giovedì 30 giugno 2011

Il Cuore Nero dell'Africa...

Ci siamo, il transfer per l’aeroporto e’ arrivato; carico tutto e comincia il viaggio attraverso una Tana notturna e terribilmente degradata. Le strade deserte sono il regno di prostitute che attorno ad un un falò improvvisato attendono i clienti. Ho visto bande di bambini accovacciati agli angoli delle strade che cercano di scaldarsi pigiandosi come fanno le pecore, altri che cercano del cibo nella mondezza disputandoselo con dei cani. Mi chiedo come sia possibile tutto questo, mi chiedo il motivo di tutta questa miseria e purtroppo non ho nessuna risposta…

Sono stordito nel vedere tutto questo quando un rumore mi scuote. La macchina che mi sta portando all’aeroporto ad un incrocio ha qualche sussulto e avanza a fatica; mi guardo attorno e vedo in lontananza una gruppo di persone che cominciano a venire verso di noi e fischiano, come per richiamare qualcun’altro. In quel momento provo puro  e genuino terrore, dato che se la macchina dovesse fermarsi ora c’e’ una buona probabilita’ che mi succeda qualcosa di brutto, ma dopo qualche saltello la macchina sfreccia verso la mia destinazione

Appena arrivo il check-in e’ aperto e come all’andata mi dicono che non posso potare due bagagli a mano, dato che eccedono i 12 kg previsti e mi dicono che devo mettere il surplus dentro le valigie. Io rispondo che con me viaggia materiale scientifico molto fragile e costoso e sono disposto a metterlo  in valigia alla condizione che l’addetto mi dia la sua garanzia che arrivera’ intatto a Venezia, altrimenti devo essere risarcito; alla fine mi danno il permesso dei due bagagli a mano e comincia la parte divertente, il passaggio al metal detector…

Appena arrivo devo togliere tutta la strumentazione elettrica, macchine fotografiche, registratori, computer, e farla passare ai raggi X. La parte comica riguarda gli idrofoni che sembrano dei microfoni e alla domanda cosa ci faccio con questo materiale mi verrebbe da rispondere “in realta’ sono una spia”, ma so che causerebbe poche risate e quindi mi limito a dire che e’ materiale scientifico. Appena passo la dogana passeggio nella sala d’aspetto e capisco che adesso l’Africa e’ lontana…

C’e’ una cosa che mi colpisce subito; qui non ci sono piu’ gli odori dell’Africa; manca il pesce marcio, il mais bruciato, la cassava bollita,e il sudore delle persone che arrostiscono al sole. Qui ci sono negozi con le vetrate, e’ tutto pulito ma soprattutto mi guardo attorno e vedo una gran massa di Muzungu e solo qualche distinto signore credo malgascio che attende l’imbarco e non ha niente d’africano, se non il colore della pelle. Qui e’ tutto freddo, asettico, silenzioso, senza calore umano, qui non c’e’ piu’ il grande cuore nero dell’Africa…

Arriva il momento dell’imbarco e non ci sono autobus che ti portano all’aeromobile per cui passeggi per circa un centinaio di metri fino alla scaletta. In quel momento capisco che adesso me ne sto andando davvero e i passi si fanno come pesanti. Da sopra la scaletta non si vede nulla, ma e giusto cosi’; questo e’ l’ultimo cerchio che si chiude qui in Africa. Sono arrivato di notte due mesi e mezzo fa e me ne vado via nuovamente con il buio. Adesso intuisco cos’e il mal d’Africa; e’ una sensazione che non si puo’ spiegare, accade e basta se hai vissuto dentro questa terra, non facendo il turista: se hai condiviso il cibo in un piatto comune, il tetto di case di lamiera, le risate giocando a domino, i silenzi dell’Oceano e il suo cielo stellato, allora questa Africa ti ha accolto e non ti fa scappare tanto facilmente. La saluto con un sorriso guardando le stelle sopra di me e salgo in aereo…

Sono cosi' stanco che mi  addormento subito e quando mi sveglio sotto di me ci sono le coste dell'Africa e comincia il Mar Mediterraneo. L'Europa e' sempre piu' vicina e quando atterro mi sento gia' a casa. Dopo l'ennesimo passaggio al metal detector  arrivo al duty-free e qui mi siedo, bevo un cappuccino (si lo so che non e' italiano, ma ne avevo voglia) e sfoglio Repubblica. Quando finisco mi guardo attorno e riconosco subito il mio gate di imbarco dalle facce italiane delle persone; inconfondibili...

Ultimo aereo per Venezia e quando scendo dalla scaletta un forte sole quasi mi acceca e sento subito un'inconfondibile idioma che recita "ara xse ti vol moverte co chee vaise" (guarda se vuoi muoverti con quelle valigie) che mi fa pensare "Sono proprio a casa". Esco e finalmente ritrovo la mia Meta' del Cielo e alla sera mi godo una pizza, spritz con birra in bottiglia. Prima di addormentarmi penso per un attimo all'Africa, cosi lontana adesso, ma sempre dentro di me...

mercoledì 29 giugno 2011

Partenze... Sara' vero?

Oggi potrei finalmente tornare a casa; dopo una bella doccia e la colazione passo da ritirare il mio biglietto nuovo e devo dirvi che quando esco dall’ufficio con il mio nuovo biglietto in mano mi sento un’altra persona. Passo dall’altra compagnia per ricevere il mio rimborso e poi mi ritiro nel mio albergo, caldo e sicuro rifugio occidentale. Adesso non devo fare altro che aspettare stanotte e poi si parte… spero…

La giornata scorre lenta mentre ripenso a questo posto. Non ho mai visto tanta poverta’ e miseria, che fa male solo a pensarci. Delle vetrate dell’hall dell’albergo puoi vedere la strada dove si affanna un continuo brulicare di persone con qualcosa da vendere in mano, e appena esci dall’albergo ti chiamano per mostrare la loro mercanzia. La poverta’ che ho visto alle Comore e’ comunque dignitosa, e soprattutto non si avverte realmente. Non ci sono persone che fanno la fame e in due mesi ho visto solo due mendicanti. Esiste poi una solidarieta’  tra le persone che consente una vita tranquilla senza problemi reali di denaro.

Il problema e’ che qui non avverto nessuna solidarieta’, e credo che le persone che stanno nelle campagne riescano a cavarsela meglio, dato che possono coltivare la terra e allevare qualche animale, ma qui in citta’ che cosa puoi fare? Ecco il motivo di tanta insicurezza, legata al banditismo e ai furti; alcuni professori mi hanno detto che la gente qui ti puo’ uccidere per pochi euro. Le persone che abitano questo posto che non riescono ad emergere dalla bolla di poverta’ vanno ad ingrossare le file degli accattoni e degli sbandati, una vera e propria popolazione disposta a tutto pur di sopravvivere…

Io sono seduto su un comodo divano al caldo che osservo queste persone senza che possa fare nulla e vi giuro che mi sento male, tanto che non resisto e poco dopo mi alzo e me ne vado in camera. E’ piu’ forte di me, non riesco a vedere quelle facce, non riesco a sostenere il loro sguardo e appena incrocio i loro occhi mi volto dall’altra parte…

Oggi pomeriggio mentre sto aggiornando il blog mi sento tranquillo; ho il mio bel biglietto, check in online effettuato, soldi del rimborso in tasca, transfer pronto e sto sorseggiando un caffe’ quando che succede? Mi arriva un sms dalla mia compagnia di volo di stanotte con questa scritta “Schedale Changed flight: departure 30/06 TNR 03:00”; il mio volo stanotte partira’ in ritardo di due ore! All’inizio penso ad uno scherzo, ma poi mi chiamano dalla reception per avvisarmi. 

Non e’ possibile penso; guardo fuori dalla finestra e mi sembra di sentire come un sordo rumore di dadi all’orizzonte, e la mia partita contro gli dei del Kaos (intesi come il caso) mi vede ancora perdente. Ma perche’ non ha fatto ritardo due giorni fa cosi’ sarei gia’ a casa in questo momento? Qui c’e’ lo zampino della mia baraka, o del karma, o di quello che volete, ma oramai che ci posso fare? 

Purtroppo posso solo aspettare stanotte per prendere quel volo che almeno mi portera’ in Europa. Probabilmente mi daranno una coincidenza a Parigi, ma se anche non dovesse esserci niente non importa perche’ saro’ comunque nel mio continente, dove almeno mi posso muovere senza troppi problemi...

Ho chiuso le valige adesso e mi preparo a prendere il transfer per l'aeroporto. La mia avventura in Africa forse termina qui, oggi, ma mi rimarra sempre dentro, perche' quando ti sei immerso dentro, quando lasci che Lei ti scruti, ti frughi fino nelle tue viscere Lei non ti abbandonera' mai piu'. E' come l'Abisso di Nietzsche; tu guardi dentro l'Abisso e l'Abisso guardera' dentro di te. Ho visto in faccia il Cuore Nero dell'Africa e questo non mi abbandonera' mai piu...

martedì 28 giugno 2011

Tana libera tutti...

Giocando a nascondino l’ultimo che deve essere preso puo’, toccando la “tana”  e gridando questa frase, liberare tutti quelli che sono stati trovati; il cercatore  quindi dovra’ nuovamente ritrovarli. Oggi, chi poteva gridare questa frase se n’e’ dimenticato e quindi l’Africa mi ha tenuto ancora un po’ con se…

Ci siamo lasciati ieri al momento del mio arrivo notturno in Madagascar in cui avevo perso il volo per Parigi. Mi sentivo mediamente preoccupato, ma non essendo il solo confidavo nel motto che l’unione fa’ la forza. Dopo una piccola, ma intensa discussione ci viene trovato un albergo dove passare la notte e mi dicono che domani (oggi) mi chiamano per trovarmi una soluzione. Felice e contento arrivo in albergo ad Antananarivo e il primo impatto e’ forte perche’ fa un freddo boia. Il termometro qui segna 16 gradi ed io ho addosso solo braghe corte ed una maglietta. Porto a termine le formalita’ alla reception e appena in camera mi getto sul letto dove svengo per la stanchezza...

