problema; appena arriviamo al posto per montare la tenda scopriamo che non ci sono i picchetti e la struttura per la tenda, abbiamo solo i teli. Ma qui ecco che arriva in soccorso la mia Baraka. Prima di partire siamo passati al bazar e mi e’ venuto in mente di comprare delle funi perche’ non si sa mai, meglio essere preparati, ho pensato. Ecco che quando prendo le funi e espongo ad Artadji il mio piano per tenere sollevati i teli lui esclama ridendo “Muzungu Baraka!”.

Sistemiamo il nostro hotel a 5 stelle e cominciamo a prepararci per uscire in barca, quando un improvviso temporale ci fa desistere e rimandiamo il tutto a domani mattina. Ne profittiamo per un giro al villaggio e qui Artadji mi istruisce su alcune norme di buon comportamento. La prima riguarda l‘ospitalita: “Se qualcuno ti offre qualcosa da mangiare e estremamente scortese dire no, bisogna assaggiare almeno un pezzo e poi dire basta”. Altra cosa riguarda la Baraka: “Se qualcuno viene verso di te con le mani giunte dicendo “Quesi?”, non ti spaventare non vuole dei soldi ma una tua benedizione”. Qui sorrido mentre Artadji rimane molto serio.”Vogliono che tu li benedica con la tua Baraka dato che sei piu’ grande. Percio’ tu prendi le loro mani con la tua mano destra, le appoggi sulla loro fronte e di loro “M’Bona” e gli darai la tua benedizione”. Sorrido al pensiero di come possa io dare una qualche forma di benedizione non essendo un religioso…

Proseguiamo lungo il viaggio e incontriamo il capitano della barca; un omone gigantesco che si presenta; non capisco bene il nome ma di lui parlero’ in seguito. Appena ci vede ci invita a mangiare qualcosa. Ecco la mia Baraka che si burla di me mentre Artadji mi osserva. Non posso dire di no percio’ acconsento; ci fa accomodare nella sua casa di lamiera e ci sediamo per terra mentre ci pone di fronte a noi un piatto di cassava, cocco e pesce e dei cucchiai. Ecco il piatto che unisce tutta l’Africa sub sahariana: la cassava. Per me e’ come un’iniziazione  verso questo continente, un modo per essere parte della famiglia. Non mi faccio domande e prendo anche io un cucchiaio dal piatto comune e mangio, sentendomi parte di un qualcosa...

Finiamo il pasto (qui si mangia quando capita, non le tre volte canoniche come in Italia) e torniamo verso la tenda. Lungo la strada vengo messo alla prova nuovamente perche’ un ragazzino mi si avvicina con le mani giunte dicendo “Muzungu, Quesi?”, ed io so benissimo come comportarmi. Prendo le mani del ragazzo con la mia mano destra, le porto alla sua fronte e solennemente dico “M’Bona” sotto lo sguardo di approvazione di Artadji che mi dice “Bravo, lo hai benedetto con la tua Baraka”. Arriviamo alla tenda e mentre sistemo il giaciglio per la notte e mi rilasso ci sono le due preghiere della sera, le ultime della giornata per i musulmani. Quando Artdji torna c'e' una piacevole novita’: ci e’ stata preparata la cena da una parente del Capitano, una graziosa ragazza che si chiama Kadija, come la prima moglie del profeta, la quale evita costantemente il mio sguardo coprendosi con il velo; il piatto che ci porta si chiama Tambi ed e’ pasta (ve lo giuro) scotta, senza sale scondita con qualcosa di dolce, credo sia manioca.


Sono affamatissimo e senza esitare inforco e ne mangio un boccone mentre vedo che mi sta osservando. Il sapore e’ orribile ma mento in modo impeccabile e vedo che Kadija si allontana sorridendo lasciandoci soli al lume di una candela. Finisco il piatto e me ne servo anche un altro tanta e’ la fame; qui in Africa non e’ certo il caso di fare gli schizzinosi. Mentre mangio esco un attimo nel prato; sono circa le 21, la notte e’ fresca e tutti i lampioni del villaggio sono spenti ma c’e’ sempre luce. E’ allora che alzo lo sguardo al cielo e resto senza respiro: centinaia, migliaia, milioni di piccole luci, cristalli che brillano come lampadine; la via lattea cosi’ limpida come mai potevo immaginarla adesso e’ sopra di me con tutto il suo splendore. Finisco il pasto e mi siedo sul prato guardando il cielo e senza volerlo mi ritrovo disteso a fissare in silenzio le stelle per attimi interminabili. Che piccoli che siamo di fronte a tutto questo…

Una piccola nota; tutto quello che e’ avvenuto oggi non e’ la maestria di uno scrittore nel creare storie ad effetto ma e’ accaduto sul serio, una notte ed un giorno in Africa…

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