Dopo una buona colazione attendo la chiamata della compagnia per sentire se ci sono soluzioni, ma tutto tace e quando chiamo nessuno mi risponde al telefono. Capisco che mi devo dare da fare e al primo pomeriggio mi dirigo verso la sede della compagnia di bandiera malgascia quando vengo fermato sulla porta dell’albergo dal portiere che mi chiede dove sto andando. Quando gli dico che stavo andando a piedi scuote la testa e mi dice che e meglio che prenda un taxi o se proprio voglio andare a piedi devo tenere lo zaino davanti ben chiuso e togliermi dalle tasche ogni cosa di valore per evitare ogni rischio. Ero abituato alle Comore dove puoi contare 500 euro alle 2 di notte in mezzo al porto senza che ti succeda nulla e qui invece ritorna lo schiaffo in faccia dell’andata…

Appena salgo sul taxi il tassista mi chiude la sicura e due bambini sporchi con i vestiti logori e bucati si attaccano al finestrino chiedendo “Monsieur” in continuazione ed ogni volta sento una fitta allo stomaco; si perche’ appena guardo quegli occhi di bambini provo un dolore terribile, cosi’ forte che abbasso lo sguardo perche’ non voglio vederli. Forse sono un vigliacco, ma non ce la faccio, mi fanno troppo male e appena il taxi parte mi sento meglio…

Appena arrivo agli uffici la prima reazione dell’impiegata e’ la seguente  “perche’ e venuto qui? Lei ha perso un volo con Air France, non con noi, quindi dovrebbe andare da loro a farsi rimborsare”. Gli ho fatto gentilmente notare che ho perso il volo a causa del loro ritardo e che non me ne vado senza il rimborso del cambio volo. Alla fine parlo con il responsabile del Customer Service che mi tranquillizza dicendo che domani dopo aver fatto il cambio volo verro’ rimborsato. Torno in albergo e attendo il giorno successivo e mentre mangio al ristorante vedo qualche bambino che allunga la mano chiedendo qualcosa. Subito viene allontanato da una delle guardie (si guardiani, non semplici portieri) dell’Hotel ed io ho un pensiero; che qualcuno gridi “Tana libera tutti” in fretta che voglio tornare a casa…

lunedì 27 giugno 2011

Il giorno piu' lungo...

Oggi dovevo prendere l'aero per il Madagascar dove avrei atteso tutto il giorno prima di imbarcarmi per Parigi e poi Venezia. Scrivo "dovevo" perche' complice un'incredibile serie di cancellazioni e cambi di orari il mio volo arriva con un mostruoso ritardo di ben 19 ore. Arrivare pero' in tempo ad Antananarivo e vedere il tuo aereo che parte senza di te non ha prezzo...

Stamane alle ore 4 ero in aereoporto, ma gia' qualcosa non mi sembrava funzionare, dato che l'aereoporto e' chiuso e apre alle 6 di mattina. Entro e sui tabelloni non c'e' traccia del mio volo, ma sono tranquillo perche' penso che se anche il volo abbia 8 o 10 ore di ritardo per me e' anche meglio, devo restare a Tana meno tempo in aeroporto, finche' si fanno le ore 9 del mattino e comincio a cercare qualche addetto per avere qualche notizia. Dopo un po' un addetto di della compagnia mi dice che il volo e' stato cancellato e i passeggeri spostati in quello della sera che avevo cercato di evitare perche' non mi dava molte garanzie di arrivare in tempo per il cambio. Mi viene dato un albergo dove mettere i bagagli e poi mi dirigo agli uffici della compagni di volo per spiegazioni.

Appena arrivo devo avere una fccia furente perche' l'impegato che mi accoglie mi chiede quasi tremando "la giornata e' cominciata bene?". Io cerco di trattenermi perche' non e' colpa sua e gli rispondo solo "e' cominciata male e temo che sara' troppo lunga". Mi siedo e mi viene detto che mi hanno spostato sul volo della sera, ma io gli faccio notare che nessuno mi aveva avvisato. Lui si scusa e mi garantisce che il volo della sera sara' in perfetto orario. Questa notizia mi fa sorridere e io gli chiedo che succede se invece io perdo la coincidenza. Lui mi sorride cercando di essere gentile e mi dice "non pensi negativamente, io sono sicuro che il volo sara' in orario". Ci mancava solo qualcuno che cerca di farmi del training autogeno in Africa. E qui non ci vedo piu' e rispondo

"Senta io voglio sapere che succede se perdo la coincidenza, perche' e' una pssibilita' che questo accada dato che ultimamente state collezzionando una serie spaventosa di ritardi". Il tipo si ritira un po' dalla sedia e sottovoce mi risponde. "Se dovesse succedere lei si rivolga al customer service all'aereoporto e loro risolveranno la situazione". Mi danno il biglietto nuovo ed esco pensando al fatto positivo della giornata...

Ho imparato che in Africa si chiudono molti cerchi della vita e forse la mia baraka voleva che io restassi qui ancora un po' o forse l'Africa non voleva lasciarmi andare subito. Fatto sta che complice il ritardo rivedo nuovamente il mercante di Pietre il quale appena entro nel suo negozio resta sorpreso nel vedermi e mi chiede cosa sia successo. Gli spiego la situazione e lui sorridendo mi dice "si vede che era scritto nel Karma". Io penso che qui qualcuno di troppo si sta prendendo gioco del sottoscritto. In ogni caso caso la giornata e' piacevole e al pomeriggio me ne torno in albergo e dopo una doccia ed una dormita attendo il mio volo, sperando che arrivi...

Il tabellone mi dice che il mio volo dovrebbe arrivare a Tana se tutto va bene alle 00:25, significa che non ho il tempo materiale per farcela. Mentre faccio il check in mi dicono che hanno avvisato che io sono sul volo e che mi dovrebbero attendere; "speriamo" e' il mio primo pensiero. Mi siedo e poi noto un muzungu chiaramente francese che dopo aver espletato le sue formalita' viene verso di me e comincia ad attaccare bottone. Io all'inizio non gli do corda, anche perche' non e' che abbia molta voglia di parlare, ma poi penso che questa sia una prova di chissa' quale divinita' (potete decidere voi quella che preferite) e comincio a parlare anch'io e sentite un po'...

Il nostro francese ha la classica aria da viscido, un cinquantenne che vuole apparire sempre giovane e rampante. Mi racconta che lavora nel campo del turismo non specificando la sua mansione e mi dice che ha lavorato 14 anni in Brasile e adesso sono 10 ani che e' in madagascar. Confesso che all'inizio pensavo che lavorasse nel turismo sessuale ma poi mi sono detto che l'apparenza inganna; ebene, come direbbe Andreotti "a pensar male si fa peccato, ma spesso si azzecca", sentite come continua il dialogo...

Appena gli dico che probabilmente dovro' passare qualche notte a Tana esclama “che fortunato, le notti a Tana sono meravigliose”. Io ammetto di essere perplesso dato che gli dico che mi hanno detto che e’ una citta’ pericolosa e lui mi risponde “si, ma non devi mica girare a piedi, prendi un taxi e ti fai portare. Ho una serie di locali che ti posso consigliare…” e qui comincia un elenco di discoteche e simili che poi capisco essere un elenco di veri e propri bordelli e quando gli faccio notare che io non frequento le case di tolleranza la sua risposta e’ “Non e’ illegale”. Lo so anch’io, ma a parte l’orrore della mercificazione del corpo delle donne, questo qui non ha mai sentito parlare di AIDS in Africa? 

Appena danno il segnale di imbarco mi sgancio da questo losco tipo e sulla scaletta sento “un fremito nella forza”, per dirla come il Maestro Yoda di Guerre stellari, e mi volto a guardare per un’ultima volta le Comore prima di accomodarmi e attendere che il volo parta. Il decollo avviene in ritardo e quindi so gia’ che succedera’ al mio arrivo. Infatti arrivo giusto in tempo per vedere il volo per l’europa che decolla senza di me e comincio a pensare che adesso ci sono dei problemi, perche’ sono in Africa, in un paese con alto tasso di criminalita’ ed e’ notte fonda…

domenica 26 giugno 2011

Questa mia Africa...

Oggi e’ il mio ultimo giorno qui alle Comore e la giornata di ieri mi ha letteralmente stordito piena com’era d’emozioni. Ovviamente ci sono ancora dei dettagli che devo sistemare, come preparare  i bagagli e trovare una vettura che mi porti all’aeroporto alle 4 del mattino e come nelle migliori tradizioni cerco di organizzarmi per tempo, ma mi trovo sempre a fare le cose all’ultimo minuto… 

La mia giornata comincia presto, prima del muezzin. Oggi e’ il mio ultimo giorno in barca assieme a Juma. Quando partiamo osservo l’oceano piatto, quasi immobile e mi accorgo che non sono molto concentrato per fare delle buone osservazioni e sinceramente non ho delle grosse aspettative; mi basta salutare per un’ultima volta l’Oceano Indiano prima di partire. Juma oggi ha portato due lenze e quando scopro che Tadji non ha mai pescato gli cedo volentieri la mia “nus” (lenza in comoriano) e dopo mezz’ora cattura il suo primo pesce. Dovreste vedere la gioia che letteralmente esplode sul suo volto mentre tira in barca la sua preda…

La mattinata continua con qualche altro pesce e nessun avvistamento, ma mi va bene cosi’, finche’ L’Oceano mi fa un altro regalo; un grosso branco di delfini dritto a prua. Ci avviciniamo mentre procedono lentamente, tanto che oltre alle foto riesco a registrare un mucchio di suoni e a fare un filmato subacqueo. Ed e’ in quel momento che vedendo che si muovono placidamente che ho un’ultima, malsana idea; metto la maschera e mi getto in acqua. Tadji non se la sente ed allora mi concedo una solitaria nuotata vicino ai delfini che qualche volta mi passano a pochi metri incuriositi finché se ne vanno lasciandomi solo a galleggiare per qualche minuto silenzioso nell’Oceano Indiano prima di risalire in barca e dire per l’ultima volta a Juma “à la maison”…

Al pomeriggio e’ il momento dei bagagli e comincia il tetris per ricavare due valige da 23 chili ed un bagaglio a mano da 10 chili e dopo vari tentativi  l’incastro riesce alla perfezione, ma mentre sto chiudendo le valige mi chiamano chiedendomi se ho gia’ trovato una macchina per l’aeroporto e quando rispondo di no mi dicono “Non so se riusciremo a trovarla” mi preoccupo, ma non poi tanto. Ho scoperto che qui in Africa c’e’ una soluzione per ogni cosa e vado a cena con un nuovo arrivato, uno studente belga, arrivato qui per la sua tesi sul vulcano Karthala, ed il desco viene condito da un gradevole dialogo. 

Quando torno scopro che la macchina e’ stata trovata e devo solo chiudere tutto per bene e cercare di dormire almeno qualche ora dato che domani mi attende una giornata molto dura. E’ in quel momento che arriva Artadji che mi porta un piccolo regalo e mi commuovo mentre lo abbraccio con forza. Mi stendo a letto e cerco di dormire mentre i ricordi nella mia mente sono un mare in burrasca…

Quante cose mi ha insegnato questa mia Africa ed un su tutte: quando tornero' cerchero' di non lamentarmi piu' di niente. Dei treni in ritardo, della pasta senza sale, del caldo, della gomma della bici bucata, della macchina rigata ne di molte altre cose dopo quello che vissuto qui; io ho l'acqua e l'elettricita' in casa a tutte le ore del giorno e della notte, vivo in una casa con le finestre e le porte, posso spostarmi con decine di mezzi di trasporto ogni giorno e posso comprarmi tutto quello che voglio da mangiare, io vivo gia' in un mondo che e' un paradiso in confronto all'Africa, che diritto ho di lamentarmi per delle cose cosi' inutili? Farlo sarebbe offessivo per le persone che non hanno niente e che purtroppo non potranno mai avere di piu' da questo mondo...

sabato 25 giugno 2011

Ultimo giro in giostra...

Una delle cose che ho capito e ho scoperto di questa terra, e’ che niente avviene mai per caso, che tutto ha una ragione, fatta di cerchi della vita che spesso da qui si aprono e si chiudono, in cui tutto gira, come nelle giostre. Io sto per ritornare in Italia, ma oggi mi sono preso del tempo per me e ho deciso di fare un ultimo giro in giostra…

Dopo aver sistemato le ultime possibili incombenze burocratiche io e Tadji abbiamo preso un autobus e ci siamo diretti a sud verso il nostro primo villaggio per cominciare i saluti delle persone che mi hanno accompagnato in questa mia piccola avventura. L’autobus e’ stipato come sempre, ma oramai non ci faccio piu nemmeno caso, anzi. Sono pigiato su un lato con il finestrino aperto; cosi’ posso fare foto e prendere aria fresca in una giornata di sole molto calda, senza nemmeno una nuvola in cielo.

Arriviamo, ed e’ subito festa. Rivedo la famiglia che ci ha ospitato i capretti che ho visto nascere, Capitan Satana, che si e’ tagliato completamente la barba e mi presenta un suo amico con cui va pescare. Reggetevi perche’ questo suo compare si chiama “Issa”, che e’ uno dei profeti dell’islam, ovvero il nostro Gesu; in pratica in un solo colpo mi trovo di fronte il diavolo e l’acqua santa…

Che calore incredibile sento, questo e’ proprio il grande cuore dell’Africa che ti scalda. Qui tutti mi salutano, ma non sono piu’ Muzungu,  o come dice Sabena, l’insegnante d’inglese “there is a crazy Muzungu in town!” (c’e’ un pazzo muzungu in citta’); io qui sono Marco ed e’ bellissimo sentirsi chiamare per nome. Mangiamo qualcosa all’ombra di un gran baobab e poi attendiamo che arrivi il nostro mezzo perche’ adesso andiamo a vedere il paese dei guguru: Bangua…

L’autobus ci lascia al crocevia e mentre facciamo la strada a piedi vedo dei bambini che tornano da scuola e che adesso non scappano quando mi vedono, e appena gli sorrido dicendo “Eje” (ciao) loro sorridono e mi rispondo “Gema” (ciao). Appena arriviamo al villaggio andiamo subito al porto dove i pescatori stanno tornando e immediatamente rivedo Capitan Washewo che mi corre incontro e mi abbraccia. Immediatamente i pescatori mi riconoscono e ci regalano dei pesci, ma il meglio arriva dopo, alla casa del governatore…

Il governatore della regione ci ha ospitato in casa sua durante la nostra permanenza al villaggio e appena arriviamo a casa sua ci accoglie con un poderoso “Salam Aleikum!” e cui rispondiamo in coro “Aleikum Salam!”. Ci corre incontro e ci fa immediatamente accomodare a tavola dove ha preparato della friapa fritta, e noi gli portiamo in dono i pesci che sono messi subito alla brace. Mi chiede come va la ricerca, quando parto, ma soprattutto mi dice una cosa bellissima e che non dimentichero’ tanto facilmente.

“Ricordati che adesso hai due famiglie, la tua famiglia muzungu, ma anche la tua famiglia comoriana; quando ritornerai sappi che avrai sempre una casa dove andare, basta che chiami in ogni momento, giorno e notte e noi ci saremo”. Resto letteralmente senza parole e vi giuro che mi sono commosso mentre me lo dice. Non credo di essere cosi’ speciale, forse lo e’ l’Africa e questo popolo, ma queste sono cose che toccano il cuore.

Ci salutiamo mentre sta tramontando il sole. Prendiamo una macchina ma prima ci salutiamo con un grandissimo abbraccio. Mentre stiamo tornando a casa, non parlo mai, ma fisso il paesaggio che scorre in macchina, un verde indistinto interrotto da qualche casa di lamiera.,senza emettere un fiato. Tutto quello che ho avuto oggi lo terro’ stretto per il futuro, perche’ oggi ho ricevuto una parte del cuore dell’Africa. Quando ci fermiamo di fronte alla residenza apro la portiera della macchina e ho come la sensazione di fine percorso al luna park; sveglia Marco, devi scendere dalla giostra, questa corsa africana per il momento e’ finita…

venerdì 24 giugno 2011

Silenzi Indiani...

Oggi devo andare a salutare una persona speciale. Mi sono avviato verso il suo negozio, ne ho varcato la soglia e dopo aver pronunciato “namascar”  il Mercante d Pietre mi ha accolto con un sorriso e mi ha invitato a prendere un caffe’ con lui.

Mentre sorseggiavo un caffe’ arabo, fortissimo, c’e’ stato solo silenzio nel negozio per alcuni minuti; un vuoto di parole fatto di sguardi dietro il fumo del caffe e qualche sorriso quasi che si volesse fermare il momento finche’ dopo una poderosa sorsata Sangi mi ha guardato e mi ha chiesto “Come va?”

Ho finito il mio caffe’ e poi ho risposto. Il dialogo e’ stato strano, bizzarro; pieno di sottintesi all’interno di frasi quasi di circostanza, senza grossa importanza, in cui si sentiva che c’era un qualche blocco dovuto all’emozione, in cui non sai proprio cosa dirti ed avverti che, alle volte, il silenzio vale piu’ di tutte le parole del mondo.

Dopo uno di questi prolungati silenzi ci siamo stretti la mano con vigore e mentre mi guardava mi ha detto “… e’ stato un piacere parlare con te” ed io gli ho risposto… “… per me e’ stato importante passare in India di tanto in tanto…”. Ci siamo sorrisi a vicenda e dopo un “namscar” per me molto intenso sono uscito dal negozio del Mercante di Pietre…

giovedì 23 giugno 2011

Sotto questo cielo...

Oggi mentre camminavo lungo il porto mi sono seduto su una panchina di pietra a guardare il blu intenso, pastello del cielo e il turchese dell’oceano. Non so cos accada alle volte alla nostra mente, ma adesso che il mio tempo in Africa sta arrivando al terminami guardo indietro per cercare di riordinare i ricordi.

Il problema e’ che non si presentano mai in ordine cronologico, ma li vedo sempre sparsi e confusi. Si materializzano nella mia mente (se uno legge questo passaggio sono pronto per essere internato…) mentre guardo una pietra lavica, ed ecco apparire il vulcano Karthala, un mattone e ripenso al primo villaggio dove abbiamo dormito, o al forato messo sotto al letto al posto della gamba sfondata…

Accade poi che il flusso e’ inarrestabile, senza nessun tipo di controllo. Tsaramaso, uno dei boss del progetto, mi ha detto che il mal d’Africa alle volte colpisce prima che tu te ne vada. Si manifesta quando capisci che stai per andartene e la terra, l’Africa, lo percepisce e te lo fa sentire…

Sono rimasto per circa un paio d’ore a fissare il sole che tramontava sull’oceano Indiano, guardando le nuvole e le onde. Poi quando l’astro del giorno si e’ immerso ho fatto un profondo respiro alzandomi e guardando l’oceano ho sussurrato “Ah… L’Africa…”

mercoledì 22 giugno 2011

Tempo fuori sesto...

Oggi e’stata una giornata di attese, in cui ho misurato il tempo africano. Qui alle Comore dovevo recuperare alcuni documenti. Li ho chiesti piu’ volte, ma tra le dimenticanze e continui ritardi delle varie amministrazioni mi sono trovato agli ultimi giorni a cercare di far quadrare e cose e mi sono reso conto di quanto sia difficile, se non impossibile…

La maggior parte degli europei e’ abituata ad un concetto di “tempo” fisso: arrivo al lavoro alle 08:00, riunione alle 09:00, pranzo alle 12:00 e via dicendo. La giornata lavorativa e’ spesso un susseguirsi d’orari, che consideriamo immobili e soprattutto non dilatabili. Negli ultimi giorni ho sempre dato come appuntamento per cominciare a lavorare le 8 del mattino e ogni volta le persone arrivavano tra le 8:30 e le 9:00. E’ durante il periodo di attesa che ho intuito uno dei motivi del perche’ l’africa sia rimasta indietro e proceda lentamente. Se in Europa il tempo e’ denaro, qui in Africa si e’ fermato l’orologio…

Noi siamo lanciati verso una folle corsa alla ricerca del benessere che alle volte si basa su cose futili ed effimere e misuriamo il tempo del mondo secondo il nostro ritmo. L’Africa e’ sempre in ritardo dal nostro punto di vista e dopo due mesi in questa terra ho assorbito (parzialmente) il “tempo” come concetto mobile, mutabile ma soprattutto dilatabile. Oggi mi sono guardato attorno mentre ero in mezzo alla piazza principale. Gli fricano corrono raramente, non si affannano, non sono stressati. Qui non ci sono tutti i bisogni essenziali, ma probabilmente vivono meglio di noi. Mi torna in mente una frase letta in un libro anni fa’ che diceva: “…ricorda, meno e’ piu’…”

Forse e’ questo il tempo giusto del mondo mentre il nostro sia oramai fuori sesto? Non saprei che risposta dare; quello che so e’ che stiamo cercando di aiutare questo continente usando il nostro ritmo e temo che potrebbe essere pericoloso perche’ rischia di stravolgere il suo essere l’Africa. Questa credo sia la grande sfida; sviluppo mantenendo salde le proprie radici, cambiare rimanendo se stessi…

martedì 21 giugno 2011

Cooperazione Internazionale...

Lavorando (lo so che molti stanno pensando che non faccio niente e che sono sempre in giro) in un paese povero come le Comore ho visto da vicino il lavoro della cooperazione internazionale. Decine d’associazioni non governative e governative brulicano per le isole con decine di diversi progetti di salvaguardia ambientale, lotta alla povertà e aiuto ai bambini. I funzionari delle organizzazioni governative (ONU, UNICEF, FAO, tanto per citarne qualcuna) vivono fuori città, o negli alberghi con standard europei al quartiere Ambassador.

Questo e’ il medesimo posto dove di solito mi reco per mangiare qualcosa di europeo, come un semplice insalata quando sento che per il mio intestino il cibo locale diventa difficile da digerire. Spesso ai tavoli vedo questi funzionari (non si possono chiamare volontari)  che discutono e con cui spesso scambio qualche parola.

Non che sia un gran chiacchierone, e poi il mio stentato francese non mi aiuta quindi resto sempre nei discorsi di circostanza: “le piogge tardano a terminare per via dei cambiamenti climatici”, “bisogna fare qualcosa per immagazzinare tutta la pioggia che cade” e discorsi simili. Sembra di essere ad una delle tante cene tra parenti in cui i discorsi che si fanno sono sempre gli stessi; “che grande ti sei fatto”, “quando ti sposi”, “mi ricordo di quando eri piccolo”. Le stesse domande a cui dai delle risposte monosillabiche o dei sorrisi di circostanza sapendo che spesso, se anche accenni ad una risposta piu’ articolata, non ti stanno nemmeno  sentire perche’ sta per arrivare un’altra domanda.

Spesso le persone che lavorano per le organizzazioni umanitarie governative, hanno stipendi molto elevati, e non provengono dalla miseria che cercano di eliminare da questo mondo e alle volte quelli che arrivano da paesi in difficoltà potrebbero averla dimenticata. Di recente ho conosciuto un funzionario che proviene da uno di questi paesi africani. Non voglio giudicare né lui né il suo lavoro, ma una volta ho visto un gesto che mi ha lasciato senza parole.

Spesso qui in Africa non puoi lavarti le mani e spesso gli europei girano con delle boccette di detergente cremoso per lavarsi le mani. Io l’ho usato all’inizio ma poco dopo ho cominciato a dimenticarmi di usarlo. Eravamo seduti al tavolo assieme per cena e stavamo discutendo del tempo atmosferico e di pesca quando arriva il cameriere con il pane. Io sto allungando una mano verso un pezzo e lui invece estrae un flacone di detergente e dopo averne usato una dose abbondante mi guarda come schifato mentre io prendo il pane con le mie mani sicuramente sporche. Ho fatto finta di niente...
 

lunedì 20 giugno 2011

Indovina chi viene a cena...

Questo bellissimo film di Stanley Kramer, con un cast d’attori niente male (Spencer Tracy, Katrin Hepnurn Sidney Poitiers), racconta le vicende di una famiglia americana progressista e d’ampie vedute che vede arrivare a casa propria la figlia con il suo nuovo fidanzato. Il problema e’ che il ragazzo e’ afro americano e la famiglia affronta per la prima volta le ampie vedute sempre insegnate alla figlia nell’america degli anni 60. Oggi sono a cena dalla famiglia del mio studente e mi sento un po’ come nel film solo che stavolta la scena e’ alla rovescia…

Ammetto di essere un po’ emozionato dato che Artadji mi ha detto che la sua famiglia vuole conoscere questo muzungu italiano. Ho chiesto se dovevo portare qualcosa, tipo un dolce e il mio studente mi ha lanciato un’occhiata perplessa. Gli ho spiegato che in Italia se ti invitano a cena di solito porti il dolce o qualcosa da bere. Artadji mi fa notare che qui alle Comore non si porta niente, altrimenti sembra quasi che quello che cucina la padrona di casa non ti piaccia. Capisco al volo e lo seguo per le vie interne delle citta’ buie e senza lampioni finche’ arrivo alla sua casa…

E’ una casa non finita di mattoni e lamiera con le tende al posto delle porte.  Su una veranda grigia di malta vedo delle assi di legno e Tadji mi spiega che sono di suo padre, che fa il falegname. Appena entriamo Artadji chiama tutta la sua famiglia a raccolta ed ecco arrivare i suoi genitori e suo nonno, zoppicante, ma con occhi vispi ed io porgo entrambe le mani chiedendo “quesi” e loro sorridono prendendole benedicendomi con la loro baraka. Nella casa ci sono solo alcune stanze finite ed una di queste e’ la sala da pranzo dove sua madre ha preparato una tavola imbandita di ogni bonta’, ma soprattutto Artadji deve avergli parlato delle mie preferenze perche’ al centro della tavola c’e’ un piatto con la pasta…

Non ci credo, questa signora che mi sorride continuamente ha preparato della pasta, per me. Sono commosso, e quando mi siedo ne prendo subito una forchettata. E’ scotta e senza sale, ma secondo voi potrei mai dirlo a questa donna che mi guarda con occhi a volte stanchi, ma sempre sorridente. La pasta per me e’ ottima e tutto il calore che ricevo in questa sera rende questa cena unica. Parliamo d’Africa, di tempo, e di quanto per me e’ stata importante. Dopo cena Artadji fa qualche foto e poi ci dirigiamo verso il dormitorio. E mentre osservo le stelle dalla mia terrazza che ho un pensiero. Mentre mangiavo, ho commesso due errori: ho mangiato della maionese e ho bevuto del succo d’arancia allungato con acqua non minerale. Speriamo bene…

domenica 19 giugno 2011

Gocce di pioggia su di me...

Domenica, giornata di riposo. Ieri sera e’ cominciata una piogia inizialmente leggera che ha preso col tempo sempre piu’ corpo fino a diventare un vero e proprio temporale. Chiamo Juma, il capitano, per avvisarlo che domani non si esce e dopo un bella doccia mi stendo a letto ascoltando il rumore della pioggia che scroscia quale migliore melodia per un bel sonno ristoratore…

Mi sveglio stamane poco prima dell’alba e sento che sta ancora piovendo. Vabbe’, penso tra me, tanto oggi non devo fare niente e quindi mi alzo con calma. Appena apro la porta mi investe una temperatura non proprio equatoriale e la pioggia fa un frastuono assordante mentre cade; la cosa che noto immediatamente e’ la quasi assenza di tuoni. Questa e’ pioggia che cade perfettamente dritta, senza vento ne tuoni a scuotere l’aria finche’…

Mentre mi sto lavando i denti sento un aumento del fragore e guardando da una delle finestre noto che comincia ad alzarsi il vento con gran foga. Arriva a folate sempre piu’ forti piegando le palme che ci sono nel giardino e fa aumentare la pioggia che adesso cade con tale veemenza che produce fumo sui tetti e sull’asfalto e producendo una sorta di foschia innaturale che non mi permette di vedere oltre il cortile.

La pioggia ed il vento continuano per tutta la mattina quando verso pranzo sembra esserci un momento di pausa, in cui scende l’acqua scende leggera dal cielo e senza il vento. Riesco cosi’ ad andare a mangiare senza grossi problemi e appena rientro nella mia stanza ricomincia il diluvio assieme al vento e per aggiungere gusto alla vita ecco il black out. Mi stavo quasi meravigliando della sua assenza. La situazione non cambiera’ per tutta la giornata.

Alla fine la pioggia e’ caduta per quasi 30 ore ininterrotte allagando qualunque cosa ci fosse al piano terra. Fortunatamente io sto al primo piano e alla fine sono rimasto a sonnecchiare e leggere a lume di candela per tutta la serata. Per fortuna che mi avevano detto che la stagione delle piogge era finita ad aprile…

sabato 18 giugno 2011

Moby Dick...

Il romanzo di Herman Melville narra, attraverso il racconto di Ismaele, la caccia da parte del capitano Acab contro Moby Dick, la Balena Bianca. Nel descrivere la balena l’autore ha commesso una piccola imprecisione dato che si ritiene che si tratti di un capodoglio, e molto speciale, dato che sembra che esemplari che soffrano di albinismo possano raggiungere dimensioni giganti, quasi quanto le balenottere; oltre i 25 metri, quando di solito non superano i 15 metri. Io non ho incontrato nessuna balena bianca, ma oggi ho nuotato con i capodogli…

Oggi finalmente sono uscito in barca dopo giorni di forte vento. Grazie a tutto questo movimento la colonna d’acqua si e’ completamente rimescolata lasciando in sospensione i nutrienti che arricchiscono l’ecosistema. Succede la stessa cosa quando prepariamo il the solubile. All’inizio tutta la polvere e’ sul fondo, ma poi agiti con decisione e tutto si mescola in soluzione. Dopo un’ora di uscita Juma ha gia’ preso 10 pesci ed io non ho ancora visto nemmeno una pinna in lontananza. E’ in quel momento che guardo svogliatamente l’oceano e vedo un inconfondibile sbuffo. Punto il binocolo e dopo un altro soffio grido “NDUJU” (Balena).

Sono pervaso da una scarica di adrenalina e incito Juma che parte a tutta birra. Ci avviciniamo e sono due capodogli. Questo significa che ho del tempo prima che si immergano nuovamente ed e’ mentre sto montando il teleobbiettivo che guardo le pinne. Certo, siamo a circa 3 miglia dalla costa con corrente e sotto di me centinaia di metri d’oscuro oceano. Non e’ proprio il massimo della sicurezza, ma non so se avro’ un’altra occasione e allora penso “al diavolo tutto”. Prendo l’attrezzatura e dico a Juma di affiancarli e quando siamo vicini ai giganti non ho nessuna esitazione e mi tuffo…

Tuffarsi in acqua di solito provoca un brivido che pervade ogni tua parte di pelle che entra a contatto con il mare, una scossa di vitalita’ a tutto il corpo. Da tanta adrenalina che ho in corpo non sento nemmeno il freddo e metto maschera e pinne in 3 secondi netti e appena Juma mi passa la macchina fotografica comincio ad inseguirli. Guardo solo per un attimo il blu profondo sotto di me e vi confesso che il primo pensiero che ho va agli squali ma tutto svanisce quando li vedo; sono due capodogli che nuotano ad una decina di metri da me. Scatto alcune foto, ma sono troppo lontani e mi trovo di fronte ad un dilemma, o li inseguo e li raggiungo o scatto foto e li perdo. Ci penso mezzo secondo, chiudo la macchina fotografica e mi lancio all’inseguimento…

Nuoto con forza e dopo poco li raggiungo e rimango estasiato. Sono a pochi metri da questo corpo striato e grigiastro. I miei occhi appare immenso: ci potrei stare dentro almeno 20 volte dato che e’ lungo piu’ di 10 metri (piu’ del doppio della barca) e pesera’ almeno 40 tonnellate: se solo pensasse di colpirmi con la sua coda grossa come il tronco di un albero mi ridurrebbe in polvere, passerei dall’estasi alla morte senza nemmeno accorgermene, ma so che non succedera’…

Non sono un suo nemico ai suoi occhi, anzi, a suoi occhi io probabilmente non vengo nemmeno considerato. Nuoto a fianco di uno di questi giganti per qualche minuto ed e’ un’esperienza che non dimentichero’ facilmente. Tutto questo enorme corpo muscoloso che si muove fluido, senza peso mentre io mi sento cosi’ sgraziato e piccolo. Nuoto fino all’altezza del suo muso ed e’ allora  che il dio in catene si accorge della presenza di un insignificante essere che nuota alla sua sinistra e posa il suo occhio grande come una palla da pallacanestro su di me ed e’ stato incredibile…

Quando voglio comunicare con un mio simile uso la parola, ma con gli animali tutto quello che possono fare i tuoi emisferi cerebrali e’ inutile ed e in quel momento che il sistema libico, la parte animale, prende il sopravvento perche’ adesso in acqua non c’e’ un biologo che scruta una specie come oggetto di ricerca; adesso nell’Oceano Indiano affiancati, che si osservano, ci sono due animali…

In quei ochi attimi non ho pensieri razionali, ma sento, percepisco vibrazioni ferine. Non ho paura, ho meglio un po’ si, ma il suo sguardo non e’ minaccioso; emana potenza e superiorita’. Con una sola occhiata mi trasmette tutta la sua forza come uno schianto; resto paralizzato, ma non per la paura, per la sua maestosita’. Se potessi tradurlo in una sola frase, sarebbe solamente “…attento a non farti male…”.

Ed e’ li' quando sono come paralizzato che il semidio che ho di fronte inarca la sua schiena, ed il suo sguardo e’ sempre su di me; tutta l’acqua attorno si scuote, come percorsa da energia mentre mostra a me microbo tutti i suoi muscoli quando solleva la sua coda e comincia la discesa nel buio profondo degli abissi dove io, misero mortale non oserei mai avventurarmi…

venerdì 17 giugno 2011

Il mondo alla rovescia...


La parte di mondo che io conosco, come italiano ed europeo, e’ posta nell’emisfero boreale, a nord rispetto all’equatore. In questa parte di mondo, il mediterraneo, mi riconosco, e riesco ad orientarmi senza grossi problemi, soprattutto quando mi sposto in barca. Infatti qui i venti li posso chiamare per nome sapendo da che parte spirano, ma soprattutto so che effetti possono causare sulle correnti marine e sul clima.

La nostra rosa dei venti ne contiene otto principali e questi sono quelli che conosco nel mio Mar Mediterraneo. Partendo da nord in senso antiorario troviamo la tramontana, vento freddo che spira dalle montagne. A nord est la bora (dal greco boreas), chiamata anche “grecale”. Ad est soffia levante mentre da sud est ecco giungere il caldo vento di scirocco (spesso in veneziano detto “sirocco marso”). Da sud spira ostro (o vento mezzogiorno) e da sud ovest il libeccio. Chiudiamo la rosa dei venti con ponente, il vento dell’ovest, ed il potente maestrale che spira da nord ovest.

Tutti questi venti e le correnti marine generate valgono solo nel piccolo catino del Mar Mediterraneo, che a confronto degli oceani e’ quasi una pozzanghera. Negli oceani Atlantico e Pacifico spirano costanti gli alisei, e qui, nell’oceano Indiano soffiano i Monsoni. All’inizio non riuscivo bene ad orientarmi, anche perche’ facendo brevi uscite sotto costa non era necessario avere sottomano le previsioni del tempo ( praticamente introvabili qui alle Comore), mentre negli ultimi giorni in cui ci sono stati spesso forti temporali ho cominciato a capire una cosa molto semplice. Qui siamo sotto all’equatore; e’ tutto rovesciato…

Me ne’ se sono accorto durante un’uscita in barca. Appena usciamo dalla baia sento arrivare un forte vento da sud. Ma non e’ caldo come scirocco e libeccio, al contrario: e’ freddo e secco e sferza il mare come se fosse una frusta, provocando vistose increspature. Immediatamente ritorniamo a riva, ed allora guardando il movimento delle nuvole ho l’illuminazione. Il vento che arriva da sud, non incontra la convergenza equatoriale, arriva dritto dall’antartide. Certo non e’ il blizzard, il temutissimo vento gelido che spira a oltre 50 chilometri all’ora portando con se temperature al di sotto dei 30 gradi sotto zero, ma alla sera, dopo tutta la giornata con questo vento ho indossato una felpa, ed io non sono un tipo freddoloso, anzi.

Mentre rientravo a casa dall’uscita stavo ripensando con un sorriso al mondo alla rovescia; quando ero bambino pensavo che quelli che stavano sotto all’equatore vivevano a testa in giu’ e poi ho pensato all’Africa. Sebbene tagliata dalla linea dell’equatore, e’ comunque un continente, un mondo, a modo suo, alla rovescia. Qui non c’e’ niente, ma il cuore di queste persone e’ qualcosa di immenso, che supera quanto noi possediamo materialmente…

giovedì 16 giugno 2011

Squero...

La gondola e’ uno dei simboli di Venezia. Questa particolare imbarcazione deve la sua originalita’, oltre alla veracita’ del gondoliere, al fatto che e’ spinta da un remo soltanto, merito della sua costruzione e della sua voga. La gondola, infatti, per la sua particolare forma tende leggermente verso destra, bordo su cui sta il gondoliere che rema in modo particolare per consentire alla barca di procedere diritta.

La voga si compone di due movimenti particolari. Il primo e’ la “premua” (premuta) in cui si spinge il remo avanti tenendo la pala perpendicolare alla superficie dell’acqua; la classica remata che ci porta avanti. Il secondo movimento, il vero segreto del gondoliere, e’ la “stagada” o “staia” (intraducibile); questa e’ la mossa piu’ difficile, senza la quale la gondola e’ condannata  a procedere solo in cerchio. Dopo aver premuto il remo si trova immerso e perpendicolare alla superficie dell’acqua. Con un rapido movimento s’inclina la pala fino ad essere quasi parallela al pelo dell’acqua e si effettua il movimento opposto alla “premua”. L’inclinazione della pala deve essere tale da contrastare la forza che farebbe virare verso sinistra la gondola, mantenendo quindi solo la spinta in avanti.

La massima efficacia del movimento combinato "premi e staissi" avviene tenendo il remo poco sotto al pelo dell’acqua e per allenarsi un ottimo metodo e’ vogare in acqua bassa, dove, se si abbassa troppo il remo, si corre il rischio di dragare il fondo. Da qui il verso di scherno “ara che i gransi te magna el remo” (guarda che i granchi ti mangiano il remo). Il cantiere dove sono costruite, altro luogo simbolo di Venezia, e’ lo “squero”. Qui alle Comore le tipiche imbarcazioni sono le piroghe chiamate “gallawa” in comoriano e oggi ho visitato il loro “squero”…

Vicino al molo dove prendo la barca sentivo spesso al rientro un ritmico picchettare, e oggi ho chiesto a Juma cosa fosse. Lui non e’ riuscito a spiegarmelo in francese cosi’ mi ha portato. Il rumore si fa sempre piu’ forte finche’ vedo un tipico “squero” comoriano. Le piroghe sono ricavate da un unico pezzo di tronco. Il maestro d’ascia si siede poi a fianco del tronco e lentamente comincia a togliere la corteccia, con piccoli e sapienti colpi ritmati, senza fretta, dosando ogni movimento. Dopo che la corteccia e’ stata tolta si procede a scavarne l’interno per ricavare la prima forma grezza che poi verra’ successivamente lavorata.

Mentre osservo l’artigiano noto che non possiede strumenti sofisticati, ne metri.  I suoi attrezzi sono: una piccola accetta, un martello, un grosso scalpello, e un piccone. Si sposta lentamente lungo il tronco seduto su un traballante sgabello di legno e procede con calma, senza fretta, quasi segua il ritmo delle onde che si infrangono sugli scogli. Vedere quest’uomo al lavoro mi dona una pace incredibile: ogni tanto, quando si ferma, solleva gli occhi verso l’oceano, accarezza il tronco e riprende dolcemente a picchettare…

mercoledì 15 giugno 2011

All'ombra del campanile...

L’Italia e’ il paese delle realtà particolari, figlie della sua storia che ci racconta divisioni in decine di città-stato, ducati, regni, repubbliche che hanno visto nel medioevo la sua massima espressione con l’epopea delle signorie. Medici, Colonna, Estensi, Meli Lupo, Sforza, Borgia, Farnese; decine di famiglie hanno creato piccoli regni indipendenti sotto la protezione dell’Impero, del regno di Francia, del Papato o del sultano Turco. Tutto cio' ha contribuito a creare divisioni non solo territoriali, ma anche sociali, sviluppando monete, leggi, , nonche' dialetti, invidie e rivalità.

Mentre le prime hanno seguito il corso della storia e sono state assorbite dallo stato centrale scomparendo del tutto, le seconde invece sono sopravvissute e anzi si sono fatte sempre piu’ vive ai giorni nostri; si potrebbe citare l’acredine tra Pisa e Firenze (recita il detto fiorentino “meglio un morto in casa che un pisano alla porta”),  o tra Udine e Trieste, ma ce ne sono decine e decine sparse per il nostro Bel Paese…

Qui alle Comore e credo anche in buona parte dell’Africa le divisioni sono piu’ nette e marcate essendo la comunita’ l’unico luogo in cui un individuo si riconosce. Questo crea legami fortissimi tra le persone, ma anche rancori insanabili. Qui alle Comore l’identita’ di ogni singola isola e’ molto forte con un proprio governatore inserito in una sorta di governo federale. Sembra tutto tranquillo e pacifico, ma tempo fa’ ho visto che e’ una quiete apparente perche’ in Africa, terra senza mezze misure, quando il sangue ribolle bisogna stare attenti.

Qualche settimana fa ho letto su un manifesto che ci sarebbe statta la sentenza nei confronti di un importante generale dell’esercito che sembra sia coinvolto nell’omicidio di un suo commilitone; ho chiesto lumi ad Artadji e i fatti sono i seguenti. Un colonnello dell’esercito, proveniente dall’isola di Anjuan e’ stato assassinato in casa sua da un commando di tre uomini, una vera e propria esecuzione premeditata dato che i tre hanno atteso l’arrivo del militare nascosti in casa prima di ucciderlo. Gli assassini sono stati catturati e condotti di fronte alla giustizia, ma rimane un fatto insoluto, sembra che le armi usate da questo commando provengano dall’armeria del Generale, originario dell’isola di Gran Comore (quella dove mi trovo). Artadji mi ha detto che la situazione non e’ affatto facile, ed e’ qui che la giustizia africana ha i suoi limiti.

La popolazione di Anjuan vuole che il generale venga consegnato agli abitanti dell’isola. Non si parla nemmeno di tribunale o giudizio; semplicemente voi datecelo e noi sapremo cosa fare. Dall’altra parte ci sono i sostenitori del Generale che hanno detto che se questo avverra’, loro uccideranno tutte le persone di Anjuan a Gran Comore. Alla parola uccidere dico ad Artadji che mi sembra un’esagerazione e lui molto serio mi risponde “questa e’ Africa Marco, non l’Europa”.  Infatti qui il potere del sangue, dei legami con la terra, il clan o la tribu’ e’ qualcosa di fortissimo; se tocchi qualcuno della mia gente, allora colpisci anche me ed io allora rispondero’ cominciando faide quasi eterne. Ho sentito in seguito rivalita’ anche tra paesi distanti poche centinaia di metri, con case incendiate solo perche’ qualcuno ha usato la spiaggia di un altro villaggio invece della propria. Ecco perche’ quando cominciano le lotte intertribali in questo continente spesso sfociano in violenti massacri, uno su tutti quello tra tutsi e hutu in Rwanda.

La giornata della sentenza Artdji mi chiese dove avrei mangiato la sera. Quando risposi “prendero’ un taxi per il quartiere Ambassador”, lui scosse la testa dicendo “Non e’ una buona idea prendi un panino da Nassib e poi rimani qui alla residenza; oggi dalle 18 chiudono tutte le strade perche’ arrivano molti sostenitori di entrambe le parti per la sentenza del processo e ci potrebbero essere dei disordini”. Ammetto che la cosa mi ha un po’ impressionato e ho pensato che fosse meglio seguire il consiglio. Effettivamente durante la notte ci furono delle sirene e al mattino sul giornale lessi di scontri tra le due fazioni con interventi della polizia ed arresti. Il giudice che doveva emettere la sentenza ha deciso di rinviare di un mese la sua decisione per ragioni di ordine pubblico. Non vorrei essere nei suoi panni…

Concludo con una nota sul campanilismo veneziano. I veneziani non si considerano veneti, ma veneziani come prima cosa, e soprattutto decantano ovunque la loro citta’ piu’ bella del mondo, unica al mondo bla bla bla. Sono anch’io veneziano ma credo che sia il caso di andare oltre la Repubblica Veneziana, morta con un doge friulano, il Manin (profetico fu il detto di un senatore della Serenissima; I gà fatto doge un furlan, ea repubblica xse’ morta), oltre 200 anni fa. Ma per darvi un’idea della presunta superiorita’ veneziana vi dico solo due cose. Per i veneziani tutto quello che e’ oltre il Ponte della Libertà, la terraferma, e’ per definizione “campagna” inteso in modo non proprio positivo.

Famosi sono modi di dire veneziani “el gà ea musana da tera”, “el ga ea musana da pan comune” per indicare qualcuno che possiede la faccia e le movenze del contadino ignorante; anche Milano stando in terraferma per un veneziano puo’ essere benissimo “campagna”. Ma il massimo lo raggiunge quest’affermazione: “se non ci fosse il Ponte della Libertà che collega Venezia a tutto il resto, tutto il resto sarebbe solo un’isola senza significato”. Non ho mai indagato a fondo sulla grandezza di “tutto il resto”, credo cambi secondo il grado di campanilismo del veneziano che la pronuncia e puo’ variare dal Veneto a tutta l’Europa…

martedì 14 giugno 2011

Il Barbiere di Siviglia...

Da qualche anno ho cominciato ad adottare un taglio di capelli radicale, quasi a zero, per diversi motivi e cerchero’ di non utilizzare le mirabolanti e stravaganti tesi di Sinesio come giustificazione. L’autore della Grecia classica, nel suo libro “Elogio delle calvizie”, ritiene che, essendo molti dei canuti, la calvizie fosse un segno di un qualche contatto con il divino. Se poi la persona possedeva una totale assenza di capelli era quanto di piu’ vicino agli dei ci poteva essere.

Tra i motivi di questo mio taglio c’e’ una leggera,e sottolineo leggera, calvizia (bisogna essere onesti), indubbi vantaggi monetari, non andando piu’ dal barbiere ma soprattutto perche’ anch’io voglio essere simile agli dei(nota per gli abitanti di Casa Martucci “SEI FORSE TU UN DIO?”).

La figura del barbiere nel passato era associata a quella del medico, o meglio a quella del “cerusico”. Questa particolare professione si trovava spesso nei campi di battaglia medievali e non solo. Potremmo definirlo una sorta di chirurgo ortopedico del tempo, addetto alle amputazioni, alla cura dei feriti in modo pratico e sbrigativo e ovviamente al taglio dei capelli.

Osservando gli uomini alle Comore ho notato che quasi tutti portano i capelli rasati come me. Io mi sono portato un rasoio elettrico dall’Italia, ma dubito che qui tutti ne possiedano uno. Inoltre non ho mai visto una sola insegna con scritto “Barbiere”, mentre i parrucchieri per signora abbondano. Devo dire che all’inizio non ci badavo molto, ma di recente, in ogni strada che percorrevo ho cercato se tra le insegne sgangherate ed arrugginite ci fosse quella del “cerusico” finche’ l’ho trovato ed era al mercato…

Posto tra una stuoia dove c’era esposta della frutta ed un banco di cineserie assortite noto un gruppo di uomini che a turno si abbassano e quando si rialzano sono rasati a zero. “Ecco il barbiere”, penso, “e avra’ un generatore per far funzionare il rasoio elettrico”, ma avvicinandomi scopro che non e’ niente di cosi’ complicato. Il nostro “Figaro” (il Barbiere di Siviglia) possiede un set di lamette da barba (quelle che si montano sul rasoio monolama) con cui taglia, o meglio, con cui rade a zero i clienti. La pulizia della lametta avviene rigorosamente sui pantaloni o sulla maglietta e l’attrezzo ovviamente non e’ monouso, e quando si sporca di sangue un passaggio sui pantaloni sporchi di fango ed olio per pulirlo e sotto un altro cliente.

In quel momento ho avuto un brivido mentre pensavo alla facilita’ con cui si trasmettono le malattie in questo continente e il mio pensiero va ad uno dei flagelli dei paesi in via di sviluppo, l’ A.I.D.S. (o SIDA se preferite). Mentre sto tornando a casa sto canticchiando una parte dell’opera di Rossini quando leggo l’insegna del “Dipartimento per la Prevenzione e La Lotta all’AIDS” e ho un momento di riso amaro. Figaro qua, Figaro la, Figaro giu...
 

lunedì 13 giugno 2011

Paura...

Tutti gli animali provano sensazioni negative e positive e non tutte quelle che consideriamo un male ci arrecano dei veri e propri danni, spesso sono fondamentali per la nostra sopravvivenza. Pensiamo ad esempio al dolore che ci indica con nitidezza, cosa sia nocivo lasciandoci un vivido ricordo per il futuro. Quando ero piccolo mi piaceva giocare con i fiammiferi per vedere il colore del fuoco. Mia nonna Gemma mi diceva che potevo scottarmi finche’ successe. Pianti, strilli e lezione imparata: non si gioca col fuoco…

La paura e’ un’altra sensazione considerata negativa, ma riveste una straordinaria importanza per la nostra sopravvivenza. Essa, quando giunge, fa scattare una serie di meccanismi di difesa; la produzione di adrenalina ci rende immediatamente vigili e pronti a scattare, il battito cardiaco accelera per pompare sangue ai muscoli in caso di una fuga immediata. Se non provassimo paura ci saremmo gia’ estinti; le cronache sono piene di eroi impavidi e senza paura che cercavano la gloria e spesso hanno trovato la morte. Oggi in barca ho avuto paura…

Ieri e’ stata una giornata con parecchio vento e non siamo usciti in barca. Ho parlato con Juma e lui mi ha detto che domani (oggi) al mattino le previsioni davano poco vento. Contento stamane mi alzo alle 4 come di consueto e mentre cammino verso il molo noto che il vento e’ calato sensibilmente e quando arrivo al molo il mare e’ appena increspato. Armiamo la barca e salpiamo; c’e’ qualche onda e siamo nelle condizioni limite per effettuare avvistamenti, ma un tentativo bisogna sempre farlo, ma appena usciamo comincia a tirare vento forte da sud e capisco che forse era meglio restare a terra…

La corrente d’aria che spira non e’ a folate, ma e’ costante come un ventilatore ed e’ fresca. All’inizio non ci facevo caso, ma qui siamo sotto l’equatore e l’aria fredda che nell’emisfero boreale arriva dal polo nord, qui nell’emisfero australe arriva dal polo sud. Le onde cominciano ad essere sempre piu’ grosse, non piu’ lunghe, ma ravvicinate. Quando ne prendiamo una di traverso la barca si alza in diagonale, ma soprattutto ricade in modo “scomposto” sull’onda successiva infrangendola e facendo entrare un po’ d’acqua. E’ allora che sento Juma che urla “Marco”; ma non e’ il suo solito grido che cerca la complice risata.

Mi volto e noto che il capitano non sta ridendo ed e’ allora che vedo bene il mare. Intendiamoci, non credo che superi forza 3 o 4 e lavorando in barca mi e’ capitato anche di peggio, ma con due differenze importanti. La prima e’ che ero in acque nostrane, dove posso dire che io e il mare ci conosciamo e l’altra e’ che ero su un veliero a due alberi di oltre 20 metri. Ora sono su una barca in legno e vetroresina di 5 metri senza nessuna dotazione di sicurezza e soprattutto sono in Oceano Indiano e lui non mi conosce ancora, non posso dire di essere suo amico; ed e’ nitido il ricordo del motoscafo affondato da alcune onde grosse quando ho lavorato alle Maldive. E’ qui che sale la paura…

La paura che ti prende in barca e’ diversa da quella che provi in terraferma. La terra e’ il nostro ambiente naturale dove in caso di pericolo possiamo correre scappare, in sostanza possiamo muoverci. In barca non ci sono molte alternate. Non puoi scappare d nessuna parte a meno che tu non voglia gettarti in acqua, che non e’ proprio il nostro elemento. Possiamo galleggiare, ma devi essere un esperto nuotatore per nuotare con mare grosso. Le altre volte che c’era mare mosso quello che mi impauriva era perdere l’attrezzatura, sapevo che sarei arrivato nuotando a riva. Questa volta devo confessare che del costosissimo equipaggiamento elettronico da migliaia di euro non me ne importava niente, mi bastava arrivare a terra.

Mi sono voltato verso Juma e abbiamo fatto assieme il gesto di andare verso terra. Il capitano ha manovrato mettendosi a favore di vento e di onda fino ad arrivare sottovento al punto opposto della baia, dove c’era mare calmo. Sentire l’oceano sotto di te che sembra ribollire e vedere onde piu’ alte del bordo della barca con il vento che soffia, ed il cielo grigio mi ha fatto paura e appena siamo al riparo sottovento tiro un sospiro di sollievo. Dopo aver portato la barca sulla battigia chiedo a Juma se domani si puo’ uscire e lui mi risponde scuotendo il capo. Non so perche’ ma lo sospettavo…

domenica 12 giugno 2011

Taxi Driver...

Girando per la citta’ spesso mi fermo sulle panchine a guardare le macchine che passano. Ammetto di sentirmi un po' Satchel, uno dei protagonisti di uno strepitoso fumetto, Get Fuzzy, il quale in una striscia dice di apprezzare il rumore dei camion che passano. Fatto sta che guardando le macchine passare, o salendo su qualcuna di queste vetture, ho avuto la possibilita’ di osservare da vicino la variegata categoria dei tassisti comoriani…

Per prima  cosa il taxi non ha un colore identificativo, il classico giallo o un altro insieme di colori che lo contraddistingue nel traffico; l’unico modo per poterlo riconoscere e’ una targa luminosa gialla con scritto “TAXI” posta sul tetto. Non c’e’ un numero per chiamarli, ne’ una piazzola di sosta particolare; quando passano basta chiamarli con un gesto della mano. Se il taxi emette un lampo con i fari abbaglianti o suona il clacson, significa che e’ pieno; se invece mette la freccia c’e’ posto, ma non si e’ ancora sicuri di salire. Infatti ci sono due possibilita’: se il taxi e’ vuoto allora non c’e’ problema; basta dire la destinazione e salire a bordo. Se invece ci sono gia’ altre persone dopo aver detto la destinazione il tassista pensa se il tuo posto e’ sul percorso che dovra’ fare per gli altri passeggeri. Ovviamente tutte le persone nella vettura discutono per aiutare il tassista se ci sono delle indecisioni e dopo qualche attimo ti danno il responso e se positivo alle volte tutto il taxi risponde in coro “EWA” (si in comoriano).

Passiamo al mezzo partendo dalla carrozzeria. I modelli possibili vanno dal nuovo luccicante al semidistrutto tenuto assieme da corde. Il parabrezza puo’ essere integro, crepato, o incrinato in uno o piu’ punti. Per i finestrini invece la faccenda e’ piu’ complessa essendo sia fissi che mobili. Possiamo definire “fissi” quelli che sono bloccati in una posizione che va dal tutto aperto al tutto chiuso (pensate che bello con la pioggia torrenziale o con il caldo torrido), per via della manovella rotta o per contatti elettrici mancanti. I finestrini mobili invece si possono alzare o abbassare con i sistemi classici che conosciamo, ma alle volte il vetro deve essere aiutato con le mani a salire o scendere. In alcune vetture il finestrino si alza o abbassa solo con la mano, il problema e’ che se devi tenere chiuso il vetro devi tenerlo in tensione altrimenti scende per gravita’. Una volta ho trovato un taxi che aveva i finestrini che si aprivano a turno; il guidatore cambiava ogni volta il contatto tra i cavi delle varie portiere con le mani. Uno spettacolo alzare o abbassare finestrini non tuoi…

Gli interni danno un tocco di grande colore alla vettura; questi taxi spesso sono addobbati come alberi di natale: vi giuro che alcuni sul bordo del parabrezza hanno le stelle di natale, mentre sopra il cruscotto hanno steso dei tappetini pelosi di quelli che usi per il bagno, ed il rivestimento dei sedili e’ rigorosamente in velluto, perche’ in Africa all’equatore non fa’ tanto caldo. I colori sono vivaci quindi ecco rosso fuoco, giallo canarino, verde menta, blu elettrico, viola o lilla. Possono essere abbinati, ma spesso sono distribuiti abbastanza casualmente; ecco quindi giallo-verde-viola oppure rosso-lilla-verde. Vero oggetto culto e’ il volante; sembra che i tassisti abbiano una vera predilezione per il volante grosso, ma il massimo credo sia quando e’ ricoperto anche da peluria. Una volta un tassista aveva un volante enorme ricoperto da una pelliccia zebrata, potete immagine come fosse il resto della macchina…

Ma chiudiamo con il pezzo forte, il cuore pulsante della categoria, ovvero il tassista, o parafrasando Alberto Sordi, il Tassinaro. Se in Italia spesso ci lamentiamo per come guidano i tassisti, qui in Africa spesso sono dei pazzi all’ultimo stadio. Sorpassano ovunque, anche in contromano, strombazzano di continuo, non curanti delle urla degli altri conducenti, quasi stessero giocando agli autoscontri. Una volta ne ho trovato uno , un vero donnaiolo, che ad ogni ragazza che passeggiava chiedeva se aveva bisogno di un passaggio, offrendolo gratis. Se il tassista invece e’ curioso, e riesci ad instaurare un buon dialogo ci puo’ scappare anche lo sconto. Da evitare, invece il tassista ubriaco. Sono molto rari essendo un paese musulmano, ma questo significa che non c’e’ etilometro. Il problema non e’ la guida dato che viaggia a circa 10 km/h ma il fatto che dimentica dove deve portarti. Una volta mi e’ capitato di girare per 20 minuti  vuoto, mentre il tassista era un fiume di parole in piena finche’ si e’ fermato ad un paio di chilometri dalla destinazione. Io ho fatto finta di niente e sono sceso per evitare di passare tutta la notte in taxi…

sabato 11 giugno 2011

Libia...

Da quando sono arrivato qui in Africa la carenza di notizie mi ha fatto perdere un po' il polso della situazione sulla politica internazionale e soprattutto italiana. Non che sia successo niente di nuovo, e' sempre la solita minestra ma mi piacerebbe poterlo leggere e commentare. Una tra le cose che ho perso di vista e' la situazione libica e recentemente ho cominciato a vedere piu' di un poster che inneggia al colonnello Gheddafi e devo dire che qualche volta ho percepito qualche sguardo non amichevole.

Se c'e' una cosa che si nota subito appena si arriva in Africa sono i bianchi, i muzungu. Non solo per la loro carnagione, ma anche per il loro comportamento. Spesso i muzungu vivono al quartiere francese, o in periferia, non voglino mescolarsi con la popolazione locale. Girano in macchine noleggiate solo per loro ed e' alquanto difficile vederli girare a piedi. Io mi maschero abbastanza bene (non per la carnagione ovviamente), ma per il compotamento, dato che giro per i mercati, lavoro con i pescatori, mi muovo a piedi e soprattutto abito in citta'.

Oggi mentre stavo tornando a casa dall’uscita in barca ho trovato lungo la strada un gruppo di persone con dei cartelli raffiguranti il leader libico. Appena mi hanno visto si sono avvicinati pensando che fossi francese (da queste parti non hanno preso bene le dichiarazioni del presidente francese contro la Libia ed il mondo musulmano in genere) e appena hanno cominciato ad inneggiare a Gheddafi prontamente li ho salutati con “Salam Aleikum”, che ha sortito molteplici effetti…
Il primo e’ l’obbligo di risposta. Se sei un musulmano e qualcuno ti saluta con “Salam Aleikum” sei obbligato a rispondere. Devi interrompere il discorso che stai facendo, la telefonata o qualunque altra cosa tu stia per esprimere a voce perche’ deve uscire solo il suono di risposta “Aleikum Salam”. Appena ho salutato tutti hanno smesso di inneggiare e mi hanno subito risposto.

Il secondo effetto e’ lo spaesamento, Si guardano per qualche attimo non sapendo che cosa fare e alla fine tornano indietro in silenzio. Chissa’ che avrei fatto se fossi anche io un semplice muzungu, invece di essere  un po’ comoriano…

venerdì 10 giugno 2011

Gandhi...

Oggi era la giornata del mio consueto passaggio in India. Oggi avevo piu’ tempo del solito a disposizione e quindi ci siamo messi a conversare su molte cose piacevoli. Siamo partiti dal passato dell’India e siamo arrivati a Gandhi e alla sua lotta per l’indipendenza. Ho scoperto che la famiglia del Mercante di Pietre proviene dalla stessa zona dove e’ nato il Mahatma (Grande Anima) al confine tra Pakistan e India.

Quando la nazione indiana divenne indipendente dall’impero britannico, le divisioni religiose portarono alla formazione di due nazioni indipendenti una per gli induisti ed una per i musulmani, l’India e il Pakistan dando vita ad una migrazione massiccia di profughi. Indu Pakistani e musulmani indiani che si trovavano dalla parte sbagliata furono invitati ad andarsene perdendo di fatto tutte le loro proprieta’; Gandhi, fu uno di questi Indu’ che perse tutto e cosi’ anche la famiglia del mercante di pietre. Suo nonno, quando emigro’ fu costretto ad abbandonare tutte le sue proprieta’ in Pakistan e ricominciare di nuovo.

Mentre mi parla di queste cose Sangi non ha mai un attimo di rabbia o di rimorsi per quello che e’ successo. Mi dice che sono cose che appartengono al passato e che suo nonno non ha mai parlato male di Gandhi, e considero’ allora il suo essere emigrante il male minore, di fronte alla costruzione di un paese libero da ogni oppressione, senza l’uso della forza. Appena usa la parola non violenza fa un profondo sospiro e poi aggiunge. “Solo Gandhi e’ riuscito a fare questo; ne prima ne dopo di lui nessun altro ci e’ mai piu’ riuscito”. Si sente che ne parla con orgoglio, ed io gli faccio notare che questo e’ potuto accadere solo in India per la sua calma e la sua potente spiritualita’

Cambia poi argomento e mi chiede della mia famiglia. Mentre gliene parlo mi chiede se ho mai avuto dei contrasti con i mia madre o mio padre e la risposta e’ alquanto ovvia. Certo che si, i genitori non si possono scegliere, ma vanno accettati nella loro imperfetta umanita’, nel bene e nel male. Credo che l’importante sia cercare di conoscerli a fondo per apprendere il meglio da loro nel minor tempo possibile; perche’ non possiamo sapere quando se ne andranno per sempre…

Quello che mi lascia perplesso e’ una sua affermazione quando commenta lo status dei miei genitori; appartenenti a quello che si potrebbe definire ceto medio. Mi guarda e mi dice “Lo immaginavo”. Ho risposto stupito “Come hai fatto ad immaginarlo?”. Lui mi sorride e so che sta per dirmi qualcosa che dovro’ conservare per il futuro e sono tutto orecchi…

“Si vede dal fatto che hai dei sogni”. Bella forza gli dico, tutti noi ne abbiamo. Ma lui con la sua calma indiana continua “Se la tua famiglia fosse ricca con buona probabilita’ non saresti qui in Africa, e probabilmente non avresti tutta questa passione. Credo che esista una differenza tra chi ha gia’ tutto e chi non ha niente. Chi ha tutto spesso non ha sogni, ma chi non ha niente costruira’ il suo sogno. E’ una piccola differenza in parole, ma fa una gran differenza nella vita”.

Rimango ammutolito mentre continua. “Mio padre mi ha sempre fatto lavorare duro dicendomi che dovevo pensare di non avere niente, cosi’ avrei costruito il mio sogno. Sto facendo lo stesso con i miei figli; loro devono pensare di non avere nulla e guadagnarsi quello che vogliono”. Fa una pausa sorridendo “In ogni caso prima o poi io non ci saro’ piu’ e tutto rimarra’ a loro”. Ogni parola  ulteriore sarebbe di troppo…

giovedì 9 giugno 2011

Sentensa...

Stanotte e’ piovuto parecchio e pensavo di non uscire in barca, ma quando mi sono svegliato alle 4:30 il brutto tempo sembrava essere passato. Arrivo alla piccola baia di Itsandra dove Juma mi fa notare delle nuvole che stanno arrivando dal vulcano, ma non c’e’ molto vento. Penso un attimo a che fare mentre mi bagno i piedi; l’acqua e’ tiepida e spira una leggera brezza dal mare. E’ stato come un lampo, e mi sono ricordato di tutto quello che mi ha insegnato mio nonno sul mare e sul vento; mi sono voltato verso Juma e ho detto solo “narende” (andiamo)

Salpiamo con vento leggero dritto in faccia; giusto un po’ di rodeo, ma poi ci mettiamo di traverso e ci muoviamo con un dolce rollio verso sud. Nel frattempo volgo lo sguardo verso la costa ed ecco che si scatena una pioggia torrenziale e sorrido mentre mi dico “perfetto”. L’incontro dell’aria fredda con la tiepida brezza del mare hanno fatto scaricare la pioggia nella zona di contatto tra caldo e freddo; la costa. Effettuiamo tranquillamente il transetto ma le nubi sono ancora li’ minacciose, finche’ arriva il cambio di vento che aspettavo.

Spira vento forte da nord adesso, quella che i veneziani chiamano “bava da tera”, o tramontana, che rinfresca, essendo l’isola piu’ fredda del mare. Questo provoca un arretramento della zona di contatto tra correnti calde e fredde, dalla costa verso l’entroterra spostando le nuvole e facendo apparire il sole. Guardo Juma e gli indico la costa per il rientro, non certo piacevole, dato che si beccheggia di brutto, ma e’ sempre meglio che essere bagnato fradicio. Oggi non ci sono avvistamenti, ne pesci, ma per me e’ una grande giornata…

Oggi devo ringraziare Roccia che Corre per quello che mi ha insegnato quando ero piccolo e andavamo a pescare “gransi pori” (granchi), “bevarasse” (cappe) in secca, o “go” (un tipo di pesce; non chiedetemi la specie, io studio cetacei) e intanto mi parlava di Venezia, delle maree, dei nomi dei venti, di come girano le correnti, di come arriva la pioggia e perche’ lo chiamano “Sentensa”.

Quando era giovane il nonno ha avuto il tifo e non riuscivano a curarlo. Prima di fare un ultimo estremo tentativo per salvarlo dalla morte il prete gli ha dato l’estrema unzione. A Venezia i vecchi che hanno gia’ avuto l’estrema unzione vengono chiamati “Sentensa” (sentenza). Aver ricevuto questo sacramento senza essere morti sembra che doni una mistica comprensione del futuro. Ecco perche’ quando parlano bisogna prestare orecchio; quello che predicono spesso si avvera…

mercoledì 8 giugno 2011

L'Oceano e il Silenzio...

Oggi sono uscito in barca solo con Juma. Il mio studente ha avuto una leggera indisposizione e dopo un po’ di indecisione decido di andare lo stesso da solo. L’unico problema e’ la comprensione dato che Juma parla poco francese, ed io non parlo Comoriano. Vabbe’, c’intenderemo a gesti, d'altronde dobbiamo solo passare una mattinata in barca mica sposarci…

Appena arrivo Juma rimane sorpreso di vedere solo me, ed io gli spiego in francese che Artadji non c’e’ ma che usciamo lo stesso, solo io e lui. Per lui non c’e’ problema, e cominciamo a preparare la barca. Bisogna trascinarla su dei tubi di plastica facendola scorrere, per evitare che si strisci il fondo o peggio, che si buchi. Mentre io sistemo gli strumenti a bordo Juma monta il motore.. L’assenza di Artadji, l’unico interlocutore del Capitano, dona alla scena un silenzio rotto solo dalle onde che arrivano sulla battigia.

Partiamo e indico con le mani la direzione da prendere; d'altronde non e’ difficile, basta segnalare. Appena usciamo dalla baia mi indica il suo amo e la sua lenza, e io gli dico “euwa” sorridendo e lui ride di gusto mentre comincia a pescare. quest’oggi in barca non si parla, si sente solo il suono sordo del motore che rallenta e si ferma ogniqualvolta Juma prende un pesce.

L’oceano oggi e’ calmissimo, con pochissime onde e vento. Le condizioni perfette per l’avvistamento, ma ovviamente gli animali si vedono con gran fatica. Solo un piccolo gruppo di delfini che probabilmente sta cacciando, dato che ignorano completamente la barca, e anzi, sembrano quasi infastiditi dalla nostra presenza, ed effettivamente come dargli torto. Voi sareste contenti di mangiare con qualcuno che cerca di farvi continuamente delle foto o gira intorno facendo del trambusto?

A meta uscita si alza il vento ed e’ meglio rientrare. Arriviamo ad un punto di calma nella baia e qui Juma raccoglie la lenza ed e' allora che decido di rompere il ghiaccio; la indico chiedendogli come si dice in comoriano e lui sorridente "nus". Barca e' "mel", il remo e' "kas". Comincio una lezione di comoriano, con semplici ed essenziali parole per il mio lavoro, finche' dopo l'ennesima parola e seguente risata per la mia pessima pronuncia Juma si scusa perche' non sa il francese, dicendo che non e' andato a scuola, ma ha semre lavorato.

Resto senza parole. Artadji mi ha detto che lui si vergogna un po' a stare solo con me in barca, perche' non sa il francese e quindi ha paura che io pensi che sia uno stupido; ho detto ad Artadji che non deve minimamente pensare una cosa simile, che anzi, il fatto che io abbia studiato o meno lo devo anche alla fortuna di essere nato in Europa e non in Africa. E soprattutto che avere la laurea non ti  rende ne migliore ne peggiore di nessun altro...

Gli dico che non c'e' nessun problema per me e qualche goccia di pioggia ci fa capire che e' meglio tornare a riva. Arriviamo in prossimita' della spiaggia e  quando Juma spegne il motore la barca segue la spinta delle onde e per qualche secondo siamo cullati  piano piano finche’ la barca si adagia dolcemente sulla battigia. Silenziosamente tolgo l’equipaggiamento, mentre il capitano prende i tubi per trascinare la barca fino al suo posto. Quando finiamo Juma mi da la mano e ci guardiamo per qualche secondo intensamente mentre mi chiede “Anche domani?” in francese e io prima di lasciare la sua mano sorridendo gli rispondo in comoriano “ewua” (si) e ognuno torna a casa propria…

martedì 7 giugno 2011

Mancanze...

Oramai sono quasi due mesi che sono in Africa e comincio a sentire il desiderio di alcune cose. Non parlero' di quelle piu' forti e per certi versi scontate (la mia meta' del cielo, i miei cari, i miei amici) mancanze affettive che non possono essere colmate, quelle che senti dal primo giorno e che mai ti abbandonano. Sto parlando di tutta una serie di piccole cose che qui, causa problemi logistici vari non posso avere….

La doccia; appena arrivo a casa mi faccio una vera doccia, con l’acqua che scende dall’alto e soprattutto non piu’ fredda, ma anche tiepida se voglio!

Il maiale; appena torno ho proprio voglia di un panino con la soppressa con aglio, oppure con porchetta e senape, per non parlare di costicine, salsicce, lo speck, fiocco di prosciutto, culatello… Insomma, tutto quello che di culinario vi viene in mente con questo animale per me va bene!

La pasta; si lo so, sono un italiano medio anche io, ma ho voglia di un vero piatto di pasta, con il sugo di pomodoro, all’olio, matriciana, carbonara, alla bolognese, alla “busara” (piatto veneziano con sugo e gamberi), “Bigoli in salsa” (piatto povero veneziano: pasta condita con sugo di acciughe e cipolla). Qui una volta ho provato a prendere un piatto di carbonara al tonno. Mi hanno portato una scodella con una brodaglia in cui galleggiava della pasta, da incubo notturno…

Risotto; risotto di gamberi, di fegatini, di asparagi, radicchio, insomma tutto ma basta riso bianco usato come condimento!

Il quotidiano; ebbene si, mi manca la carta stampata, leggere il giornale alla mattina; sfogliare i titoli di tutte le pagine, sentirne il rumore mentre scorrono e cominciare ovviamente dalla pagina sportiva, per poi ricominciare dall’inizio. Mi manca l’editoriale della domenica di Eugenio Scalfari, il “fondo” di Ferruccio de Bortoli, il punto di Ezio Mauro, in breve mi mancano le notizie!

Il caffe’ con il latte alla mattina. Sono stufo di fare colazione con quello solubile, o peggio con caffe’ che viene spacciato per espresso, o con succo di frutta e tortine. Ho voglia della mia moka piccola che fa un caffe’ meraviglioso con del vero latte non in polvere e soprattutto appena torno mi prendo un cappuccino!

La raccolta differenziata; il numero di rifiuti che vengono prodotti qui in Africa e’ impressionante e comincio a stufarmi di camminare in mezzo all’immondizia. Ho voglia di fare la raccolta differenziata e di gettare i rifiuti nel cassonetto e di camminare per strada senza inciampare in lattine o contenitori di plastica.

Italiano; sono sincero, mi manca sentire il suono della mia lingua natale e soprattutto del mio caro dialetto veneziano.

GDR: ho proprio voglia di fare una bella partita a qualunque gioco di ruolo che vi venga in mente. Ho voglia di sentire narrare storie, di calarmi nei panni d’avventurieri squattrinati con mezzo soldo bucato in tasca ma pieni di sogni impossibili, di sentire il suono dei dadi sul tavolo, matite che si temperano, gomme che cancellano, e miniature che si muovono su un tavolo che rappresenta la porta della nostra fantasia…

La scrittura e’ catarsi dicono e adesso che ho scritto questo di getto mi sento un po’ meglio. Certo, queste cose non sono arrivate, ma manca poco al ritorno per averle…